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Il 29 presentazione in seminario del libro postumo di don Luisito 'Lettera all’amico vescovo'

barbara

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lromani@laprovinciadicremona.it

19 Novembre 2013 - 12:52

Il 29 presentazione in seminario del libro postumo di don Luisito 'Lettera all’amico vescovo'
Seminario vescovile
Via Milano - Cremona
Venerdì 29 novembre ore 17,30

Si era comprato
apposta un taccuino a spirale
«per avere uno stimolo a cominciare
lo scritto»,chediventerà
poi una lunga Lettera
all’amico vescovo Maurizio Galli:
grazie alla curatela di don
Marco D’Agostino, vicerettore
del seminario, e al Fondo che
custodisce l’archivio del sacerdote
vescovatino è uscito postumo
un libro di don Luisito
Bianchi. Un libro dei suoi: duro,
profondo, mai inutilmente
provocatorio ma in grado di suscitare
dubbi e riflessioni.
Quattro taccuini a quadretti
scritti a mano tra i primi di giugno
del ‘98 e la fine di gennaio
dell’anno successivo, quattro
taccuini fitti di pensieri e annotazioni
che don Luisito —il prete
che fu traduttore e insegnante,
ma anche operaio e inserviente
d’ospedale — indirizzò
idealmente a monsignor Galli,
consapevole che «trovare nel
nuovo vescovo tutto lo spazio
per accogliere l’antica amicizia,
senza la minima restrizione
o posatura: questa è la prova sicura
che si trattava d’autentica
amicizia che nullapuòinfirmare
o turbare». Ed è quindi
all’amico vescovo che don Luisito
può parlare a cuore aperto
del celibato, del dono di sé, delle
sue esperienze personali,
della Chiesa prima e dopo il
Concilio Vaticano II, del ruolo
della donna non solo in ambito
ecclesiastico ma anche all’in -
terno della società. E può parlare
soprattutto della gratuità
dell’amore di Dio e, quindi,
quasi in un rapporto di causa/
effetto, della necessità della
‘gratuità’ dell’amore dei sacerdoti:
«Se ancora a settantun anni
sento questa sicurezza economica
del prete garantita con
l’iscrizione nel libro pagacome
un insulto alla grandezza del
celibato che m’ha fatto scoprire
la donna nella sua funzione
originaria di auditorium e complemento
della mia umanità in
quanto immagine di gratuità».
Sa essere ancora più duro, don
Luisito, quando parla dell’isti -
tuzione dell’8 per mille a favore
della Chiesa. «Con una certa
confusione interiore, o anche
rossore di vergogna, accenno
alla mia immediata reazione al
fatto compiuto — scrive —: mi
schierai dalla parte dei Morti
che diedero gratuitamente il
loro sangue nella speranza che
avrebbe fatto sbocciare il mondo
nuovo. Per me che da una
ventina d’anni avevo vissuto,
nel bene e nel male, nel dono e
nell’egoismo, la grande avventura
della gratuità del ministero
reputandola fondamentale
per il mio essere chiesa, per
l’essere stesso della Chiesa nel
suo ricevere e dare, diastole e
sistole della Tradizione, era come
se la chiesa stessa m’avesse
dichiarato l’inanità del mio
sentire».
E ancora, poco più avanti: «La
mia Chiesa, con quell’automa -
tismo dello stipendio mensile
per un prete in ministero, affermava
che la Gratuità del ministero
non era nemmeno una
tensione nella sua memoria,
che, se mai ci fosse stata un
tempo, ora era praticamente
un controsenso. Allora quale
conclusione potevotrarne se la
miavita, da vent’anni, la giocavo
sull’esistenza di tale tensione
che dava un senso alla mia
scelta, altrimenti scippata della
sua dimensione clericale?»,
si chiede don Luisito. Che fare
se non «gridare come il giovinetto
Daniele dopo la condanna
di Susanna-Gratuità, che
ero fuori e mondo di quel sangue?
Nell’uno e nell’altro caso
avrei dovuto gridare al fallimento
della mia identificazione
fra prete e uomo, e quindi
della mia vita».
«Non c’è che dire. I profeti scomodano.
Sempre — scrive don
D’Agostino nella Postilla al volume
—. Avevo in mente chissà
quale introduzione e, invece,
l’autore mi ha costretto a una
pausa. Ogni volta che alzavo lo
sguardo lo vedevo, seduto davantiame,
col bastone inmano
e un sorriso libero e liberante
che mi chiedeva: «Allora
cos’hai deciso?». Il testo non
obbliga nessuno a far niente,
ma l’onestà della fede non può
dar torto a Luisito. E dargli ragione,
come sto facendo io, è
ancora troppo poco. Lui è sempre
lì, con la sua parola ferma,
specchio dell’altra che non passa.
Se qualcuno attendeva una
prefazione che non c’è, non ce
l’ho fatta: la mia è una semplice
confessione, quella di chi depone
le armi, non sa più come difendersi
di fronte al racconto
autobiografico di Luisito Bianchi,
profondamenteuomo, prete,
incarnato nel vangelo e nella
storia».
Parole profetiche, le definisce
don D’Agostino, che ricorda, richiamando
le beatitudini, che i
profeti «li hanno perseguitati
per un solo motivo: la loro vita
parlava e parla, riusciva a scalfire
la scomoda indifferenza.
La profezia può essere dimenticata,
accantonata. Mai tacitata
».
La ‘profezia’, ammette il sacerdote
«mi rimanda invece all’in -
terrogativo di fondo, inossidabile
per lui, lacerante per me,
sul ‘come’ un prete possa servire
liberamente e gratuitamente
il Vangelo se da lei riceve
uno stipendio per il ministero
che svolge».
E’ difficile — anche per i laici,
anche per i non credenti—leg -
gere le parole di don Luisito,
confrontarsi con la sua coerenza
di uomo oltre che di sacerdote.
Perché, come scrive don
D’Agostino, la «Gratuità (è)
donna esigente che non accetta
compromessi e amori a metà.
Come il suo Sposo».
l Lettera all’amico vescovo, di
don Luisito Bianchi. A cura di
Marco D’Agostino e del Fondo
Luisito Bianchi, pagine 150,
euro 13, Itinerari EDB. Il libro
sarà presentato venerdì 29 novembre
alle 17,30 presso il seminario.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Si era comprato apposta un taccuino a spirale «per avere uno stimolo a cominciarelo scritto», che diventerà poi una lunga Lettera all’amico vescovo Maurizio Galli: grazie alla curatela di don Marco D’Agostino, vicerettore del seminario, e al Fondo che custodisce l’archivio del sacerdote vescovatino è uscito postumo un libro di don Luisito Bianchi. Un libro dei suoi: duro, profondo, mai inutilmente provocatorio ma in grado di suscitare dubbi e riflessioni.Quattro taccuini a quadretti scritti a mano tra i primi di giugnod el ‘98 e la fine di gennaio dell’anno successivo, quattrot accuini fitti di pensieri e annotazioni che don Luisito — il prete che fu traduttore e insegnante, ma anche operaio e inserviente d’ospedale — indirizzò idealmente a monsignor Galli, consapevole che «trovare nel nuovo vescovo tutto lo spazio per accogliere l’antica amicizia, senza la minima restrizione o posatura: questa è la prova sicura che si trattava d’autentica amicizia che nulla può infirmare o turbare». Ed è quindi all’amico vescovo che don Luisito può parlare a cuore aperto del celibato, del dono di sé, delle sue esperienze personali, della Chiesa prima e dopo il Concilio Vaticano II, del ruolo della donna non solo in ambito ecclesiastico ma anche all’interno della società. E può parlare soprattutto della gratuità dell’amore di Dio e, quindi, quasi in un rapporto di causa/effetto, della necessità della ‘gratuità’ dell’amore dei sacerdoti: «Se ancora a settantun anni sento questa sicurezza economica del prete garantita con l’iscrizione nel libro paga come un insulto alla grandezza del celibato che m’ha fatto scoprire la donna nella sua funzione originaria di auditorium e complemento della mia umanità in quanto immagine di gratuità». Sa essere ancora più duro, don Luisito, quando parla dell’istituzione dell’8 per mille a favore della Chiesa. «Con una certa confusione interiore, o anche rossore di vergogna, accenno alla mia immediata reazione al fatto compiuto — scrive —: mischierai dalla parte dei Morti che diedero gratuitamente il loro sangue nella speranza che avrebbe fatto sbocciare il mondo nuovo. Per me che da una ventina d’anni avevo vissuto, nel bene e nel male, nel dono e nell’egoismo, la grande avventura della gratuità del ministero reputandola fondamentale per il mio essere chiesa, per l’essere stesso della Chiesa nel suo ricevere e dare, diastole e sistole della Tradizione, era come se la chiesa stessa m’avesse dichiarato l’inanità del mio sentire». E ancora, poco più avanti: «La mia Chiesa, con quell’automatismo dello stipendio mensile per un prete in ministero, affermava che la Gratuità del ministero non era nemmeno una tensione nella sua memoria, che, se mai ci fosse stata un tempo, ora era praticamente un controsenso. Allora quale conclusione potevo trarne se la miavita, da vent’anni, la giocavo sull’esistenza di tale tensione che dava un senso alla mia scelta, altrimenti scippata della sua dimensione clericale?», si chiede don Luisito. Che fare se non «gridare come il giovinetto Daniele dopo la condanna di Susanna-Gratuità, che ero fuori e mondo di quel sangue? Nell’uno e nell’altro caso avrei dovuto gridare al fallimento della mia identificazione fra prete e uomo, e quindi della mia vita». «Non c’è che dire. I profeti scomodano. Sempre — scrive don D’Agostino nella Postilla al volume—. Avevo in mente chissà quale introduzione e, invece, l’autore mi ha costretto a una pausa. Ogni volta che alzavo lo sguardo lo vedevo, seduto davantiame, col bastone in mano e un sorriso libero e liberante che mi chiedeva: «Allora cos’hai deciso?». Il testo non obbliga nessuno a far niente, ma l’onestà della fede non può dar torto a Luisito. E dargli ragione, come sto facendo io, è ancora troppo poco. Lui è sempre lì, con la sua parola ferma, specchio dell’altra che non passa. Se qualcuno attendeva una prefazione che non c’è, non cel’ho fatta: la mia è una semplice confessione, quella di chi depone le armi, non sa più come difendersi di fronte al racconto autobiografico di Luisito Bianchi, profondamente uomo, prete, incarnato nel vangelo e nella storia». Parole profetiche, le definisce don D’Agostino, che ricorda, richiamandole beatitudini, che i profeti «li hanno perseguitati per un solo motivo: la loro vita parlava e parla, riusciva a scalfire la scomoda indifferenza. La profezia può essere dimenticata, accantonata. Mai tacitata». La ‘profezia’, ammette il sacerdote «mi rimanda invece all’interrogativo di fondo, inossidabile per lui, lacerante per me, sul ‘come’ un prete possa servire liberamente e gratuitamente il Vangelo se da lei riceveuno stipendio per il ministero che svolge». E’ difficile — anche per i laici, anche per i non credenti — leggere le parole di don Luisito, confrontarsi con la sua coerenza di uomo oltre che di sacerdote. Perché, come scrive don D’Agostino, la «Gratuità (è) donna esigente che non accetta compromessi e amori a metà. Come il suo Sposo». Lettera all’amico vescovo, di don Luisito Bianchi. A cura diMarco D’Agostino e del Fondo Luisito Bianchi, pagine 150, euro 13, Itinerari EDB. Il libro sarà presentato venerdì 29 novembre alle 17,30 presso il seminario.

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