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A fuoco i libri sacri degli ebrei

La comunità israelita è attestata a Cremona fin dal XIV secolo I banchi dei pegni le professioni, la convivenza fino alla cacciata

Gigi Romani

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lromani@laprovinciadicremona.it

12 Febbraio 2014 - 14:49

il cimitero ebraico di Monticelli d’Ongina

Il cimitero ebraico di Monticelli d’Ongina

Nel 1553 papa Giulio III emana la bolla che condanna il Talmud, il libro sacro degli ebrei non può essere più stampato, e le copie circolanti devono essere bruciate. Sorprendentemente, ma poi non tanto considerando le motivazioni prettamente economiche, una delle prime città a sospendere la produzione è Venezia, dove da secoli la collaborazione tra stamperie e comunità ebraica ed editori cristiani era proficua. Buona parte degli stampatori ebrei veneziani emigrano in Lombardia, molti, tra i più importanti e intraprendenti nell’aperta Cremona. E c’è un motivo: in città il rapporto tra ebrei e cristiani è buono, le prime tracce di comunità israelite si attestano già dalla fine del XIV secolo. Nel 1441 Francesco Sforza consente agli ebrei di stabilirsi e di lavorare nel Ducato di Milano, arrivano anche a Cremona: ma il buon rapporto non è destinato a durare a lungo, troppo divergono gli interessi economici tra una classe mercantile cremonese-cristiana e questa comunità attiva, aperta, colta. Non che non lo fossero anche i cremonesi, anzi, ma se gli interessi economici sfociano nelle ‘differenze razziali’, in una società con diritti limitati, è la minoranza a soccombere. In città il quartiere della Giudecca, dove vivevano gli ebrei era tra le parti di via Cavallotti, Grandi, Gramsci. La sinagoga, piccola, era stata edificata all’incirca dov’è ora attualmente l’ex Casa di Bianco, in via Capitani del Popolo. Da queste parti gli ebrei (questa definizione è utilizzata per comodità di narrazione, ben consci che un ebreo nato e vissuto da generazioni a Cremona è ‘solo’ un cremonese con una religione diversa) hanno botteghe, banchi dei pegni, esercitano la professione medica. Una vicinanza con i cremonesi tutto sommato pacifica, anche se non mancano i motivi di attrito. La comunità ebraica chiede di potere celebrare i suoi riti, compreso il riposo del sabato, e di aprire le botteghe nei giorni di festa cristiani. Il fatto che queste richieste vengano più volte reiterate vuol dire che questi diritti non erano così acclarati. Dal loro canto i cremonesi chiedono che gli ebrei portino un segno di riconoscimento e, questo il vero nodo della questione, vengano limitati nei loro commerci. 
E’ il sistema del prestito che dà molto fastidio, un sistema che funziona e diventa capillare, i poveri, sul finire del 1400 si rivolgono sempre di più agli ebrei, e hanno buoni rapporti con gli ‘uccisori di Cristo’. Tant’è che nel ’500 alcuni rapporti ecclesiastici denunciano arditigiani e operai che mangiavano assieme agli ebrei. Per competere con il prestito israelita nel 1490 viene fondato il primo Monte di pietà cristiano. La chiesa dà il compito agli ordini minori di avviare una campagna ideologica che funziona: iniziano screzi e prese di posizioni contro gli ebrei. Nel 1525 gli ebrei cremonesi sono costretti a portare un segno di riconoscimento: un berretto giallo. Naturalmente le cose si complicano e diventano un mix micidiale che si mescolano crisi economica e ideologia. E’ quello che avviene sul finire del ’500: da una parte una crisi economica che porterà al baratro del ’600, dall’altra gli zelanti della Controriforma, che non credono ci siano più gli spazi per tollerare ‘heretici’ ed ‘hebrei’. E i cremonesi chiedono la cacciata della comunità a Filippo II. Ma la risposta è evasiva: gli interessi in gioco sono molto alti, la classe dirigente politica sa bene che cacciare gli ebrei vorrebbe dire privarsi di un ceto economico dinamico. Ma la chiesa insiste e si arriva alla bolla di Giulio III che ordina il rogo dei libri ebraici: la pira arde in Campodei Fiori il 9 settembre del 1553. Si chiede la repressione anche a Cremona, ma il governo spagnolo si oppone, i libri nel Ducato non devono essere bruciati. L’inquisizione insiste, e i libri vengono confiscati e ammassati nel convento di San Domenico, si fa un lungo inventario vengono estrapolate le copie del Talmud e di opere che vi si ispirano e date all fiamme: anche a Cremona arde il fuoco dell’inquisizione. Le grandi famiglie mercantili insistono: gli ebrei devono essere cacciati dal Ducato e da Cremona. Tre uomini hanno un ruolo decisivo: Carlo Borromeo, Niccolò Sfondrati e Cesare Speciano. Il 18 febbraio del 1591 arriva l’ordine di esplusione.
Fulvio Stumpo

La curiosità
Per tutto il ’500, soprattutto verso gli ultimi anni, la Chiesa cremonese fu impegnata nella lotta al protestantesimo. Vescovi come Niccolò Sfondrati (poi papa Gregoria XIV) e Cesare Speciano si impegnarono al massimo in questa azione. Tante famiglie cremonesi, anche tra le più ricche e aristocratiche, furono perseguitate, tanto che alla fine fuggirono in altri paesi europei più tolleranti. Ad accogliere la più folta schiera di ’eretici cremonesi’ fu Ginevra. Di queste famiglie, naturalmente, furono confiscati i beni. Una persecuzione che arriva fino a Casalmaggiore, e fin nelle più piccole pievi. La Controriforma non dà più spazio alle discussioni, nel convento dei domenicani (in piazza Roma, poi demolito in spregio all’inquisizione) si istruiscono processi, si accumulano documenti, accuse. Il tutto acuito dalla crisi economica e come spesso accade il nemico esterno è il diverso, per razza o religione: è più facile.
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