L'ANALISI
13 Maggio 2025 - 05:25
La pace per tutti. Dio ama incondizionatamente. Costruire ponti attraverso il dialogo. Papa Leone XIV inizia da dove ci eravamo lasciati con Francesco: il messaggio di Cristo Risorto, la misericordia e l’artigianato della pace. Il nuovo Pontefice (che significa «costruttore di ponti») ha la libertà di andare oltre e di sorprenderci, ma intanto ci ha collocati in un solco. Non è poco.
La scelta di portare Robert Francis Prevost al soglio pontificio ha spiazzato molti, ma ci ha resi ancora una volta convinti che nella storia e nella Chiesa c’è dell’altro. Altro rispetto ai bookmakers, alle tifoserie, alle previsioni, alle suggestioni… e perfino rispetto ai commentatori improvvisati vaticanisti in sede vacante. C’è, invece, la capacità di abitare il mondo con la luce radiosa del Vangelo. Cristo è sempre oltre le nostre aspettative. Sembra paradossale che dal cilindro del Conclave sia uscito un americano che ha servito la Chiesa peruviana.
Che salto, da Chicago a Chiclayo! In un tempo di muri e nazionalismi, la Chiesa vive la naturalezza di far incontrare culture diverse, di sentirsi a casa nella diversità, di farsi contaminare ed evangelizzare dal soffio dello Spirito che rianima popoli differenti in un’unica famiglia. Basterebbe leggere il libro degli Atti degli Apostoli per rendersi conto di una fecondità inesauribile data dalla presenza del Risorto nella storia. Il cristianesimo non coincide con un unico modello culturale. L’unità della Chiesa non è contraddetta dalla molteplicità, ma dall’uniformità. Il suo tratto distintivo è la comunione. Cristo ci porta in Altro e nell’Oltre.
Quali sono le sfide e i nodi della Chiesa dopo il pontificato di Francesco? Tra le tante questioni, ne segnalo tre.
La prima è di postura. Non siamo la Chiesa sognata dal Concilio Vaticano II, eppure siamo la Chiesa del Concilio. Ripeto: non siamo la Chiesa sognata dal Concilio perché viviamo un sacco di contraddizioni. Parliamo di missionarietà e assistiamo allo svuotamento intergenerazionale delle comunità cristiane. Milioni di persone accendono la tv per seguirne i riti (la messa domenicale è il programma più seguito, ma fanno ascolti record anche la via crucis del Venerdì Santo al Colosseo, i funerali del Papa, l’attesa della fumata bianca…) e in contemporanea c’è uno spegnimento di partecipazione nei luoghi comunitari. Rimangono ferite che ancora sanguinano, come divisioni, abusi, incoerenze… Quale postura per una Chiesa all’altezza del messaggio di Cristo in questo tempo? La prova del nove si trova nella liturgia. La fuga dei giovani testimonia un mix di noia mortale, distanza dalla vita, riti che non parlano, iniziazione inceppata. Educare alla preghiera richiede cura della relazione con il Signore che un certo moralismo non favorisce. Si aggiungano sia le nostalgie per un rito latino che sacralizza un periodo storico sia le fughe in avanti di cambi creativi ingiustificati: siamo in presenza di frange di Chiesa che non si fidano della sua liturgia. Così si sono rifugiate nella tana del risentimento e del rancore. E non si fidano neppure di Cristo e del suo messaggio di amore che trasforma la storia. D’altra parte, c’è anche chi scambia i valori della fede come mollezze da bullizzare senza pietà. Gli estremi come sempre si toccano e parlano di protagonismi individualistici, di narcisismi imperanti, di pregiudizi impenitenti. Papa Francesco ha chiesto alla Chiesa di saper discernere: c’è l’esigenza di stare davanti alla gente per indicare la via, guidare e rassicurare chi è nella paura e nello sconforto; c’è l’urgenza di stare dietro, pronti a raccogliere chi rischia di non farcela e di essere scartato; c’è la necessità di stare in mezzo per condividere la vita, immergersi nelle vicende umane con la stessa compassione di Cristo fino ad avere l’odore delle pecore.
La seconda sfida è quella di avviare e abitare i processi. La Chiesa, come tutte le realtà vive, è sempre un cantiere aperto. Francesco ha inaugurato percorsi di sinodalità, ha responsabilizzato le singole Conferenze episcopali, ha affidato alle donne ruoli apicali, ha incoraggiato il protagonismo dei giovani. Con Amoris Laetitia ha dato nuovo impulso alla pastorale familiare, più attenta alle forme di accompagnamento concrete della vita. Ha ribadito che «non tutte le discussioni dottrinali, morali o pastorali devono essere risolte con interventi del magistero» (AL 3), mettendo in moto la responsabilità condivisa dei battezzati. È una strada in salita, perché a questo stile non siamo abituati. Il clericalismo è ancora imperante in molti luoghi e il laicato fatica a pensarsi all’interno di un cammino di comunione. I processi si avviano grazie all’ascolto, si realizzano con il dialogo e convertono il modo di essere comunità: chiedono di vivere non intruppati ma liberi, capaci di pensiero, di contemplazione, di umiltà e di servizio.
Il terzo dono che riceviamo dal magistero di Francesco è una luce sulle trasformazioni in atto nel cambiamento d’epoca che stiamo vivendo. La dottrina sociale, la cui importanza Leone XIV ha richiamato con la scelta del nome rifacendosi al Papa della Rerum novarum, si è arricchita dei criteri dell’ecologia integrale e della fraternità. Sono i due paradigmi che interpretano il mondo odierno. Problemi ambientali e problemi sociali sono strettamente connessi.
Il degrado ecologico impatta sulla vita dei popoli, sull’economia, sul lavoro e sulle migrazioni. La cultura dello scarto segnala visioni strumentali dell’uomo e della donna. Il mondo si sta sgretolando e si avvicina a punti di non ritorno: è decisivo saper affrontare insieme le questioni economiche ed ecologiche, la salute e il lavoro, l’accesso alla casa e alle risorse nell’ottica della condivisione. La presenza di guerre e violenze sempre più devastanti mette a rischio il futuro dell’umanità, chiamata a pensarsi come comunità di destino. C’è bisogno di «una pace disarmata e una pace disarmante, umile e perseverante», come ci ha ricordato il nuovo Papa. Sono le caratteristiche della pace del Risorto. Il cattolicesimo di ogni epoca deve camminare nella fedeltà ai principi dell’incarnazione e della morte-resurrezione. Così ha insegnato Gesù Cristo, il Figlio di Dio nato, morto e risorto perché l’umanità abbia la pienezza di vita. Incarnati nella storia, lontani da privilegi, prossimi agli ultimi, ai malati e ai diseredati. Intenti a favorire la trasformazione della morte in vita, del male in bene, della paura in coraggio, della solitudine in comunità, della tristezza in gioia.
Per questi stessi principi un uomo di nome Robert Francis si è affacciato su una delle piazze più belle del pianeta e si è rivolto al mondo lasciando da parte la lingua natia e usando quella della Chiesa che si appresta a servire (Roma) e della diocesi che ha servito (Chiclayo). Le lingue dell’amore. La Pentecoste si rinnova. La Chiesa è universale.
Cattolica, appunto.
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