L'ANALISI
07 Gennaio 2025 - 05:30
Cosa succede nel nostro cervello quando osserviamo un quadro di Van Gogh o ascoltiamo una sinfonia di Beethoven? Perché alcune opere d’arte riescono a toccare corde profonde del nostro essere, generando emozioni che non possiamo spiegare? Questi misteri, intrecciando il linguaggio dell’arte con quello delle neuroscienze, rivelano l’unione profonda tra due mondi apparentemente lontani, ma legati da un filo conduttore comune: l’essenza della nostra esperienza umana.
«Il compito dell’artista è rendere visibile l’invisibile» scriveva Paul Klee. Questa frase incarna perfettamente il legame tra arte e neuroscienze: entrambe cercano di illuminare ciò che spesso resta nascosto, il mondo interiore dell’essere umano. Il neuroscienziato Eric Kandel spiega che il cervello interpreta l’arte semplificando stimoli complessi in informazioni essenziali. Nel suo saggio ‘A Parallel Between Radical Reductionism in Science and in Art’, Kandel sottolinea come artisti come Cézanne e Mondrian abbiano ridotto visivamente il mondo per offrire nuove prospettive, in linea con i principi della percezione visiva. Mondrian, ad esempio, elimina il superfluo, riducendo tutto a linee e colori primari, proprio come il cervello filtra le informazioni visive per concentrarsi sull’essenziale, creando ordine dal caos sensoriale. L’immaginazione visiva è un ponte tra la scienza e l’arte. Quando Vincent van Gogh dipinse ‘La notte stellata’ catturò non solo ciò che vedeva ma anche ciò che sentiva.
Voglio dipingere ciò che sento, diceva. E le neuroscienze mostrano come questa immaginazione nasca dall’interazione tra memoria, emozioni e percezione visiva. Immaginare un cielo stellato attiva nel cervello le stesse aree coinvolte nel vederlo, rivelando una connessione profonda tra arte e scienza, basata su una comune ‘anatomia dell’immaginazione’.
Quando pensiamo all’arte, immagini di colori vivaci o forme scolpite affiorano subito alla mente. Pittura e scultura, con la loro capacità di catturare il visibile, ci ispirano da millenni. Ma l’arte non è solo tangibile: c’è una dimensione altrettanto potente dove le parole diventano pennellate di significato e le frasi sculture di emozione. Parliamo della poesia, l’arte più intangibile, che con il suo linguaggio evocativo esplora l’animo umano.
Attraverso simboli e immagini, la poesia svela verità nascoste, esplorando il mondo con prospettive infinite. Studi scientifici mostrano che attività come la composizione poetica attivano aree del cervello legate alla motivazione, alla memoria, al linguaggio e al movimento. Ad esempio, la corteccia prefrontale mediale si attiva durante la composizione poetica, mentre altre aree si occupano della revisione, dimostrando il coinvolgimento di processi cognitivi complessi.
Questi meccanismi dimostrano che la creatività non è solo un’attività estetica, ma un processo che stimola il cervello in modo particolare, favorendo la neuroplasticità ossia la capacità del cervello di adattarsi e creare nuove connessioni neurali. Un esempio straordinario di connessione tra scienza e poesia è Rebecca Elson, astrofisica canadese e poetessa.
Studiando l’evoluzione delle galassie, univa il rigore scientifico alla sensibilità poetica. In uno dei suoi versi più belli scrive: «Per questo cerchiamo di conservare il buio, è ciò che abbiamo in comune, la parte più antica di noi stessi, l’ombra più profonda, oltre tutta la luce della ragione». Ecco: come i bambini curiosi, anche clinici, scienziati e studenti dovrebbero avvicinarsi alle scienze con apertura e creatività, riflettendo la propria soggettività e trasformando la conoscenza in un linguaggio che lasci un segno. Del resto, senza immaginazione e visioni inusuali, come potrebbe un ricercatore formulare ipotesi innovative o comprendere le stranezze della natura umana?
L’arteterapia sta emergendo come una risorsa preziosa nel trattamento delle malattie neurodegenerative, come il Parkinson e l’Alzheimer. L’arte, nelle sue molteplici forme, rappresenta non solo un mezzo di espressione creativa, ma anche uno strumento terapeutico capace di migliorare significativamente la qualità della vita dei pazienti. Attraverso attività come la pittura, la danza, la musica e la scrittura creativa, si favorisce la neuroplasticità e quindi la base per la riorganizzazione di funzioni cerebrali.
Questo processo contribuisce a mitigare i sintomi motori e non motori, restituendo ai pazienti una maggiore autonomia e riducendo al contempo l’isolamento sociale. In un approccio che va oltre i tradizionali trattamenti farmacologici, l’arteterapia invita i pazienti a esplorare nuove possibilità di espressione e relazione, con effetti positivi tangibili sul loro benessere complessivo.
Uno studio intitolato ‘If Art Were a Drug: Implications for Parkinson’s Disease’ mostra come le terapie artistiche possano migliorare i sintomi del Parkinson, riducendo rigidità, tremore e disturbi emotivi e cognitivi. La musica stimola il sistema dopaminergico, mentre attività come dipingere o scrivere favoriscono il pensiero astratto e l’espressione di emozioni complesse. Sebbene la ricerca sia ancora agli inizi, i dati indicano che l’arte può essere un complemento essenziale alle terapie mediche, contribuendo al benessere globale dei pazienti.
L’arte possiede una potenza straordinaria. In alcuni casi, questa intensità emotiva può raggiungere livelli tali da provocare vere e proprie reazioni fisiche e psicologiche, come avviene nella celebre sindrome di Stendhal. Questa condizione, descritta per la prima volta dallo scrittore francese durante una visita a Firenze, si manifesta con sintomi quali vertigini, tachicardia e smarrimento di fronte a opere d’arte di straordinaria bellezza.
Eugène Delacroix, ricordando il suo primo incontro con La zattera della Medusa nello studio di Théodore Géricault, descrisse: «L’impressione che mi diede fu così forte che, uscendo dallo studio, mi misi a correre, e corsi come un pazzo fino a casa mia in rue de la Planche, dove allora vivevo…».
Similmente, Georges Braque, di fronte al rivoluzionario Les Demoiselles d’Avignon di Pablo Picasso, osservato in un decadente studio parigino, rimase fortemente turbato, descrivendolo come un’esibizione circense degna di un mangiatore di fuoco. L’arte non è solo un veicolo di emozioni intense, ma spesso dà voce alla fragilità umana. Molti artisti e scrittori hanno trasformato le loro malattie neurologiche in fonte creativa. Fëdor Dostoevskij, affetto da epilessia, riversò questa esperienza ne L’idiota, dove il personaggio di Myskin esplora l’estasi e il tormento umano.
Allo stesso modo, Maurice Ravel, colpito da una rara malattia neurodegenerativa, continuò a comporre nonostante il declino fisico e cognitivo. Il suo Boléro, con la sua melodia crescente, simboleggia resistenza e tensione emotiva. Questi esempi mostrano come la malattia possa diventare un motore creativo straordinario. In un mondo sempre più frammentato, il dialogo tra arte e neuroscienze ci ricorda ciò che ci unisce: la capacità di percepire, immaginare e dunque creare. Come scriveva Kandel, «l’arte non è solo un’esperienza sensoriale, ma anche un catalizzatore per la riflessione profonda sul significato della nostra esistenza».
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