L'ANALISI
29 Ottobre 2024 - 05:30
La strada che porta all’Intelligenza Artificiale è tutta umana, è bene ribadirlo ed è proprio questo che mi ha portato ad approfondire il tema da due anni a questa parte; non dobbiamo mai dimenticare che si tratta di uno degli ultimi capitoli di un’avventura epica che ha radici profonde nel mito, attraversa quattro rivoluzioni industriali e giunge in un presente dai contorni indefiniti; il ‘qui e ora’ sembra sfuggirci di mano, mentre il futuro ci ‘sbatte’ in faccia la sua prospettiva (anche sulla faccia di chi il futuro non lo vorrebbe proprio considerare).
Da sempre la natura umana modifica se stessa dominando la natura. Il furto del fuoco, nel mito, viene punito, ma di fatto in ogni epoca rinasce un nuovo Prometeo e un nuovo fuoco che ‘carica’ di futuro il presente in cui si verifica un balzo tecnologico. Secondo molti esperti ci stiamo avvicinando a una singolarità tecnologica; secondo la mia esperienza di docente di Lettere negli Istituti Superiori, se c’è un ambiente in cui la singolarità è arrivata e ne è ormai la cifra, questo è la scuola. Si parla di ‘singolarità tecnologica’ quando il cambiamento della civiltà avviene così rapidamente che le generazioni precedenti farebbero fatica a comprenderlo. Questo concetto è collegato a quello di ‘tecnologia esponenziale’, cioè una tecnologia i cui parametri di riferimento raddoppiano in pochi mesi. Sotto questo profilo è dunque lecito chiedersi se l’intelligenza artificiale possa essere considerata un’innovazione a crescita esponenziale.
Dal mio punto di vista, l’ingresso dell’IA generativa (chatGPT, Gemini e simili) nella scuola - avvenuto ormai da due anni e inizialmente non dalla porta principale, ma lateralmente, attraverso gli studenti che la usano come uno strumento utile per copiare — sta determinando, almeno in questo contesto, una singolarità tecnologica: il cambiamento avviene così rapidamente che le generazioni precedenti (quasi tutti i docenti) faticano a comprenderlo (perché ne sono troppo destabilizzati).
Eppure, sono ormai trascorsi due anni scolastici dalle prime avvisaglie, l’Unione Europea ha approvato un AI Act e il Ministero dell’Istruzione ha inserito un progressivo approccio all’IA generativa nelle nuove linee guida di educazione civica. Ci siamo, dunque. Ora l’IA è entrata nella scuola dalla porta principale, vale a dire i docenti non possono più fingere di non sapere o semplicemente arrabbiarsi perché l’IA fa i compiti al posto degli studenti. È giunto il momento di considerare, approfondire e praticare la singolarità in cui ci troviamo a scuola, per colmare il gap insieme, insegnanti e alunni. Soprattutto un docente di Lettere non può non accorgersi della straordinaria avventura intellettuale che ciò comporta per chi ama il linguaggio, la lingua scritta e parlata e la sua storia.
Chi insegna a leggere e scrivere per progressivi gradi di competenza e magari si occupa di insegnare la Storia dal Paleolitico ai giorni nostri non può ignorare l’ultima sfidante tappa di questa evoluzione: una macchina che riproduce con buona approssimazione il linguaggio umano elaborando e manipolando con buona competenza testi di vario tipo. C’è che abbiamo sempre avuto un problema con gli ultimi capitoli dei manuali di Letteratura e Storia: facciamo fatica ad arrivare in quinta superiore oltre i primi anni del secondo dopoguerra (cioè l’epoca in cui le basi della svolta tecnologica attuale erano già state pensate), figuriamoci pensare di avere un dovere epistemologico e pedagogico sul 2024...
Oggi, da insegnante, mi rendo conto che è impraticabile la leggerezza di un tempo: coltivare il proprio orticello di humanae litterae, magari anche supponendo che sia l’unico orticello degno di nota e del nome di ‘cultura’. Sta agli insegnanti e agli studenti di questi anni cruciali e di quelli a venire il compito fondamentale di raccontare il nuovo mondo. E la narrazione che ne facciamo deciderà se questo mondo potrà essere solo un divertente tavolo da gioco (per dirla alla Baricco) colmo di ipocrisie, di vantaggi, di possibilità o molto di più.
La madrina dell’IA Fei Fei Li, nella sua biografia Tutti i mondi che vedo (Luiss University Press) spiega che la rivoluzione dell’Ia «deve sempre ricordare le sue origini: l’immaginazione inquieta di una specie di ominidi altrimenti ordinaria, talmente disorientata dalla propria natura che tenta di ricrearla in silicio. Questa rivoluzione deve essere incentrata senza alcun dubbio sugli esseri umani». Secondo tanti linguisti la comunicazione verbale può essere assimilata a una tecnologia che serve a ‘istruire l’immaginazione’; un’invenzione collettiva che gli esseri umani hanno generato circa un milione di anni fa e che da allora hanno continuato a modificare.
Se dunque il linguaggio non è diverso dal chopper o dall’amigdala e da tutti gli utensili che per progressivi gradi di raffinazione sono arrivati fino a noi, esso è però anche in grado di istruire l’immaginazione; con il linguaggio trasferiamo la nostra esperienza a un interlocutore che può non aver sperimentato quanto gli stiamo raccontando. Noi raccontiamo mondi nuovi attingendo alla nostra immaginazione e cultura. ChatGPT ci restituisce il mondo che le chiediamo di rappresentarci scovandolo in un’immensità di dati costruiti sulla nostra immaginazione e cultura. In questi anni ho usato chatGPT, Gemini e diversi generatori di immagini con i miei studenti per avviare le argomentazioni di un debate; per scrivere, riscrivere e confrontare testi umani e artificiali puntando a una metacognizione nell’apprendimento della produzione scritta; per ipotizzare, strutturare e realizzare percorsi di educazione civica; per visualizzare i mondi di un’opera letteraria; per interloquire con un personaggio storico o uno scrittore impersonato dall’IA; per costruire storytelling.
Non so quantificare quanto abbiamo guadagnato in questi percorsi. Di certo abbiamo conosciuto insieme un mezzo, abbiamo cercato di gestire insieme un contesto educativo che evolve, abbiamo cercato modi per porre le domande (il prompt) giuste. E quest’ultimo punto è il più importante. La singolarità tecnologica in cui ci troviamo ad insegnare fa sì che gli studenti vivano sommersi di contenuti pronti, di risposte confezionate. Ci è rimasto lo spazio, tutto umano, di ideare le domande e cercare dalla macchina risposte che facilitino una nostra nuova, inedita e umana avventura di conoscenza. Dobbiamo insegnare agli studenti che le prime risposte dell’IA quasi mai sono soddisfacenti; bisogna insistere e criticare. Lei (sarà femmina chatGPT?) non si offende, impara. E dobbiamo convincerli che Lei è facilmente identificabile (da un prof. abbastanza esperto): per quel suo insopportabile uso del gerundio all’inglese a scapito dei connettivi tipici della lingua italiana, e quell’insulso modo di chiosare le sue risposte esplicitando che sta per concludere... e soprattutto per quella totale mancanza di ironia (a meno che tu non le chieda di trovarti una barzelletta nella rete…).
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