È di attualità il dibattito (ma forse è più appropriato parlare di polemica!) sulla violenza negli stadi e sulle probabili cause che la generano o, quanto meno, la istigano. Tra queste figurano le scritte ingiuriose degli striscioni, i cori razzisti, i gesti provocatori e chiaramente allusivi (tipico il lancio di banane verso un giocatore di origine africana!): tutte azioni censurabili e che non devono trovare tolleranza né ospitalità nel consorzio civile, anche se, a ben guardare, gli autori di simili bravate possono invocare, come attenuante, i comportamenti non propriamente esemplari di chi siede in parlamento o nelle istituzioni locali; comportamenti, questi ultimi, giudicati tollerabili in considerazione dell’ambiente e delle circostanze i cui si verificano. Lungi da me il voler discettare sull’argomento; altri lo fanno e con maggior competenza! A me basta il riferimento, che uso quale introduzione, a due episodi registrati nelle carte amministrative e nelle cronache dei secoli passati.
1 – Le scritte ingiuriose contro gli amministratori locali. Il dispositivo della deliberazione assunta dal Consiglio Comunale di Crema nella seduta del 14 giugno 1666 (cfr. Archivio Storico Civico – Registri delle Parti e Provvisioni –Registro 38 – cc. 223 v./ 224 r.) è l’unica fonte che accenni al biasimevole episodio che aveva provocato sconcerto nella cittadinanza cremasca evidentemente non abituata a comportamenti oltraggiosi nei confronti dei rappresentanti delle istituzioni civiche. Il fattaccio era avvenuto durante la notte precedente ad opera di ignoti. Gli assonnati passanti che, allo spuntar del giorno, si trovarono ad attraversare la piazza del Duomo sgranarono tanto d’occhi alla vista dei «cartelli ignominiosi» esposti i più punti e ben in vista, che ignoti registi avevano affisso nottetempo con il preciso scopo di colpire l’onorabilità dei pubblici amministra- tori e, attraverso loro, l’onorabilità dell’intera cittadinanza. Cosa inaudita e senza precedenti documentati, che giustificava la reazione immediata (ancorché sterile!) dei Provveditori. Il documento in nostro possesso non fa cenno agli esecutori del crimine, né dice se furono cercati ed individuati e condannati. La singolarità del caso aveva preso alla sprovvista gli amministratori dal momento che i pochi episodi di contestazione oltraggiosa nei confronti dei rappresentanti delle istituzioni avevano avuto come protagonisti amministratori foresi (podestà e funzionari al loro seguito) per i quali erano previsti controlli e giudizi severi al termine del mandato. Nel caso in esame i soggetti passivi erano membri del Consiglio comunale, appartenevano all’aristocrazia locale e godevano di privilegi e di prestigio da tutelare a tutti i costi: di qui le difficoltà e le incertezze appalesate dai Provveditori. Come già ho detto di questo episodio non c’è traccia nelle cronache del tempo e quindi dobbiamo accontentarci dei pochi dati risultanti dalla deliberazione che qui di seguito viene riportata integralmente: «Fu letta gl’infrascritta parte proposta per gl’illustrissimi signori Antonio Maria Clavello, Nicolò Benzone et conte Carlo Premoli, che, suffragata, hebbe uuoti favorevoli 71 et 26 contrarij, onde restò accettata, essendo prima statta cotradetta dall’illustrissi - mo signor dottor Ippolito Figati, contraddittore pubblico. Le affissioni de cartelli ignominiosi ri trovati questa mattina esposti sopra la pubblica piazza di questa città, con quali da satirica, infame e temeraria penna viene troppo altamente lesa e deturpata la dignità dè Provveditori della medesima, la fede cattolica e christiana da noi costantemente professata, la riverenza et ossequio sempre prestato alla Chiesa di Dio, et l’ho - norevolezza di questa patria, falsamente declamata per una Ginevra, abominoso ricettacolo d’infedeltà et eresie; sì come hanno commosso grauamente l’animo di tutti gli cittadini ad un giustissimo sdegno, benché siano infausti ma sprezzabili stridi d’animali notturni, così hanno persuasa fortemente l’obbligazione della nostra carica a proponere quelli remedij opportuni, con quali si possa sperare le soddisfazioni condecenti a così graue, molteplici, ingiuste offese; onde, considerato l’affare et concorrendo con la comune volontà, l’anderà parte che siano da questo General Consiglio eletti due qualificati cittadini, quali con la celerità maggiore portar si debbano alli piedi di sua Serenità et auanti qualunque illustrissimo et eccellentissimo Consiglio, Colleggio, Magistrato o Tribunale di Venetia, doue, con l’espressioni più riverenti et ossequiose, esponghino uiuamen- te l’acerbità dell’animo de questi cittadini et gli sentimenti et querele più dolenti di questa patria per l’affissione de tali ignominiosi cartelli et causa precedente alli medesimi, con quelle essagerationi et istanze, che molto veementi e premurose richiede l’importanza di tanto afare, supplicando sua Serenità di tutti quei rigori, che per dilucidare et punire gli rei sa dispensare il sacrario della sua giustizia. Doueranno gl’ambasciatori, che saranno elletti, partire con tutta velocità et trattenersi in Venetia sin che saranno richiamati da questo Consiglio Generale et doveranno hauere per il loro viaggio et per il tempo che si tratteniranno in Venetia dala cassa di questo pubblico quel tanto che è stato praticato nelle ultime ambascerie. In essecutione della quale fu fatto il scrutinio et restorono elletti illustrissimi signori Giovanni Battista Terni et Francesco Monte». La deliberazione sopra riportata integralmente fornisce pochi indizi per poter ricostruire il contenuto dei cartelli: vi si afferma solo che le ingiurie colpivano l’onorabilità dei Provveditori e dell’intera comunità, della quale era messa in discussione la fedeltà alla Chiesa cattolica e alla dottrina cristiana: il paragone con la protestante Ginevra costituiva un’offesa intollerabile! Si trattava di un episodio di gravità inaudita di fronte al quale gli amministratori locali erano del tutto impreparati e forse anche privi di strumenti adeguati. Di qui l’appello al Doge e alla suprema Magistratura perché si attivassero per individuare e punire con rigore i colpevoli. Non conosciamo l’esito di questa iniziativa: nelle cronache del tempo non se ne parla e negli atti ufficiali la vicenda non è più trattata. Probabilmente i colpevoli non furono scoperti o forse erano persone che godevano di protezioni in alto loco e sul deplorevole episodio cadde l’oblio. Le nostre curiosità restano così insoddisfatte, proprio come ai nostri giorni succede con tante inchieste su casi eclatanti arenate prima di arrivare ad una verità!
2 – Lancio di escrementi sull’arme del podestà. La deplorevole azione fu compiuta il 9 agosto 1488 e della stessa è data notizia dal Terni. Soggetto passivo fu il podestà Bernardo Barbadico (o Barbarigo), che aveva lasciato, per fine mandato, la carica di podestà e si accingeva a rientrare a Venezia. Bernardo, figlio del doge Marco Barbadico, è ricordato per aver dato il via ai lavori per la costruzione delle mura venete (24 maggio 1488), iniziativa sicuramente ben accetta alla cittadinanza cremasca e tale da incrementare le benemerenze dell’ex magistrato. Tuttavia il suo operato aveva lasciato qualche scontento: non si può accontentare tutti! E il dissenso maturato in segreto per tutto il tempo del suo governatorato (sarebbe stato pericoloso manifestarlo apertamente !) esplose con virulenza quando il podestà terminò il suo mandato. Era diventata quasi una consuetudine quella di ma- nifestare la disapprovazione circa l’operato del magistrato al momento della cessazione dell’incarico approfittando del temporaneo vuoto di potere, che garantiva l’impunità agli autori della protesta. Nel caso in esame, operando di notte, l’autore (o gli autori) della bravata imbrattarono con escrementi l’arme del podestà posta sotto l’arco del Torrazzo: una forma di protesta decisamente incivile e disgustosa, imbarazzante per i benpensanti e per l’intera comunità! Probabilmente l’oltraggio era diretto più contro l’istituzione podestarile che contro la persona e così lo giudicò Bartolino Terni, la cui fedeltà alla Serenissima (anche se poi risulterà mal riposta!) era al di sopra di ogni dub- bio. E questa convinzione ispirò la sua risposta alla provocatoria e sconsiderata contestazione, che poteva avere gravi conseguenze politiche per la città di Crema. Il mattino stesso, appena avuta la notizia del grave fatto, indossate le vesti più confacenti alla sua elevata posizione sociale (apparteneva ad una nobile famiglia ed era stato valoroso comandante delle milizie della Serenissima!) si recò sul luogo del delitto per ripulire, lui nobile, quanto altri, ignoti e di bassa estrazione sociale, avevano insudiciato e per dare in tal modo pubblica riparazione all’oltraggio perpetrato nei confronti della Repubblica di Venezia: adeguata e nobile risposta ad una azione vile e scriteriata che poteva avere spiacevoli conseguenze per la città di Crema! Con questo gesto eclatante e fuori dell’ordinario il nobile cremasco riuscì a dimostrare la condanna del riprovevole gesto da parte della cittadinanza cremasca (o almeno da parte della sua classe dirigente) e il rispetto della stessa per le istituzioni governative. Forse sarebbe un esempio da imitare anche da chi, ai nostri giorni, è impegnato nell’agone politico!