‘Il regno di Op’ di Paola Natalicchio Einaudi 158 pagine, € 15
«Esiste sempre un punto di leva per ribaltarlo, il dolore, e trasformarlo in qualcos’altro». C’è un posto in cui nessun bambino, se ci fosse una qualche logica nelle cose, dovrebbe finire mai. Un posto che ha un nome così impronunciabile che bisogna trovargliene un altro: reparto di Oncologia pediatrica, il Regno di Op. Per un genitore, varcare quella soglia significa spegnere all’improvviso un interruttore su tutti i progetti, su tutto il futuro. Significa non riuscire più a pensarla, la parola futuro. È la lotta di una madre con il drago la malattia di suo figlio. Quella lotta la conosce bene e la racconta Paola Natalicchio giornalista e blogger in ‘Il regno di Op’, un libro dedicato «alla sanità pubblica italiana che non difendiamomai abbastanza ». Sono millecinquecento i bambini che in Italia, ogni anno si ammalano di tumore. Ma millecinquecento bambini all’anno, se li metti insieme, si sentono meno rari e meno soli. «Allora ecco una cosa intelligente, utile da fare, ho pensato a un certo punto. Smettere di vergognarsi, uscire da questo strano disagio. Senza esibire la malattia, ma parlandone, raccontandola e spezzando il tabù che la circonda, soprattutto quando contamina il terreno della felicità obbligatoria dell’infanzia. L'infanzia di plastica propagandata dalle pubblicità, che però qualcuno aveva vietato ai nostri figli. Bisognava raccontarli i nostri figli. Senza paura e senza fare paura». «Miofiglio ha due anni e una cicatrice sul cuore.Nonè una metafora, mio figlio questa cicatrice ce l’ha davvero. È fatta da tre punti, disposti a triangolo. Il vertice superiore è quel che resta di un piccolo foro, invece gli altri due sembrano delle bacchette, di mezzo centimetro l’una. Parallele. Su quel triangolo, fino al giugno scorso, era appoggiato il suo cvc. Cvc è una parola che le madri non dovrebbero imparare mai, significa catetere venoso centrale.
È una specie di coda di plastica azzurra, cucita sul petto dei bambini che devono fare chemioterapia. A mio figlio questa codina blu è spuntata che aveva compiuto due mesi da poco». Poi però dentro Op si comincia a combattere, e mentre si combatte si vive. «Se ti concentri su questo — scrive Paola Natalicchio —, succede una cosa bellissima. Succede che la smetti di startene chiuso tutto il giorno in camera, e prendi tuo figlio in braccio, con l’altra mano spingi il treppiedi di ferro con le ruote e la flebo e ti vai a fare un giro in corridoio.E scopri che i bambini, anche quando sono malati, restano sempre soprattutto bambini, con i loro disegni, i libri, i pop-corn, le partite al biliardino e alla Playstation. ‘Il Regno di Op’ è il reportage che io, giornalista, non avrei mai voluto scrivere e di cui, invece, per insondabili ragioni, qualcuno mi ha dato un bel pezzo di esclusiva». Giornalista e redattrice, oggi anche sindaco della sua città, Natalicchio racconta nell’introduzione come nasce questo libro, cronaca di un angolo di mondo e diario della sua lotta con il drago. Questa storia ha cominciato a raccontarla sul blog — p r i m a su Blogs p o t , poi su l’Unità —da cui nasce questo libro, e che in pochi mesi ha raccolto più di centomila visitatori, diventando un punto di riferimento per tante famiglie sparse in tutti i Regni di Op d’Italia. «Esiste sempre un punto di leva per ribaltarlo, il dolore — scrive —, e trasformarlo in qualcos’altro. E il mio è al servizio di tutte le millecinquecento famiglie di bambini oncologici che ogni anno, in Italia, vanno avanti a denti stretti e chiedono servizi, diritti e ascolto». «Mio figlio ha fatto sette cicli di chemio e ha subito un intervento che ha riaperto la sua partita con la vita. Non è guarito. Ci vorranno cinque anni per dire se veramente sta bene.Maintanto sta bene».