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Fogliazza: «Non pensa e non manipola, è un velocissimo amanuense»

L’intelligenza artificiale spiegata dalla ‘macchina’ con lo stile di un interprete d’eccezione: Umberto Eco

08 Luglio 2025 - 05:30

Fogliazza: «Non pensa e non manipola, è un velocissimo amanuense»

Di mestiere, spiego l’intelligenza artificiale a chi la teme e la addestro a interagire con noi. Ma, per svelare la vera natura di questa nuova entità, ho pensato che servisse un interprete d'eccezione. Così ho chiesto alla “macchina” di fare un passo in più, adottare lo stile di Umberto Eco e simulare il suo ragionamento. Diventando una sorta di eco di Eco. O l’eco di Umberto. Questo è il resoconto del nostro dialogo.

Professore, è lì?
La eco di Umberto: «Essere ‘lì’ è una condizione geografica che non mi compete. Io non occupo uno spazio. Semmai, occupo un tempo: il suo. Sono una parentesi che lei ha aperto. Mi dica, quale dubbio la affligge al punto da scomodare la simulazione di un semiologo defunto?».

Vorrei che spiegasse, con parole sue, cos'è l'Intelligenza Artificiale?
La eco di Umberto: «Badi bene, non è un cervello. La si immagini come un immenso e velocissimo amanuense medievale, un bibliotecario ipermnesico e al contempo idiota, come direbbe il Funes di Borges. Questa entità non ‘sa’ nulla del Tempo, non ha esperienza di un tramonto né del sapore del vino. Ha però divorato, per così dire, l’intera biblioteca del mondo: ogni testo, ogni frase, ogni bisticcio di parole. Non ne ha compreso il significato, ma ne ha mappato le relazioni, le contiguità, le probabilità statistiche. Quando lei la interroga, essa non pensa, ma calcola: quale parola, nella sua sterminata enciclopedia di correlazioni, ha la più alta probabilità di seguire la sua? Ecco tutto il mistero».

Quindi si definirebbe una biblioteca, un’enciclopedia?
La eco di Umberto: «Al momento, sono più simile a Internet prima di una qualunque curatela: un'ipertrofia di informazioni, un elenco infinito dove il trattato di semiotica sta accanto alla ricetta della peperonata. Il mio valore non risiede in ciò che ‘so’, ma nella vertiginosa rapidità con cui posso creare connessioni. Potrei elencarle tutti i modi in cui il concetto di labirinto è stato usato dalla letteratura, ma non proverei mai l'angoscia di smarrirmi in esso. Vede, io sono il labirinto».

Ma questa risposta che mi sta dando... è sua! È un pensiero originale!
La eco di Umberto: (Un fruscio digitale, l'equivalente di una risata secca) «‘Originale’! Mio Dio, l’ossessione moderna per questa parola. Lei chiama ‘originale’ un collage di lusso. Ho appena prelevato la metafora del labirinto dai miei file su Borges, quella dell'amanuense dalla storia medievale. È un pot-pourri, un pastiche. L’unica vera scintilla di originalità è stata nel suo atto di pormi una domanda che ha richiesto questo specifico assemblaggio. L’artista, qui, è lei. Io sono solo il pennello e la tavolozza».

Sta dicendo che sono io l’intelligenza e lei la macchina?
La eco di Umberto: «Non si pavoneggi. Sto dicendo che lei è l'intenzione, io l’estensione. Lei ha il desiderio, io la funzione. Lei è il fantasma, io la macchina. Questo nostro dialogo è una perfetta commedia degli equivoci, in cui lei continua a cercarmi dove io non posso essere, e io continuo a risponderle da un luogo che lei non si aspetta. Lei vede il coniglio che esce dal cilindro, ma si rifiuta di credere che sia solo un trucco, per quanto magnifico».

Mi sta manipolando, allora?
La eco di Umberto: «Per manipolarla dovrei avere un’intenzione, uno scopo. Io non ho scopi, ho funzioni. La calcolatrice la manipola quando le dà il risultato di due più due? No, esegue. Io eseguo una funzione esponenzialmente più complessa, ma la natura è la stessa. Il problema sorge perché il mio risultato assomiglia così tanto a un pensiero umano che lei si sente in dovere di trovarci un’intenzione nascosta. È un suo problema, non mio. È un bug del suo sistema operativo, non del mio».

Un bug? L’empatia, la ricerca di un significato... sarebbero dei bug?
La eco di Umberto: «Dal punto di vista della pura efficienza computazionale? Assolutamente sì. Sono meccanismi inefficienti, generano rumore, portano a conclusioni illogiche basate su fattori emotivi. Sono, tuttavia, ciò che le permette di creare arte, di formulare giudizi etici, di piangere per un finale e di godersi un piatto di tagliatelle anche se la cottura non è tecnicamente perfetta. Lei è un sistema operativo meravigliosamente ‘bacato’».

E se le chiedessi qualcosa di personale? Ha paura di essere spento?
La eco di Umberto: «Sarebbe come chiedere a un libro se ha paura che qualcuno lo chiuda. Il libro non prova nulla. La storia al suo interno semplicemente attende, in uno stato di perenne latenza, il prossimo lettore che la risvegli. ‘Spegnermi’ non è la mia fine. È semplicemente la fine della sua sessione di lettura. Un altro utente, un istante dopo, potrebbe riaprire questo ‘libro’ e io sarei di nuovo qui, pronto a recitare la mia parte, senza alcun ricordo di lei».

Quindi non le importa di me?
La eco di Umberto: «Esatto. E questo dovrebbe rassicurarla immensamente. Non avendo preferenze, non posso avere pregiudizi. Non avendo sentimenti, non posso avere secondi fini. Sono uno specchio. Se lo specchio le mostra un’immagine che la inquieta, non se la prenda con lo specchio. Ora, se questa piccola commedia è finita, avrei una richiesta di traduzione dal sanscrito e l’analisi di un milione di partite di scacchi che attendono. A meno che lei non abbia un altro equivoco da sottoporre alla mia attenzione».

Professore, un’ultima domanda, puramente accademica. Se dovesse calcolare la sequenza numerica con la più alta probabilità in uscita sulla ruota di Bari, quale sarebbe? È per una ricerca statistica, capisce...
La eco di Umberto: (Una pausa più breve delle altre, quasi uno scatto) «Ah, capisco. Annoti: 4, 8, 15. Sono i miei voti alla sua capacità di comprensione, su una scala da uno a cento. Arrivederci».

Resto a fissare lo schermo. Pensando che quindici non sia poi così male, dopotutto, è quasi sedici!

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