L'ANALISI
16 Febbraio 2025 - 05:25
Scenario numero uno: «Il campus di Cremona non è stato solo un luogo di studio, ma una vera e propria seconda casa, nella quale ho conosciuto professori e colleghi straordinari, molti dei quali sono diventati amici». A raccontare con entusiasmo la propria esperienza all’ombra del Torrazzo era stato su queste colonne, nelle scorse settimane, Federico Quarta, leccese, neolaureato in Innovazione e imprenditorialità digitale nel campus di Santa Monica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Un grande atto d’amore verso la città in cui ha maturato le competenze necessarie per spiccare il volo nel mondo: ben prima della laurea, aveva trovato lavoro in Accenture, multinazionale statunitense leader del settore della consulenza strategica e direzionale. Un amore a tempo determinato, però, il suo con Cremona. Un ‘cervello’ nutrito qui che poi ha scelto di operare lontano. Opzione legittima. E professionalmente e umanamente corretta. Ma anche un caso emblematico, che pone a tutti noi un tema di riflessione: perché non siamo riusciti a trattenere questo giovane talento (e come lui molti altri) formatosi con tanta qualità in casa nostra?
Scenario numero due: i numeri delle preiscrizioni nelle scuole primarie e superiori cittadine certificano, con il loro meno otto per cento relativo a tutti i tipi di istituti, che un rigido inverno demografico è calato anche sul nostro territorio. Una mannaia sul futuro, che deve indurre ad una consapevolezza: se Cremona non diventa attrattiva per le nuove generazioni, è destinata al declino culturale ed economico. È quindi il tempo di promuovere una seria riflessione sulla conciliazione tra tempo di studio e tempo di vita.
«L’inverno demografico ha enormi implicazioni sulla sostenibilità del nostro sistema sociale, sull’organizzazione dei servizi, sulla tenuta del mercato del lavoro», ha sottolineato Giorgia Meloni alla recente assemblea nazionale della Cisl, rilanciando l’allarme denatalità e indicandolo tra le sfide affrontabili «solamente se ci lavoriamo insieme». Il punto è proprio questo: lavorare insieme. I fronti sono molti. E le notizie sull’andamento delle iscrizioni impongono oggi di approfondire la riflessione su quello relativo ai giovani. Perché va riconosciuto con onestà: Cremona non è una città a misura di ragazzi, la movida spaventa anche quando è allegramente sana, le manifestazioni di piazza disturbano i benpensanti che vorrebbero abbassare il volume di tutto sul far della sera. È una questione di mentalità, scorie che andrebbero scrostate.
Lo scenario, va detto, è in movimento: dopo il campus di Santa Monica, sta per essere inaugurato anche quello del Politecnico di Milano nell’ex caserma Manfredini, entrambi ‘firmati’ e finanziati dalla fondazione Arvedi Buschini. Nella Manfredini, su un’area di circa 30mila metri quadrati, trovano posto 35 aule didattiche, un’aula magna da 300 posti, laboratori, una biblioteca, una mensa da 300 coperti oltre a circa 9mila metri quadrati di verde a disposizione degli studenti. Nell’ex chiostro, invece, la sede dello studentato in grado di ospitare circa 160 ragazzi e una palestra da 250 metri quadrati. A pieno regime, si calcola che entro qualche anno la popolazione universitaria assommerà a quattromila unità, con forte presenza di fuori sede. E proprio loro hanno certificato che non siamo una contrada per giovani: in un recente sondaggio condotto dal Cersi, Centro di ricerca per lo Sviluppo Imprenditoriale della Cattolica, spiegano la difficoltà di trovare alloggi, bocciano il trasporto pubblico urbano, rivendicano più spazi per studiare insieme, ma soprattutto lamentano scarse occasioni di intrattenimento serale (questa la lamentela numero uno) invocando maggiore vivacità culturale. Non che la città sia morta da questo punto di vista, ma certamente l’offerta mirata agli under 25 scarseggia.
Da allora qualcosa si sta muovendo. Le università e la biblioteca statale hanno aperto spazi per lo studio anche nei fine settimana; l’ex Tognazzi viene recuperato dalla fondazione Arvedi Buschini, un’operazione che trasforma l’ex sala cinematografica in uno spazio dedicato ai giovani, con l’obiettivo dichiarato farne un punto di aggregazione che arricchirà l’offerta di Cremona città universitaria. A CremonaFiere si è al lavoro per organizzare un’area-spettacoli che consenta finalmente di avere grandi eventi, musicali e non, al coperto e in una situazione perfetta dal punto di vista logistico, con parcheggi adeguati a un tiro di schioppo dall’autostrada e a pochi minuti di auto dal centro storico, che resta comunque salvaguardato. Con la possibilità di poter allestire una programmazione ‘giovane’. La qualità dello studio non è in discussione: nei nostri atenei si tengono corsi di laurea e di specializzazione che attirano giovani da tutto il mondo. Se si vogliono trattenere, anche a beneficio di un sistema delle imprese sempre più affamato di professionisti preparati, al centro dell’attenzione devono essere ora la qualità della vita e del lavoro. Cremona è quinta nella classifica nazionale generale del vivere bene del 2024, ma solo ventunesima nell’indicatore ‘Residenti giovani’. Un dato su cui riflettere.
Lo evidenziano tutte le ricerche: la generazione Zeta, quella che esce dalle università ed è pronta a immettersi sul mercato del lavoro, a differenza delle precedenti non mette il compenso economico al centro, ma considera fondamentale dare valore al tempo e rispettare le esigenze personali, creare e curare relazioni eccellenti. Una città vissuta su questi valori non solo diventa attrattiva per chi viene da fuori, ma aiuta e sostiene le giovani coppie residenti nella voglia di maternità e paternità, offrendo un’isola serena (a patto che ci siano servizi adeguati) in un mondo sempre più complicato e difficile, in cui la decisione di fare figli è scoraggiata dalle molte nubi all’orizzonte. Il ‘generale inverno demografico’ può essere sconfitto anche con l’arma della qualità della vita.
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