L'ANALISI
Caporetto, inizia la ritirata
22 Dicembre 2015 - 16:15
Non riuscendo a respingere gli austriaci dal Trentino, il generale Luigi Cadorna decise di concentrare le forze sull’Isonzo. Il 6 agosto 1917, le truppe italiane passarono all’offensiva, scendendo dal monte Sabotino raggiunsero e superarono l’Isonzo, andando a conquistare Gorizia. Gli austro-ungarici ripiegarono sul Carso. Nei mesi di settembre e ottobre, ebbero inizio altre due battaglie, la settima (14-16 settembre 1917) e l'ottava (10-12 ottobre 1917) che causarono un ingente numero di vittime e portarono a scarse conquiste territoriali. Errori, condizioni meteo avverse e scarsità di materiali impedirono agli italiani di sfondare le linee e raggiungere Trieste. Alle ore 2 del 24 ottobre 1917 ebbe inizio la dodicesima battaglia dell’Isonzo, meglio conosciuta come la battaglia di Caporetto, che rappresenta la più grave disfatta nella storia dell’esercito italiano, tanto che ancora oggi il termine Caporetto viene utilizzato come sinonimo di sconfitta. Durante questo scontro, tra i molti italiani anche Felice Arisi venne fatto prigioniero e condotto in Germania nel campo di prigionia di Langensalza, una cittadina rurale dell’Unstrut-Hainich-Kreis, nella Turingia. Lo si deduce dalla lettera del 27 ottobre 1918 indirizzata alla moglie, in cui scrive: «mancano ancora tre giorni e poi sarà un anno che sono prigioniero».
Felice Arisi da Pescarolo, classe 1884, sarto di professione e in particolare confezionava abiti talari: era il sarto personale di don Primo Mazzolari e del vescovo Giovanni Cazzani. Arisi è l’autore di un fitto carteggio tenuto quasi esclusivamente fra lui e la moglie, a parte alcune cartoline e lettere scritte ai figli, all’amico Bregalanti e alla madre Rosa. Le lettere riguardano vari momenti del periodo della Grande Guerra. Le prime quattro si riferiscono alla Zona di Guerra, Sabotino ed Isonzo; le successive tre ci raccontano della permanenza nell’ospedale d’osservazione di Faenza. Due sono del periodo trascorso a Bergamo dov’era in attesa di essere rimandato al fronte. Sette lettere raccontano dei momenti di vita durante la sosta di tre mesi col battaglione a Dervio sul lago di Como; una è scritta da Dongo nello stesso periodo. Quattordici narrano del ritorno in Zona di Guerra sul Carso. Le ultime dieci ci parlano della prigionia nel lager di Langensalza.
Arisi cercò sempre di essere un uomo giusto, d’onore, di compiere il proprio dovere come sposo, come padre, come cittadino, come soldato. Fu amato e stimato dai compagni e dai superiori. Affrontò la guerra, il dolore fisico e psichico, le ferite e la prigionia con rassegnazione, fiducia in Dio, nella Madonna, nella Provvidenza, pregando e pensando alla famiglia: un profilo di una persona speciale sempre pronto ad affermare l’amore ‘puro’ verso la moglie, l’attaccamento ai figli, agli amici e al suo amato paese di Pescarolo.
Seppure in guerra sul Carso e in prigionia non si stanca di raccomandare di pagare le tasse, di pregare, di evitare che i bambini frequentino cattive compagnie, di pensare alla vendemmia, alla semina del granoturco, quasi voglia sollevare la famiglia dalle tante incombenze cui deve badare in sua assenza. Zona di guerra 21 giugno 1916 Carissima moglie, per darti mie notizie ti scrivo due righe. La mia salute è ottima; qui il tempo è piuttosto incostante: di giorno fa caldo e di notte fa invece freddo. Dunque il posto ove sono è piuttosto sicuro, qui si combatte poco, però arriva di tanto in tanto colpi di granata. Per ora cian detto che ci faranno istruzione per 10 giorni e dopo saremo soldati come gli altri e quindi mi toccherò aspettare anch’io il mio turno per essere mandato in trincea. A nominare questo nome non spaventarti perché qui succede pochi morti o feriti, è piuttosto la paura di qualche avanzata che mi fa tremare. E Dio sa quando finirà questa guerra! In quanto a lavorare da sarto non c’è da sperare, si può lavorare si, nelle ore di riposo, ma quando vi è da combattere bisogna andare insieme agli altri. Il rancio è buono e denari non ne voglio almeno per ora. Scrivimi di spesso perché forse tante andranno perdute. E a Pescarolo cosa si fa? Ricordami spesso agli amici che io per ora non ho cartoline per scrivere. Fatevi sempre coraggio. Prega sempre per me che il pericolo vi è sempre da un momento all’altro. Baciamo tanto mia mamma e i miei cari bambini e ti saluto tanto tanto.
Tuo Felice
Nella lettera seguente riferisce, con orgoglio, di aver combattuto sul monte Sabotino a difesa della Patria e di aver adempito al proprio dovere di soldato, nonostante lo stato precario di salute che lo ha costretto al ricovero.
Zona di guerra 16 agosto 1916
Carissimi, dopo fatto una bellissima avanzata sul Sabotino, dove ò combattuto, mi toccò tornare indietro colla febbre ed ora sono in un ospedaletto in attesa di cambiare. Non spaventatevi che la febbre è lieve. Ringraziamo il Signore che mi à scampato alla morte ed ora forse posso godere un po’ di riposo.
Di Dondi e Rizzi non posso dir nulla perché il loro battaglione era lontano da me.
Domani vi scriverò ancora. Vi saluto e vi bacio tutti, Non scrivere fino a che avrò mandato il nuovo indirizzo perché se la febbre passerà presto bisognerà che ritorni al mio posto. Saluto parenti, amici.
Ringraziamo la Madonna che mi à scampato.
Vostro Felice
Felice Arisi non smette mai di scrivere nemmeno durante la prigionia, sempre con spirito ottimistico. La vita nelle baracche del lager tedesco non era certamente agevole, anche perché durante il giorno doveva lavorare nelle miniere di sale. Però, nonostante tutto, alla famiglia mandava sempre notizie confortanti e chiedeva qualche pagina di giornale da leggere e i fagioli dell’orto per rimanere attaccato alla sua terra. Chiedeva che gli venisse spedito anche del filo nero e bianco per non dimenticare il suo lavoro di sarto. In una lettera riferisce che rammendare le giubbe dei prigionieri francesi gli procura pezzi di pane.
Langensalza 27 ottobre 1918
Mia Carissima,
mancano ancora tre giorni e poi sarà un anno che sono prigioniero. Questo triste dì e gli altri che seguiranno gli ho impressi nella mia mente che non si cancelleranno mai più. Però a dirvi il vero, il tempo mi è trascorso presto e questi ultimi mesi nei quali la mia condizione si è migliorata, sia per il lavoro, sia del trattamento, mi sono addirittura volati. Di novità non ho nulla da dirti, sto bene di salute e di tutto. Guarda che non mi manchino i due pacchi misti al mese e poi non pensare male di me. Ed ora che mi sono separato di marmitta, con Baccelli puoi sempre spedirmi qualcosina di diverso, se ti sarà facile trovarlo. Ed aggiungi sempre condimento, aglio, qualche volta sapone e filo. Ed il tutto puoi avvolgere in un qualche giornale nuovo che ti farai dare dall’Arciprete e lo metterai in fondo al pacco. In settimana ho ricevuto la cartolina di Guelfo in data 24 agosto. Bacialo tanto per me. E così pure Sandrino e Rosetta. Ringrazia e saluta la sig.a Maria per quello che ti diede per me. O’ piacere che tu sola sia quella che mi soccorre, potrò così sentirmi indipendente. Mi conosci e tanto meglio. Insieme a mamma e bimbi ti mando i miei infuocati baci a te che sei l’unica, che mi può far di vera gloria lieto. E spero che tu sarai fedele, che mi ricordi e che mi attende. Statemi sani con armonia, concordia e coraggio e colla ferma fiducia di rivederci forse non tanto lontano. Saluti pure a parenti ed amici e sempre affetto
Felice.
Saluti alla famiglia Boccelli.
Manda sempre se puoi fagioli.
Giancarla Arisi ha raccolto tutte le lettere rimaste chiuse per quasi un secolo in una scatola nel comodino della camera da letto di nonno Felice, e dopo un lungo letargo, come una farfalla sono uscite dal bozzolo, per parlarci di questo uomo e dell’epoca in cui visse ed operò. Ne è scaturito il libro “Lettere d’amore dal fronte di Felice el sartùur (1916 – 1918 )“ edito da Apostrofo.
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