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Donne, Resistenza e onori mai dati

‘L’alba della nostra libertà’: la lotta di liberazione al nazifascismo e quella dal patriarcato dei loro compagni

Paolo Gualandris

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pgualandris@laprovinciacr.it

24 Settembre 2025 - 05:25

CREMONA - «Voi donne pensate a recuperare cibo, legna, vestiti. A portare in giro informazioni, denaro e documenti. A sparare ci pensiamo noi. È una cosa da uomini». Il Tigre, un capo partigiano, risponde così a Venera, giovane antifascista che gli aveva procurato tre pistole ma che voleva tenerne una per autodifesa dalle milizie nazi-fasciste che dopo l’8 settembre tenevano a ferro a e fuoco l’Alta Italia.

Sta tutta in questa frase la doppia chiave di lettura del romanzo ‘L’alba della nostra libertà’ con il quale la scrittrice Barbara Cagni, milanese con sangue soncinese per parte di padre: il prezioso, ma spesso ancor oggi sottostimato contributo alla lotta partigiana delle donne ma anche il profondo maschilismo — oggi diremmo patriarcato — che covava nell’animo dei loro compagni.

IL PARTIGIANO E LA CUOCA

Per cui, banalmente, se a sfamare la brigata partigiana era un uomo, lo si chiamava con rispetto il «partigiano che cucina», ma solo «la cuoca» se a farlo era una lei. Insomma, quella delle donne che si sono ribellate al nazifascismo è stata anche una resistenza (ai pregiudizi dei loro uomini) nella Resistenza. Tutto documentato, il romanzo contiene diversi elementi storici, frutto di ricerche dell’autrice, tra le altre anche sulla figura di Lina Merlin, cui si deve l’abolizione della case chiuse considerate come luogo di schiavitù e degrado delle donne, oltre che di molti colloqui con eredi e discendenti vari di resistenti, come quello con la nipote di Giacomo Matteotti. La scrittrice parla con Paolo Gualandris del suo romanzo nella videointervista.

GRUPPI SPONTANEI

«Ho voluto riparare a un grande torto, quello di non di non aver riconosciuto il contributo femminile alla Resistenza, di avere catalogato le donne esclusivamente come staffette, minimizzando il ruolo e il contributo che hanno dato dopo l’8 settembre con i Gruppi spontanei di volontarie della libertà nati ancor prima dell’ordine di organizzarsi arrivato dai partiti che hanno formato il movimento di resistenza. Loro, le donne, erano volontarie, hanno cominciato fin da subito a vestire sbandati, proteggere, sfamare, curare e dare amore a soldati fuggiaschi nascondendoli nelle loro case. Hanno organizzato scioperi, sabotato le produzione nelle aziende occupate dai nazisti, rischiato la propria stessa vita e quella dei loro figli, hanno scritto, stampato e diffuso volantini», sottolinea la scrittrice.

Vite pericolose di Donne che dopo la Liberazione hanno ripreso la loro vita di prima, spesso senza neppure poter parlare della loro partecipazione alla Resistenza: chi era casalinga è tornata dietro i fornelli e a spazzare pavimenti, l’operaia a lavorare in fabbrica. Il racconto della Resistenza doveva restare al maschile. Tutto ha inizio l’8 settembre 1943: il Paese si ferma ad ascoltare alla radio l’annuncio dell’armistizio, perfino nel casino della periferia milanese gestito da Marilù, dove non c’è mai un giorno di vacanza.

Sta per avere inizio una nuova fase della guerra, ancora più dura, dove è difficile capire di chi potersi fidare. Dopo anni di servizio come prostituta e poche speranze di affrancarsi dalla propria condizione, per Marilù l’unico obiettivo è mettere in salvo la figlia Cecilia, che riuscirà a far ospitare in campagna grazie alle conoscenze di Venera, studentessa di Storia dell’arte che vive da sola e acquista piano piano consapevolezza di sé come donna e come cittadina.

SENTIMENTI E CORAGGIO

Mentre Marilù cerca in tutti i modi di tenere al sicuro le ragazze che lavorano con lei e aiuta come può i partigiani del quartiere a riunirsi sotto copertura, anche Venera si unisce alla Resistenza, non solo grazie ai movimenti studenteschi ma soprattutto attraverso le riunioni delle donne del suo condominio, figure forti lasciate sole dalla guerra, stanche di non avere mai voce in capitolo.

In una Milano stremata dalla fame e dai bombardamenti, sono le donne, rimaste sole, a unirsi e a farsi forza tra di loro. Dalle lavoratrici nelle fabbriche alle studentesse, dai ceti popolari alla borghesia, hanno tutte un obiettivo comune: tornare finalmente libereCagni ha costruito un romanzo corale carico di umanità, sentimenti e coraggio.

E lo ha fatto partendo dalla figura della direttrice di un bordello popolare, gestito per conto di un magnaccia ammanicato con il regime: Marilù, ex prostituta che non si volta dall’altra parte quando arriva qualcuno che ha bisogno. Nel locale si respira umanità, c’è grande attenzione a quello che succede fuori, nasce una solidarietà femminile che significa molto spesso sopravvivenza.

OMAGGIO A LINA MERLIN

«La mia attenzione è andata anche a questi luoghi che ora non ci sono più grazie alla legge Merlin - spiega Cagni -, però che nel nostro immaginario continuano a esistere per il retro pensiero legato al tipo di sessualità che si viveva tra quelle mura, allo sfruttamento del corpo della donna, costretta a subire fino a cinquanta rapporti al giorno. Nel romanzo è presente, tra l’altro, anche Lina Merlin, che viveva a Milano in quel periodo, vi ha trascorso quasi 30 anni e proprio nella zona di cui parlo nel libro, tra Lambrate e piazzale Loreto. Ne ho scritto perché il suo nome è legato alla legge di chiusura delle case di tolleranza. Ma non ha fatto solo questo: è stata madre costituente, fu la prima senatrice della Repubblica Italiana. L’ho raccontata perché il suo contributo è stato dimenticato. Per esempio, Milano le ha dedicato solo una piccola targa sul palazzo dove ha abitato e nient’altro. Mentre per esempio invece a Indro Montanelli, critico sulla chiusura delle delle case di tolleranza il Comune ha dedicato i giardini pubblici, con tanto di statua».

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