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23 dicembre 1950

La tragedia del popolo tibetano

Mao vuole l'uranio del più povero paese del mondo

Annalisa Araldi

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aaraldi@publia.it

23 Dicembre 2020 - 07:00

La tragedia del popolo tibetano

I tragici eventi della guerra in Corea e le sterili discussioni di Lake Success, hanno allontanato l'attenzione del mondo da un'altra tragedia che sta vivendo un popolo umile, povero, sperduto sulle più alte montagne della terra. Un popolo che invaso da soldati stranieri, sta perdendola sua libertà; quello tibetano.

Quando gli eventi coreani sembravano volgere a favore delle forze dell'ONU, le sorti degli abitanti del «tetto del mondo» avevano commosso, le vicende della delegazione che si diceva il Dalai Lama avesse fatto partire per Lake Success per perorare la causa del suo immenso paese, erano seguite con ansia.

Oggi del Tibet (e non sono passati due mesi dal giorno dell'annuncio dell'invasione), nessuno parla più. E tanto breve è stato l'interesse del mondo che neppure ha fatto in tempo a rendersi conto cosa sono in realtà questi tibetani, come vivono, quali sono i loro costumi, i loro pensieri, la loro religione, cosa offre il suolo a quegli uomini che non chiedono che di vivere in pace, in mezzo alle loro superstizioni (e questa parola sia detta senza volere ostentare aria di superiorità, perchè anche noi, uomini civilissimi abbiamo le nostre, enormemente grandi superstizioni; solo che ci siamo abituati fin dalla nascita e abbiamo finito non solo per non farci più caso ma addirittura per crederci ciecamente) e ai loro usi.

Il Tibet è un paese povero; forse il più povero che esista al mondo. Non lo si può confrontare neppure a certe Nazioni desertiche del Medio Oriente, neppure al centro dell'Africa. Basti dire che tutta l'immensa regione è costellata di montagne altissime e brulle; tanto brulle da non offrire neppure il legname per il riscaldamento, che viene ottenuto bruciando lo sterco essiccato di yak e di cammello.

La prima cosa che si deve considerare se si vuole comprendere lo spirito del popolo tibetano, è la sua religione. Una religione fatta tutta di estasi contemplative, di profonda filosofia, che porta tutto il Tibet ad un'alta concezione morale della vita, e gli conferisce quel carattere mite, cortese ed ospitale che lo contraddistingue.

Si tratta di una sorta di buddismo, sorto nel 600 e che con la massima rapidità si è diffuso non solo in tutto il Paese, ma anche in Cina, Mongolia, Manciuria, Russia asiatica e perfino Russia europea; questa religione è detta lamaismo, ed i suoi sacerdoti si chiamano Lama. Ed i lama sono nel Tibet la maggior parte della popolazione maschile. Rinchiusi in stupendi monasteri aggrappati su alte montagne, quasi sembrano scolpiti nella roccia, e rappresentano a volte autentici tesori d'arte, ottenuti con secoli di paziente lavoro, questi lama vivono la loro vita contemplativa. Sopra tutti questi lama è il Dalai Lama, capo spirituale del popolo tibetano, che vive a Lhasa, in uno stupendo palazzo su di un'alta collina. Il Dalai Lama attuale ha ora sedici anni, e sino a poco fa è stato assistito da un reggente. Le attuali condizioni politiche, hanno consigliato di anticipare di due anni la sua ascesa effettiva al trono. Il Dalai Lama viene prescelto con un procedimento quanto mai insolito. È credenza che quando il Dalai Lama muore, la sua anima si reincarni immediatamente nel corpo di un nascituro; e così fin dal tempo di Buddha, così che il Dalai Lama altri non è se non Buddha stesso.

Ai tibetani scoprire fra piccoli, nati quando il Dalai Lama è morto, l'incarnazione di Buddha. Allora i lama si mettono in viaggio e cercano per tutto il paese quello che sarà il loro nuovo capo. Scelgono quei bimbi che dopo attenta lettura delle loro linee della mano mostrano di possedere i maggiori requisiti e li trasportano a Lhasa, dove dopo altri attenti studi sarà designato il nuovo Dalai Lama; i piccoli non prescelti vengono rinviati alle loro famiglie, mentre l'eletto viene sottoposto a studi rigorosi e profondi che in pochi anni fanno di lui un uomo di profondo sapere e di grande scienza.

Come già ho detto, il Tibet è un paese brullo e costernato, posto su di un altipiano alto più di 5000 metri; da qui la definizione che gli e stata data di «tetto del mondo». È facile immaginare quale può essere la configurazione della terra ad una simile altitudine. Estati brevi e fresche, inverni lunghi, gelidi, durante i quali tutto si trasforma in ghiaccio duro e trasparente, dalle vette delle montagne all'anima degli uomini. E lo sconfinato altopiano viene battuto, scavato e trasfigurato da violenti venti, per descrivere il gelo dei quali è impossibile trovare parole adatte. Unico segno di vita vegetale, alcune provvidenziali sterpaglie, che resistono al gelo e sostentano cammelli ed yak.

La vita, in condizioni climatiche del genere, non può che essere misera. Infatti il tibetano, in genere nomade, è estremamente sobrio: vive di latte e dei suoi prodotti e di un po' d'orzo. Ma la terra non basta per dare a tutti i suoi frutti; e così il paese è percorso da un capo all'altro da predoni, lebbrosi, mendicanti e lama, i quali, o con le buone o con le cattive, cercano di strappare ai più fortunati un poco di cibo.

I costumi tibetani sono semplici. Quando in una famiglia nasce un maschio (considerato la benedizione della casa) si organizzano feste, ed un lama trae dai chicchi d'orzo l'oroscopo per il nuovo nato. Quando uno straniero si presenta in un paese, tutti gli si fanno appresso per festeggiarlo ed offrirgli ospitalità.

Eppure il Tibet potrebbe essere ricco; oltre alle miniere di uranio che si suppone possano esistere e che sembra abbiano deciso Mao Tse Tung all'invasione, ve ne sono certamente molte d'oro, d'argento, borace ed altri importanti minerali: ma non vengono sfruttate perchè è credenza che, togliendo dal grembo della terra i suoi tesori, la terra si ribellerebbe ed inaridirebbe. Questo è il Tibet; un paese misterioso, chiuso agli occidentali, profondamente mistico e puro, spazzato dal gelo e brullo, eppure pieno di tesori morali e artistici. Questo il Tibet, la più alta Nazione della terra, sovrastata a sua volta dal Keilassa, una colossale montagna di ghiaccio che i tibetani credono residenza della stessa Divinità.

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Mao Tse vuol dimostrare che i cinesi che combattono in Corea sono veramente dei «volontari»
e non già soldati inquadrati in unità regolari dell'esercito rosso.
Per questo a Pechino è stata messa in scena una vera e propria campagna di «arruolamenti»
con comizi nelle strade ed uffici di reclutamento dove i «volontari» vanno a firmare l’atto di ingaggio.
Il tutto serve soprattutto a tirar fuori delle ottime fotografie per la propaganda.

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