L'ANALISI
22 Luglio 2020 - 07:00
Momenti di forte tensione ai funerali dei cinque agenti di scorta del giudice Borsellino. Al termine del rito, alcuni colleghi delle vittime hanno stretto minacciosamente le autorità politiche presenti, strattonando lo stesso capo dello Stato, Scalfaro, giunto a Palermo assieme al presidente del Consiglio, Amato, e al capo della polizia, Parisi. In un incontro con Amato, Mancino, Martelli, Andò e Galloni il presidente della Repubblica ha auspicato maggior fermezza nella lotta alla mafia. E più poteri avrà il procuratore nazionale antimafia (i termini della sua nomina potranno essere riaperti): è questa una delle principali novità contenute negli emendamenti al decreto Scotti-Martelli approvati dal consiglio dei ministri. A Palermo si sono dimessi il sindaco e il sostituto procuratore, preannunciate le dimissioni di altri sette magistrati.
PALERMO — Dopo la vita blindata, la morte blindata. Per paura delle contestazioni la cerimonia religiosa ai cinque agenti uccisi domenica scorsa con il giudice Paolo Borsellino è stata «a inviti». Funerali di Stato, ma senza la gente in chiesa. La Palermo non rassegnata, quella che voleva esserci, per dire il dolore della città è stata tenuta lontana dalla Cattedrale. Un immenso cordone di sicurezza, una zona transennata tutt'intorno al tempio edificato mille anni fa dai normanni, non sono bastati però ad evitare le contestazioni e la rabbia. Hanno protestato, fuori dalla chiesa, tutti quelli che sono riusciti a raggiungere l'ampio sagrato della cattedrale, forzando in più punti il cordone di poliziotti, dai vicoli del centro storico, e dal corso Vittorio Emanuele.
E hanno protestato, hanno gridato, hanno invaso — loro sì — la chiesa, gli uomini delle scorte. A centinaia. Molti di loro sono entrati in chiesa al seguito delle bare dei cinque colleghi uccisi, Emanuela Loi, Agostino Catalano, Walter Cusini, Claudio Traina, Vincenzo Li Muti. Sono entrati gridando «Agostino, Agostino », il nome del più anziano dei loro colleghi uccisi. Gli altri hanno forzato i cordoni poco dopo, quando in Cattedrale è entrato Gherardo Bianco, il magistrato milanese che con Di Pietro indaga sullo scandalo tangenti. A muso duro, a decine, si sono avviati verso l'altare. Solo il buon senso di un paio di dirigenti della questura ha evitato la rissa in chiesa fra poliziotti e poliziotti.
Ma non è stata evitata, fuori dalla chiesa, una quasi carica sulla folla, per scongiurare il temuto assalto alle auto di Oscar Luigi Scalfaro, presidente della Repubblica, e del presidente del Consiglio Amato. Scalfaro e Amato sono entrati in chiesa soltanto alle 16,05, quando il cardinale Pappalardo aveva già concluso l'omelia. E non hanno potuto sottrarsi al passaggio tra la folla che urlava «buffoni, buffoni». Hanno dovuto avanzare fino all'altare «protetti» da Giuseppe Ayala, l'ex magistrato amico di Falcone e Borsellino (le due vittime delle stragi in successione), oggi deputato del Pri. Contestato anche il segretario del Msi, Fini. Applausi invece per Orlando. Attorno a quelle cinque bare, circondate dai parenti in lacrime, ma soprattutto assediate dagli agenti delle scorte — i sacerdoti non avevano quasi spazio per officiare la cerimonia — c'era anche il nome, il ricordo, del sesto uomo. Di Paolo Borsellino, per il quale la famiglia non ha voluto i funerali di Stato. La gente sul sagrato, gridava «Borsellino ce l'ha insegnato, fuori la mafia dallo Stato». E nell'omelia, il cardinale Pappalardo ha definito Paolo Borsellino «un testimone di fede e di coraggio».
Il cardinale ha ricordato che «vittime sono quelli che muoiono, ma anche la città di Palermo», invitando poi a «non perdere la speranza: lo sgomento, la rabbia, la protesta, non devono avere il sopravvento sull'impegno positivo di ciascuno». All'invocazione del cardinale «Alzati Palermo, non rassegnarti alla sconfitta» segue la preghiera di Claudia Loi, la sorella di Manuela, una delle vittime. «Signore aiutaci a perdonare questi uomini malvagi che hanno fatto questo» dice Claudia, la voce annegata nelle lacrime. Le risponde un urlo, mille voci «Fuori i mafiosi dalla chiesa».
«Noi siamo qui». Il grido di un agente delle scorte, che si pone a braccia spalancate di fronte all'altare, e si rivolge agli uomini che rappresentano lo Stato, dà il segnale della rivolta. I funerali dei cinque agenti si chiudono con un assalto che ha per bersaglio il prefetto di Palermo, Mario Jovine, e il capo della polizia, Vincenzo Parisi.
Quest'ultimo, che tenta di fare strada a Scalfaro e ad Amato, improvvisamente non ha più attorno a sé le divise del cordone di sicurezza. Ci sono invece gli uomini delle scorte, gli stessi che dopo la morte di Giovanni Falcone e di tre agenti della sua scorta, due mesi fa, si erano tutti messi la fascia nera al braccio, e dicevano «non parlate con noi, noi siamo morti».
Parisi è strattonato, preso a spintoni, malmenato. A stento riesce a raggiungere la sua auto, e finché non vi si chiude dentro gli urli continuano, con gli agenti delle scorte affiancati dalla folla, sul sagrato. Non si può negare, questa volta, che le proteste vengano in gran parte dai poliziotti. Le pistole infilate alla cintura sono rivelatrici. Scalfaro e Amato, ancora una volta, si salvano grazie ad Ayala che li accompagna fuori dalla chiesa, per un'uscita secondaria. Scalfaro era visibilmente teso.«Siamo andati a fare il nostro dovere di partecipazione molto sentita a questa grande sofferenza». Così si è poi limitato a rispondere ai giornalisti.
Mediagallery
IL MEDICO RISPONDE. IL VIDEO
VILLANOVA SULL'ARDA
MOBILITATI PER LA PALESTINA
Prossimi EventiScopri tutti gli eventi
Tipologia
Data di inizio 7 settembre 2025 - 16:15
Itinerario del circuito delle Dimore Storiche Cremonesi
Tipologia
Data di inizio 7 settembre 2025 - 21:00
Copyright La Provincia di Cremona © 2012 Tutti i diritti riservati
P.Iva 00111740197 - via delle Industrie, 2 - 26100 Cremona
Testata registrata presso il Tribunale di Cremona n. 469 - 23/02/2012
Server Provider: OVH s.r.l. Capo redattore responsabile: Paolo Gualandris