L'ANALISI
26 Novembre 2025 - 05:05
CREMA - Il brivido alcolico che scioglie i nervi. L’euforia come una scintilla strofinata nel buio. Poi lo schianto: un blackout improvviso, il corpo che cede e l’asfalto come capolinea. È successo ancora. Nel giro di pochi giorni, tre minorenni cremaschi sono finiti in ospedale dopo aver perso i sensi nel cuore della movida. Tre ragazzi con il volto pallido della paura, trascinati fuori da una sbornia che non aveva nulla della leggerezza inseguita. Una leggerezza che immaginavano di afferrare e che invece, come una porta sbattuta dal vento, li ha scaraventati altrove.
La scena è sempre la stessa, replicata come in un triste rituale: un vicolo, una piazza, un muretto dove ci si accascia. Poi l’aria della notte squarciata dal lamento delle sirene e lo sfarfallio blu dei lampeggianti che illumina il corpo steso a terra: una ragazzina con il capo che sanguina, un amico che non sa se scuoterla o scappare, un gruppo che si disperde quando arrivano gli adulti con le loro domande. «Intossicazione etilica», scrivono i medici nei referti.
Ma la diagnosi vera, quella che non compare nella cartella clinica, parla di altro: fragilità, solitudini e un bisogno confuso di anestesia emotiva. Perché l’alcol è diventato per molti adolescenti una scorciatoia facile: un’automedicazione improvvisata per placare ansie che non hanno nome, un interruttore per spegnere tutto il resto. L’ebbrezza come atto liberatorio, il vuoto come conseguenza inevitabile, un vuoto che spesso li rincorre anche da sobri.
La Generazione Z è cresciuta connessa ovunque e connessa a nessuno. Abituata a mostrarsi forte e sorridente online, spesso inciampa nell'urgenza di dimostrare di essere ‘all’altezza’ anche nel mondo reale: più spensierata e più sfrontata. L’alcol diventa così un linguaggio comune, il lasciapassare per entrare nel gruppo. I campanelli d'allarme sono sotto gli occhi di tutti: si ingollano drink a raffica per stordirsi in fretta e si mischia senza sapere cosa si sta facendo, si racconta la sbornia come una sfida e si considerano gli svenimenti come imprese da ricordare il giorno dopo.
Le risposte a questi episodi richiedono un coordinamento tra famiglie, scuola, istituzioni, luoghi di aggregazione e servizi. L’obiettivo è rafforzare la presenza di figure adulte in grado di offrire ascolto e orientamento, oltre che definire contesti sicuri. Le agenzie educative lavorano da tempo su questo fronte attraverso spazi strutturati, attività di peer education e interventi nelle aree della movida, con approcci mirati alla prevenzione e al supporto, senza ricorrere a misure repressive.
Mentre tre ragazzini cremaschi si risvegliano in un letto d’ospedale, certamente confusi e spaventati, un’intera comunità ha il dovere di domandarsi cosa significhi davvero accompagnare chi cresce. Servono relazioni che tengono insieme e percorsi che mostrino come la vita non sia una gara a chi cade più forte, ma un viaggio condiviso dove qualcuno ti aiuta a rialzarti.
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