L'ANALISI
19 Agosto 2025 - 05:30
Filippo Ruffoni
MONTODINE - Un viaggio tra storia e avventura. Questo è stato la salita del monte Eiger, attraverso la cresta Mittellegi, per lo scalatore montodinese Filippo Ruffoni. La montagna dell’Eiger, 3.970 metri, con la sua inconfondibile parete nord, è da sempre uno dei colossi più temuti e affascinanti delle Alpi svizzere. Per gli alpinisti, salire questa montagna soprannominata l'Orco, significa affrontare non solo una sfida fisica e tecnica, ma anche un’esperienza che incarna la storia stessa dell’alpinismo.
«Ho avuto l’opportunità di vivere questa impresa – spiega Ruffoni - insieme all’amico e guida alpina Edmond Joyeusaz. L’Eiger è entrato nella leggenda dell’alpinismo per le conquiste epiche ma anche per le tragedie accadute. È stato scalato per la prima volta nel 1858, ma la cresta Mittellegi è stata aperta solo nel 1921 da Yuko Maki e da tre guide svizzere, diventando rapidamente una delle vie più desiderate dell’arco alpino. Soltanto nel 1938 è stata individuata la via di salita nel versante Nord».
Ruffoni racconta l’avventura: «È iniziata al rifugio Mönchsjochhütte, a 3657 metri di altitudine, punto di partenza per molte ascensioni in questa zona. Dopo una notte passata immersi nel silenzio alpino, ci siamo preparati per il lungo cammino verso la vetta dell’Eiger. Di primo mattino, abbiamo raggiunto in treno la stazione Eismerr, da dove ha avuto inizio della scalata. E’ stato necessario utilizzare la Jungfraubahn, una straordinaria ferrovia a cremagliera che porta fino alla stazione più alta d’Europa, la Jungfraujoch 3.454 metri, nel cuore delle Alpi bernesi, una linea ferroviaria scavata nel cuore dell'Eiger e in funzione dal 1912».
Questa fermata è entrata nella storia come una delle tappe simboliche dell’ascensione all’Eiger, passaggio obbligato per chi desidera affrontare la cresta Mittellegi, uno dei percorsi più affascinanti per sscalare l’Eiger, un vero e proprio gioiello per gli alpinisti esperti. «Si tratta di una lunga linea – aggiunge lo scalatore - che, partendo da una spalla della montagna, segue la dorsale rocciosa fino a raggiungere la vetta. La via presenta una difficoltà considerevole, verticalità e tratti aerei, ma offre una visione incredibile delle vette circostanti, in particolare del Mönch e dello Jungfrau. Il passo lungo questa cresta è stato impegnativo, ma esperienza e calma sono stati ottimi compagni di salita che ci hanno sostenuto per affrontarla in sicurezza. Nonostante la difficoltà del terreno, la vista dalla cresta era mozzafiato: da una parte il ghiacciaio più grande d’Europa, l’Aletsch, dall’altra la parete nord dell’Eiger con il vuoto di circa 1800 metri che scendeva verso la valle di Grindelwald».
Il paesaggio ha regalato emozioni uniche anche nella discesa, affrontata via sud-ovest, con ritorno al Mönchsjochhütte. «Una volta raggiunta la cima dell’Eiger, dopo sei ore di salita, il panorama che si apriva sotto di noi era indescrivibile, ma la montagna non concede tregua e la discesa si è rivelata altrettanto impegnativa e articolata, con un terreno che alternava tratti di roccia verticali a passaggi in diagonale su neve. La via sud-ovest, seppur meno famosa della parete nord, è altrettanto storica e presenta un impegno tecnico notevole. Le condizioni della neve, che abbiamo trovato nel tratto inferiore, hanno reso la discesa ancora più interessante, costringendoci a essere molto concentrati, specie nei passaggi tra i crepacci».
Ruffoni, ormai abituato a vette ben più alte, spiega le ragioni di questa impresa estiva: «Io e la guida abbiamo voluto mettere alla prova non solo le nostre capacità alpinistiche, ma anche il nostro spirito di squadra, in previsione di altre ambiziose avventure. Sono salito fino in cielo per dedicare questa impresa a Gianfranco Facchi, un grande membro del Panathlon Club Crema».
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