L'ANALISI
09 Maggio 2023 - 05:25
A37 anni di distanza, l’incidente alla centrale nucleare di Chernobyl continua a estendere la sua ombra sulla cronaca, la percezione dell’energia nucleare, e la nostra comprensione degli effetti dell’uomo sull’ambiente. Persino nell’infausta categoria dei disastri industriali pochi altri incidenti vantano una simile presa sul nostro immaginario collettivo, come testimoniato da resoconti letterari, serie televisive e videogiochi ambientati a Chernobyl.
Facile immaginare che quella persistenza derivi, oltre che dal ruolo giocato dal disastro nel tracollo dell’Unione Sovietica e nel decidere le sorti dell’energia nucleare nel nostro paese, anche dalla persistenza dei contaminanti radioattivi che ha diffuso. Dati i lunghi tempi di decadimento, i radioisotopi attualmente più abbondanti — cesio-137 e stronzio-90 — si sono approssimativamente solo poco più che dimezzati dal momento dell’incidente. Altri radioisotopi, come il plutonio-238, diffusi per effetto della dispersione di frammenti del reattore stesso, hanno tempi di dimezzamento nell’ordine delle migliaia o decine di migliaia di anni: continueranno a riguardarci per lungo tempo.
Eppure le conseguenze del disastro di Chernobyl sono tutt’altro che stabilite. Al contrario, sono oggetto di studio e di controversia, sia per quanto riguarda la salute umana, sia per gli effetti sugli ecosistemi contaminati. Da più di dieci anni, le mie ricerche si focalizzano su questi ultimi. Il dibattito sulle conseguenze ambientali del disastro a Chernobyl deriva dalla concomitanza di due drastici cambiamenti seguiti all’incidente.
Da una parte il rilascio dei contaminanti radioattivi, che causano danni genetici, fisiologici e allo sviluppo degli organismi; dall’altra, l’evacuazione degli abitanti di Pripyat e dei villaggi circostanti, che ha emancipato le popolazioni animali dalla presenza e dalle attività dell’uomo, (ri)creando spazio ecologico. La Zona di Esclusione di Chernobyl è di fatto un’anomala riserva naturale, pressoché priva di interferenza umana, ma non per questo al riparo dalle tossiche conseguenze di un passato determinato dall’uomo. Come si bilanciano, dunque, queste due opposte caratteristiche? Per rispondere a questa domanda, assieme a scienziati da Stati Uniti, Francia, Finlandia e Norvegia, ho condotto diverse spedizioni nella Zona di Esclusione, visitando siti tra i più altamente contaminanti dalle radiazioni a livello mondiale, tra cui la famosa Foresta Rossa, il cui nome deriva dalla colorazione che i pini silvestri assunsero, investiti dalla nube radioattiva, prima di morire.
Nel corso degli anni, abbiamo condotto ricerche per stimare la dose di radiazioni ricevuta dagli animali ed esaminare le conseguenze sulle loro caratteristiche e funzioni biologiche, il loro sviluppo, la loro riproduzione. La specie su cui più ci siamo focalizzati è la rondine (Hirundo rustica). Le ragioni che rendono questa specie familiare a tutti noi sono le stesse per le quali la rondine è un ottimo modello di studio: la sua nidificazione in edifici umani permette il monitoraggio del suo successo riproduttivo; il ritorno al medesimo nido anno dopo anno – un comportamento a cui in gergo scientifico ci si riferisce con il termine ‘filopatria’ – consente di seguire gli stessi individui nel corso delle loro vite, potendone stimare la sopravvivenza e la sua relazione con i comportamenti misurati.
Gli studi sulla riproduzione di questa specie hanno evidenziato come le rondini che nidificano in aree più contaminate dalle radiazioni depongano meno uova, dalle quali schiudono meno pulcini, i quali hanno una minor probabilità di raggiungere l’involo. In altre parole: le rondini di Chernobyl si riproducono meno, qualunque sia l’aspetto che misuriamo. Inoltre, rispetto ad aree di controllo, le rondini di Chernobyl hanno code più asimmetriche, e una maggiore incidenza di altre anomalie, tra le quali la presenza di penne bianche in parti del piumaggio di altro colore. Alcune di queste stesse anomalie le avremmo poi riscontrate anche in altre specie, quali fringuelli e cinciallegre.
In linea di principio, però, alcune di queste conseguenze potrebbero anche essere indipendenti dalle radiazioni, e dipendere invece da altri cambiamenti innescati dal disastro, quali l’abbandono delle pratiche di allevamento del bestiame che portano abbondanza di insetti per le rondini. Per confermare il ruolo dell’esposizione alle radiazioni, è innanzitutto necessario confermare che l’esposizione alle radiazioni sia la ragione sottostante le differenze nel successo riproduttivo e nella presenza di caratteristiche anomale. Le nostre misurazioni sull’esposizione alle radiazioni, condotte con metodi sostanzialmente non diversi da quelli usati nell’industria o nei reparti di radiologia per monitorare il personale, hanno confermato dosi compatibili con effetti sulla riproduzione.
Ma come si arriva dall’esposizione alle radiazioni fino a una riduzione del numero di uova deposte, o di pulcini involati? Un meccanismo potenziale sta nel danno che le radiazioni causano al DNA, la più cruciale di tutte le molecole biologiche. Danni al DNA possono causare il malfunzionamento delle cellule. La loro mancata riparazione porta a mutazioni, che nell’uomo come negli animali possono causare effetti fisiologici e comportamentali negativi, oltre che indurre lo sviluppo del cancro. Per questa ragione ho misurato il danno genetico a cellule del sangue di rondini di Chernobyl, confrontandolo con popolazioni di controllo di altre rondini ucraine.
I risultati dimostrano livelli più elevati di danno genetico, in linea con altri studi che hanno dimostrato alti tassi di mutazione in varie altre specie. Molto altro rimane ancora da studiare. Per esempio, una domanda alla quale stiamo cercando risposta è se gli animali a Chernobyl si sono adattati alle radiazioni. L’evoluzione per selezione naturale è un processo potente e creativo, in grado di generare nuove caratteristiche, talvolta anche in lassi di tempo brevi, come le poche decine di generazioni di uccelli che si sono susseguite dal momento dell’incidente. Con colleghi dell’Università di Milano e della University of South Carolina stiamo analizzando i genomi di rondini di Chernobyl per stimare la frequenza delle mutazioni e capirne la tipologia, lungo il miliardo e duecento milioni di ‘caratteri’ che compongono il genoma di una rondine.
Parallelamente, altri gruppi di ricerca stanno conducendo studi analoghi su altre popolazioni animali: raganelle nelle quali è stata documentata una colorazione atipica, melanica; cani discendenti dagli animali domestici delle famiglie di Pripyat prima dell’evacuazione, e lupi che scorrazzano indisturbati dalle angherie umane. Le lezioni che possiamo trarre da Chernobyl sono dunque molte, anche al di là della catastrofe stessa. Oltre a comprendere meglio gli effetti dell’esposizione alle radiazioni sugli ecosistemi, la Zona di Esclusione si offre come un laboratorio per lo studio del disturbo umano agli ecosistemi. Se ne desume che alcune popolazioni animali, quali i lupi e i bisonti europei, sono incredibilmente resilienti, purché venga fornito loro lo spazio ecologico necessario.
È un’ottima notizia per le nostre necessità di fronteggiare l’attuale crisi di biodiversità. D’altra parte, Chernobyl ci insegna anche che alcune azioni umane sono meno reversibili di altre. Per decenni o secoli, la contaminazione radioattiva a Chernobyl continuerà a causare danni genetici e fisiologici agli organismi residenti. Nel frattempo, l’aggressione russa all’Ucraina e la guerra che ha causato hanno riportato Chernobyl nelle cronache, agitando lo spettro di ulteriore contaminazione, e fermando la ricerca a Chernobyl. È una conseguenza secondaria, in mezzo alle immani perdite e sofferenze. Come altri scienziati, aspetto il giorno in cui le ricerche a Chernobyl potranno ricominciare, il giorno in cui questa atroce guerra sarà finita.
Copyright La Provincia di Cremona © 2012 Tutti i diritti riservati
P.Iva 00111740197 - via delle Industrie, 2 - 26100 Cremona
Testata registrata presso il Tribunale di Cremona n. 469 - 23/02/2012
Server Provider: OVH s.r.l. Capo redattore responsabile: Paolo Gualandris