L'ANALISI
04 Luglio 2014 - 09:20
La parola dialettale è stata la mia prima vera maestra ai miei tempi la scuola ripudiava il dialetto. Non ho le proprietà linguistiche per scrivere e parlare correttamente l’italiano. Quando mi è concesso con il mio interlocutore spesso e volentieri mi esprimo in dialetto e le parole escono libere. E sono sollevato dalle preoccupazioni di sbagliare congiuntivi, verbi e altre parti del discorso. Sono trascorsi tanti e tanti anni e il dialetto è la mia parola, mi accompagna e come ha scritto Giovanni Tesio «si muove entro spazi aperti e se scelgo il dialetto lo faccio non per amore di confine ma per passione d’infinito». Leggere la pagina ‘El cantòon del dialèt’, i nostri poeti scrittori cremonesi, rigermoglia nel cuore la gioia dei ricordi passati. Di come ringrazio i gruppi culturali e teatrali che con avvedutezza e consapevolezza danno voce a qualcosa che è già quasi scomparso. La scuola deve dare spazio alla parola dialettale perché ha la capacità di preservare e di scorgere anche i più piccoli miracoli della vita. Il nostro dialetto orale scebro, non ripulito ha una funzione conservativa, testimoniale della civiltà contadina. Noi anziani siamo i protagonisti di questo mondo ricco di valori contadini, dalla fermezza e concretezza della vita della sua positività. Nella presentazione del sontuoso libro do Luciano Dacquati ‘La sapièensa de Cremùna’ il nostro direttore Vittoriano Zanolli riporta «questa raccolta è un gesto d’amore per Cremona, la sua gente, le sue tradizioni e tutto ciò che dà vita alla cosiddetta civiltà contadina». Quella civiltà contadina descritta sublimemente nel romanzo ‘Dove non vien mai sera’, scritto dal mio compaesano poeta-scrittore, Gianni Tortini. Rileggendo questo libro ho rivissuto quell’immancabile parola dialettale. Tonino Guerra è considerato l’Omero della terra romagnola, ha scritto che se si permetterà che il tempo cancelli il dialetto che è la cultura dei paesi, nei cuori ci sarà freddo.
Antonio Danesi
(S. Daniele Po)
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