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Quelle voci dentro insegnano a vivere

Esordio narrativo dell’archeologa Noio: una saga famigliare lunga cent’anni

Paolo Gualandris

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pgualandris@laprovinciacr.it

02 Luglio 2025 - 05:25

CREMONA - «Le saghe famigliari conquistano lettori perché offrono la possibilità di una immedesimazione in storie che in qualche modo ci riguardano tutti. Inoltre offrono personalità a cui potersi affezionare». Per il suo esordio letterario Nadia Noio, archeologa di professione, ne ha scelta una che da metà Ottocento attraversa un secolo, andando a scavare con la delicatezza tipica della sua professione nel profondo degli animi di personaggi raccontati magistralmente. Siamo in Campania, a dare il via alla saga è la Piccerella.

Ingenua e credulona per natura, è a servizio in un’aristocratica famiglia napoletana, in cui il padrone, Mascariello, e suo figlio Zufolo approfittano ripetutamente della sua innocenza con il benestare della moglie del primo, la Libbardèra, da sempre al corrente dei tradimenti del marito. Tutto cambia quando la ragazza scopre di essere incinta, senza che si conosca l’identità del padre.

Noio parla del suo romanzo - 'Tornerà la primavera' - nella videointervista online da oggi sul sito. In questo lavoro c’è lo zampino di suo nonno. «Lui aveva scritto le memorie della sua famiglia. E lo ha fatto senza velleità letterarie. Leggere quel memoir mi ha dato l’ispirazione per scrivere il mio romanzo. La differenza è che non ho voluto parlare di un contesto autobiografico, ma creare una famiglia immaginaria, di fantasia».

Torniamo alla Piccerella. La Libbardèra decide di relegarla in casa di una mammana, dove metterà al mondo il piccolo Orlando, candido e buono quanto sua madre. I due per un po’ si terranno lontani, ma pian piano riusciranno a tornare nella casa dei padroni, dove Orlando crescerà fino a diventare uomo. La mammana spera per lui un futuro migliore, ma i suoi sogni s’infrangono quando incontra la misteriosa Luisa, figlia di girovaghi e capace di sentire voci in grado di captare la malasorte. Come in una filastrocca, le vicende di questa famiglia continuano a dipanarsi seguendo un ciclo naturale destinato a procedere nonostante i rivolgimenti della Storia. Come un albero genealogico che si svela davanti agli occhi di chi legge, la narrazione procede spedita, sorprendendo il lettore a ogni svolta. Il santo, l’eroe, lo sconfitto, la figlia brillante e di gran carattere e generosa... Sono molti gli animi che Noio ha saputo scandagliare, definendo personaggi che non si possono non amare. Un romanzo in cui si incrociano i destini di figure indimenticabili e in cui ricordo intimo, magia e superstizione si mescolano per un racconto quasi epico.

«Una sorta di realismo magico è connaturato alla cultura partenopea, che poi è la mia di origine. L’occultismo era un fenomeno di costume tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, anni in cui vi era una certa predisposizione ad accettare l’elemento del magico, dell’insolito. Nella seconda metà dell’Ottocento è verosimile che nella quotidianità delle famiglie ci fosse sempre quel pizzico di superstizione. La voce che alcuni dei personaggi sentono è una sorta di faro che aiuta a superare congiunture particolarmente sfavorevoli». Un espediente narrativo anche «per arrivare a rendere l’idea che c’è qualcosa che noi ci portiamo dietro, un bagaglio culturale generazionale che possiamo accettare o meno». L’autrice ha dato vita a un microcosmo formato da una ventina di personaggi, ognuno molto diverso dagli altri. «Ciascuno ha una propria personalità anche se c’è sempre lo spettro del passato, l’eredità delle generazioni precedenti, però ognuno viene raccontato attraverso piccole vicende che risultano poi essere rappresentative rispetto all’intero vissuto del personaggio». In due hanno dovuto vivere il dramma di una guerra mondiale, la prima guerra in trincea, al fronte nella seconda. Entrambi sono accomunati dalle ferite esterne e soprattutto da quelle interne, pallottole che restano nell’animo. «Ho creato un contesto speculare cercando di capire quale potesse essere la percezione di una persona comune, quindi neanche troppo addentro alle questioni diciamo politiche del tempo. Entrambi i personaggi si trovano a fronteggiare situazioni a cui non erano preparati. Per scrivere quelle pagine mi sono non solo documentata sui fatti storici in sé, ma ho letto resoconti e diari di guerra in modo da avere la prospettiva di chi a combattere ci andava anche senza essere costantemente informato sui fatti ma sostanzialmente subendo le regole della guerra. Questo vale soprattutto per il primo personaggio, Nicola, che attraversa la prima guerra mondiale arrivandoci con il suo carico di ingenuità e non sapendo neppure quali fossero gli schieramenti. In maniera un po’ diversa, invece, Enrico, il secondo personaggio, si ritrova ad andare al fronte infarcito dell’ideologia fascista. Entrambi capiscono che nel momento in cui la guerra si fa davvero e si subisce non si è mai preparati abbastanza».

Di questa pletora di personaggi «a essermi il più caro è Orlando perché attraversa quasi tutte le generazioni. In qualche modo interpreta il cantastorie, diventando con il passare degli anni una sorta di archivio storico delle memorie di famiglia». Ha una bontà, una delicatezza e un’ingenuità che te lo fa amare, tenero e credulone, però è un gran raccontatore e in fondo il senso della famiglia viene da lui».

 

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