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Contu, il prezzo di essere vinto dalla Storia

Il direttore dell'Ansa racconta la vicenda del prozio, fascista gentile salvato da due partigiani

Paolo Gualandris

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pgualandris@laprovinciacr.it

07 Maggio 2025 - 05:30

CREMONA - Per Luigi Contu, direttore dell’Ansa, storia familiare e presente professionale si intrecciano strettamente nel romanzo ‘Domani sarà tardi’, dal significativo sottotitolo ‘Il 25 Aprile di un fascista salvato dai partigiani’. «Questo fascista era Luigi Contu, mio omonimo prozio. Ho trovato il suo diario nella biblioteca di famiglia, quando ho cominciato a leggerlo mi sono ritrovato sulle tracce di una persona della quale non conoscevo le rocambolesche vicende. Racconta dei suoi giorni in Val Brembana quando per lui tutto cade: il fascismo, suo ideale, e la relazione con l’amata Virette, che lo lascia in quanto antifascista. Una persona immersa in una crisi esistenziale enorme, che si rende conto degli errori fatti, ma che non vuole rinnegare il proprio credo. Un uomo che chiede di essere giudicato solo per le sue idee, ma non per ciò che non ha fatto affermando di non essere mai stato violento».

IN VAL BREMBANA CON LA RSI

Al contrario, e questo sarà la sua salvezza, nella sua attività, soprattutto in Val Brembana, si è rivelato persona ricca di umanità, capace di coprire gli amici pur intuendo che probabilmente militavano dall’altra parte. Contu parla del romanzo con Paolo Gualandris nella videointervista ‘Tre minuti un libro online’. Un quaderno a righe, ritrovato dal pronipote del protagonista, voce narrante. Nel cupo inverno del 1944 arriva a Zogno per dirigere un ufficio del ministero dell’Agricoltura della Rsi. È un fascista della prima ora, ha perfino fatto parte del governo guidato da Benito Mussolini, seppure per poco.

UN MONDO CHE FRANA

Nel giro di pochi mesi vede crollare il suo mondo con l’avanzata degli Alleati, i nazisti che spadroneggiano al Nord e i partigiani che si rafforzano, mentre si moltiplicano eccidi e rappresaglie. Con l’arrivo del 25 aprile, l’essere una persona perbene non gli basterà: è arrestato e processato in un concatenarsi di eventi burrascosi e imprevedibili. Chi potrà salvarlo da una condanna a morte? Ricostruendo l’intima resa dei conti di un uomo, il dramma di una famiglia, intrecciati con l’affresco di un’epoca, l’autore racconta con intensità e sensibilità un passaggio cruciale e drammatico della storia di un Paese spaccato. «Studiando gli ultimi giorni della Rsi - sottolinea Contu - a colpire è che sembrava persa l’umanità. Alcuni, da una parte e dall’altra, continuavano però a dialogare, a ragionare, a rispettarsi e alla fine anche a salvarsi a vicenda. Quindi questa è una piccola storia di speranza in un mondo che andava in frantumi». Due partigiani hanno salvato il suo prozio, il comunista Palmiro Togliatti lo ha restituito a un’esistenza normale. Un altro paradosso di questa vicenda. Una volta sfuggito al plotone di esecuzione, Contu infatti vive un anno in latitanza.

ABBAGLIATI DAL DUCE

È epurato, si guadagna da vivere con lavoretti e riesce a tornare a Roma solo dopo la cosiddetta amnistia Togliatti, voluta nel 1946 dall’allora ministro di Grazie e Giustizia per raggiungere una pacificazione nazionale, un colpo di spugna per i reati minori mentre i casi più gravi sarebbero stati comunque processati. Il dramma interiore del protagonista è nella citazione di Giuseppe Ungaretti ‘È il mio cuore il paese più straziato’, mettendo in parallelo quanto stava succedendo in Italia con il suo dolore. «Trattandosi di un diario intimo, questi aspetti emergono in maniera importante. Il lato umano della vicenda è l’aspetto che più mi ha colpito. Ammetto di aver utilizzato l’artificio dell’uso di una poesia di Ungaretti che non è citata nel diario reale. Però il poeta era persona di casa dai Contu, un grande amico di mio nonno, fratello di Luigi. E quindi questa poesia mi è sembrata un possibile filo conduttore di tutta l’esistenza del prozio, che racconta di avere aderito al fascismo in quanto prosecuzione del Risorgimento e delle grandi battaglie della prima guerra mondiale. Ungaretti fu un’altra personalità importante a esserne abbagliato. Quello degli intellettuali caduti nel tranello è un altro filo che mi ha appassionato: voler capire, non giustificare si badi bene, come mai queste persone non si fossero rese conto delle atrocità commesse dal fascismo, se non solo alla fine».

Com’è possibile che il prozio non abbia visto la grande violenza con la quale Mussolini è arrivato al potere e poi l’ha consolidato? «Questo interrogativo mi ha assillato: il nonno e suo fratello, sangue del mio sangue, avevano tutti gli strumenti per capire quanto succedeva. L’unica spiegazione, che però non è stata esplicitata da nessuno dei due, ma che cerco di inserire non solo nel romanzo ma anche e soprattutto nella mia anima, è che fossero accecati dall’ideologia. E questo è un messaggio che deve farci riflettere. Persone così erano talmente ideologizzate, talmente prese dal nazionalismo, dalla revanche, dalla voglia di rivoluzionare il sistema che fecero finta di non di non rendersi conto di quanto accadeva non solo dal delitto Matteotti in poi, ma anche prima con le squadracce fasciste in azione».

L’AUTOASSOLUZIONE

Diventa autoassolutorio, insomma, dirsi di avere aiutato molte persone. «Nel diario Luigi ripete spesso questo concetto, lo dice quando viene processato e anche alla fidanzata implorandola di non lasciarlo. A lei però faccio rispondere una considerazione che oggi penso io: ‘Forse non hai compiuto nessun gesto criminale, ma è la storia che ti condanna, che condanna te e Mussolini perché siete stati complici’ . Parole dure, taglienti, ma sono, ahimè, la realtà». Parole da consegnare ai lettori.

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