L'ANALISI
TESTIMONI DELLA SHOAH. IL VIDEO
03 Febbraio 2025 - 08:23
CREMONA - «Ai bambini non dovrebbe mai succedere niente. A nessun bambino, che sia ebreo, musulmano, africano... come si fa a toccare i bambini»? Tati Bucci ha solo 6 anni quando viene deportata a Birkenau con la sorella Andra, di due anni più piccola, e con la madre, la nonna, la zia e il cuginetto Sergio.
Tati e Andra sono sopravvissute, da vent’anni ritornano ad Auschwitz (di cui Birkenau era un sottocampo), partecipano ai viaggi della Memoria, testimoniano la Shoah e incontrano soprattutto i ragazzi. Lo faranno anche questa mattina (ore 10.30) al Ponchielli, in un appuntamento organizzato dalla Rete scuole e dall’Associazione nazionale Divisione Acqui come momento di preparazione all’edizione 202 del Viaggio. Con le sorelle Bucci interverrà lo storico Tristano Matta; l’incontro sarà moderato da Paolo Gualandris, direttore del quotidiano La Provincia, e introdotto da Ilde Bottoli, referente storica del progetto, e da Luciano Pizzetti, presidente del Consiglio comunale per i saluti istituzionali. Le due sorelle sono a Cremona da sabato pomeriggio, hanno visitato la città e sono state anche riconosciute per strada: «Dopo essere state ospiti delle trasmissioni di Pif e di Marco Damilano, ormai siamo star», sorride Tatiana nella sala dell’Impero dove abbiamo appuntamento.
Sono passati ottant’anni dalla liberazione di Auschwitz e dopo aver vissuto e sofferto l’indicibile anche il ricordo è doloroso. Non sarebbe meglio non ricordare nulla?
«Non abbiamo mai pensato di dimenticare quello che abbiamo vissuto nel campo - dice Andra -. Forse qualcosa avrò rimosso per proteggermi, ma non vedo come avrei potuto dimenticare quello che ho visto e che ho sofferto».
«Dal 2004 incontriamo i ragazzi nelle scuole, facciamo i viaggi con loro - interviene Tatiana - e vediamo sempre tantissima attenzione da parte loro. Non mi è mai capitato neppure una volta che qualcuno dicesse qualcosa che mi ha fatto male. Quando entrano nel campo, il loro atteggiamento è sempre molto rispettoso e consapevole. Molti ragazzi sanno più cose sulla Shoah dei loro genitori. Di recente abbiamo incontrato uno studente con le idee molto chiare, vuole fare lo storico e occuparsi della Shoah ed era molto preparato. E sabato al Museo del Violino siamo state riconosciute da una bambina di 8 anni che conosceva la nostra storia. Il senso della nostra testimonianza sta in questo. I miei ricordi si sono fissati. Magari non racconto sempre tutto, però non ricordo nient’altro. Ad Andra, invece, ogni tanto viene in mente qualcosa di nuovo». «Sì - conferma la sorella minore -, mi è capitato soprattutto durante le visite di veder qualcosa che mi ha sbloccato».
È possibile che, come teme Liliana Segre, della Shoah resteranno solo poche righe sui libri di storia?
«In futuro sarà diverso, noi testimoni prima o poi siamo destinati a morire - commenta Tati -. Però della Shoah si continuerà a parlare e continuerà a essere studiata». «Non è la prima volta che Liliana esprime questo timore - dice Andra -, probabilmente è pessimista e vede il bicchiere mezzo vuoto. O forse non ha mai viaggiato con i ragazzi, loro ci danno grande fiducia».
«Non è escluso che il pessimismo di Liliana Segre sia dovuto anche alla recente ondata di antisemitismo», interviene Matta.
Dopo l’attacco del 7 ottobre e la risposta di Israele, l’antisemitismo è riesploso. Va anche detto che è difficile dirsi contrari alla politica di Israele senza essere considerati antisemiti...
«Vero, l’antisemitismo e’ tornato a essere una piaga. Però mai come in questi mesi abbiamo ricevuto attenzioni - risponde Tati -. Abbiamo avuto tantissime richieste di incontri, al punto che in alcuni casi siamo state costrette a rifiutarci. La gente ha voglia di sapere e di conoscere».
«Il merito di Andra e di Tati - dice Matta -, oltre all’empatia, è di parlare molto di quello che hanno vissuto dopo la liberazione dal campo. Parlano molto del dopo, del senso di rinascita. Finiscono sempre con il parlare dei loro nipoti, il fatto stesso che ci siano è la grande sconfitta di Hitler».
Qual è stato il vostro ‘dopo’?
«Subito dopo la liberazione siamo state portate in un orfanotrofio vicino a Praga - dice Tati - e ci siamo rimaste qualche mese. Anche lì a un certo punto hanno fatto una selezione, hanno chiesto chi fosse ebreo. Siamo state trasferite a Lingfield, in Gran Bretagna, dove Anna Freud e Alice Goldberger avevano raccolto una ventina di bambini ebrei sopravvissuti ai campi».
«È stato un periodo molto bello, ci siamo affezionate molto a Manna, che consideriamo la nostra seconda mamma - spiega Andra -. Si chiamava Martha ed era la responsabile del nostro gruppo. Quando siamo tornate in Italia abbiamo perso i contatti perché non era ritenuto opportuno che mantenessimo rapporti, anche perché non tutti i bambini erano riusciti a ritrovare le loro famiglie. Però anni dopo ci siamo ritrovati, ci siamo rivisti da adulti eppure riconosciuti subito».
Com’è stato il vostro ritorno in Italia?
«Non è sempre stato facile - risponde Andra -, ma i nostri genitori sono stati bravi, non ci hanno ossessionato con le domande. Ci hanno lasciato il nostro tempo».
«Quando siamo arrivate a Roma - interviene Tati -, nostra madre era accompagnata da una sua amica che era stata sua compagna di prigionia. E soprattutto c’erano tantissimi componenti della comunità ebraica con le fotografie dei bambini deportati il 16 ottobre dal ghetto. Volevano notizie, ma noi non sapevamo nulla. Non sapevamo più neanche l’italiano. Nel campo avevamo imparato il tedesco, a Lingfield l’inglese e tra di noi parlavamo in ceco. Per un po’ abbiamo parlato in tedesco con mamma e in inglese con papà, fino a quando una maestra ha detto che avrebbero dovuto parlarci solo in italiano».
«Siamo di Fiume, siamo state anche esuli - dice Tatiana -. Non noi personalmente, però sembra che oggi ci si dimentichi della storia d’Italia. Anche a Marcinelle, in Belgio, in miniera, sono morte decine di italiani. Siamo stati anche migranti e oggi non ci pensiamo più».
E i vostri nipoti, allora?
«Siamo alla terza generazione, io ne ho tre - si illumina Tati -. Sono pochi se penso che ho amiche che ne hanno una decina», sorride.
«Abito in California. Mio nipote Joshua adesso ha trent’anni e quando ne aveva sedici o diciassette, per un esercizio con la scuola, ha voluto vivere l’esperienza del Lager - racconta Andra -. L’insegnante all’inizio ha rifiutato, poi ha accettato, dopo aver sentito il parere del medico. Per una decina di giorni, ha rinunciato all’auto, al telefonino, a tutto. Ha dormito in garage sul tappetino dello yoga, mangiava solo una fetta di pane al giorno, un po’ di brodo con un pugnetto di pasta e del tè. Dopo uno o due giorni ha perso il cucchiaio ed era veramente disperato. Ha vissuto solo in minima parte l’esperienza di un deportato, ma ha voluto provare. Ha tenuto un diario di quell’esperienza e due anni fa Mario Calabresi ne ha fatto un libro, Sarò la tua memoria».
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