L'ANALISI
Undici brani di death metal proiettati nel futuro
16 Marzo 2015 - 17:19
Un magma impetuoso e incandescente che avanza inesorabile. Fuggire o essere travolti. E’ questo il destino quando si ascolta Embryo, terzo album dell’omonima death metal band cremonese. Gli Embryo sfornano un album splendido, dove raccolgono a piene mani tutto quello che di buono avevano seminato nei primi due lavori. Un lavoro maturo, grazie anche al produttore Simone Mularoni che riesce con maestria e gusto nella ‘quadratura del cerchio’: una nitidezza e un bilanciamento dei suoni che rasentano la perfezione. A parte i riferimenti storici (Fear Factory, Meshuggah, Strapping Young Lad) necessari per inquadrare le coordinate stilistiche degli Embryo, l’album brilla per l’aspetto tecnico-compositivo che ha raggiunto la piena maturità artistica, conferendo al lavoro stesso un perfetto equilibrio tra immediatezza, complessità e originalità. E appena il cd entra nel cassetto dell’impianto la tenebrosa An Awkward Attempt o la maestosa Manipulate Of Consciousness sono già la dimostrazione di quanta qualità è contenuta nel disco. Dietro le pelli siede Francesco De Paoli dei Fleshgod Apocalypse (che ha registrato l’album, prima dell’ingresso nella band del nuovo batterista Enea Passarella) capace di sintonizzarsi e integrarsi con disinvoltura con il basso di Nicola Iazzi, le tastiere di Simone Solla e la chitarra di Eugenio ‘Uge’ Sambasile per permettere alla voce Roberto Pasolini di graffiare e corrodere tutto quello che incontra. Nulla è stato lasciato al caso come dimostra The Pursuit of Silence, brano dove le tastiere ‘rallentano’ la veemenza del pezzo, creando una miscela che sfocia in un’atmosfera claustrofobica di sicuro effetto. Ma è con Insane Lucidity, Embryo e Fragments of Utopia che la band raggiunge l’apice compositivo. Il primo pezzo è ricco di sfaccettature e molteplici soluzioni, il secondo è potente e incastonato da cori sinfonici, il terzo è lineare con le tastiere che ‘abbracciano’ l’intero brano in una morsa che non lascia scampo. Ci sono anche la bella e inquietante The End of the Beginning, la lenta e possente The Door of the Abyss, la progressiva My Pounding Void e The Touch of Emptiness (che rappresenta bene la sintesi tra immediatezza e complessità) che regalano momenti di pura lucidità e brillantezza compositiva. Poi, in chiusura dell’album, I Am Pure Hate, ultima e solenne bordata sonora che ci regalano gli Embryo. Il disco è il lavoro di una band che ha saputo costruire negli anni un’impalcatura musicale notevole che ormai vive di luce propria e proietta gli Embryo verso nuovi e sfavillanti orizzonti.
Fabio Guerreschi
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