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8 maggio 1957

Complicata vicenda di assegni a vuoto, usura e bancarotta conseguente al fallimento della fiaschetteria "Enos"

Un processo con tre imputati e 162 testimoni

Annalisa Araldi

Email:

aaraldi@publia.it

08 Maggio 2018 - 07:00

La complicata vicenda legata al fallimento della fiaschetteria "Enos"

Quando il Tribunale ha respinto la richiesta del P. M. fendente all'emissione del mandato di cattura, un imputato ha baciato la mano al suo difensore e l'altro è stato colto da malessere

Ieri mattina alle 9,30 precise, si è aperta la prima udienza in Tribunale di un lungo e complesso processo per bancarotta fraudolenta nel quale sono implicati il commerciante Enzo Bordoni, di 34 anni, e x gestore della ditta “ Enos” che si trovava in piazza Cavour 23.

Il mediatore Pompeo Maccagnoni, di anni 48 e il commerciante Francesco Monfredini, che dovranno pure rispondere di emissione di assegni a vuoto, di usura e di altri reati minori.

Il presidente del Tribunale dott. Acotto (giudici dott. De Blasi, Fiorentino; P.M. dott. Benassi; cane. Ciobbo) faceva l'appello degli imputati e dei primi quindici testimoni che erano stati chiamati per questa udienza (come è noto i testimoni, tra quelli a carico e a discarico, sono oltre 150) e constatava che Francesco Monfredini, che è un imputato minore in quanto deve soltanto rispondere di una emissione a vuoto a favore del Dordoni di un assegno di 450 mila lire, non si trovava in aula perchè ammalato.

L'avvocato Tirindelli della difesa presentava un certificato medico che il Presidente allegava agli atti dichiarando di procedere in contumacia nei suoi confronti. Il Presidente Acotto faceva, quindi, l'esame dei documenti allegati ai voluminosi fascicoli analizzando i certificati penali di Dordoni, di Maccagnoni e di Monfredini.

Il Tribunale contestava al Monfredini la recidiva semplice specifica nel quinquennio e al Maccagnoni la recidiva generica 'semplice' nel quinquennio e poiché non avveniva nessuna costituzione di Parte Civile procedeva alla lettura del lunghissimo capo di imputazione. Ma prima che si procedesse all'apertura del processo vero e proprio avveniva il primo incidente provocato da una richiesta del Pubblico Ministero.

L'incidente, d'altra parte, era già previsto per cui i quattro avvocati della difesa (Battaglia e Tirindelli per Maccagnoni e Monfredini, Groppali e Bettinelli per Dordoni) avevano già predisposto il loro piano per smantellare la richiesta del Pubblico Ministero. Prima che l'udienza venisse aperta, infatti, c'era stato un vivace scambio di idee tra gli avvocati si consultavano grossi volumi della Giurisprudenza, venivano scambiati fascicoli. C'era, insomma, nell'aria una atmosfera di nervosismo teso.

La richiesta del Pubblico Ministero tendeva a far emettere dal Presidente del Consiglio giudicante, cioè dal dott. Acotto, il mandato di cattura nei confronti di Dordoni e di Maccagnoni, mandato di cattura che avrebbe messo in una grave situazione di disagio sia gli imputati che la difesa.  Gli avvocati, già da alcuni giorni, avevano approfondito l'ardua materia giuridica per trovare una via risolutiva; avevano perduto l'intera notte per stendere i piani della difesa, affinchè l'ordine del mandato di cattura non venisse eseguito in aula.  

Il Pubblico Ministero svolgendo la sua tesi, convalidata e appoggiata da una documentata prova giurisprudenziale, aveva ritenuto che il Presidente del Collegio dovesse emanare l'ordine d'arresto per entrambi gli imputati in quanto il mandato di cattura, nella fattispecie dei reati che si stavano giudicando, era obbligatorio.

Il giudice istruttore avrebbe dovuto farlo ma, invece, il 20 luglio del 1955 emetteva un ordine di libertà provvisoria. Stava quindi, al Presidente del Tribunale giudicante emettere il mandato di cattura. Contro, le conclusioni del P.M. replicava l'avv. Tirindelli e, subito dopo l'avvocato Groppali che ritenevano, proprio in virtù della Giurisprudenza e delle disposizioni del Codice di Procedura Penale, insostenibile una tale richiesta in quanto esisteva legittimamente in atto, un dispositivo per la libertà provvisoria, che non poteva essere in nessun modo revocato. Il dott. Acotto si ritirava in Camera d i Consiglio.

Rientrava dopo oltre mezz'ora e il Presidente dava lettura- dell'ordinanza con la quale respingeva la richiesta d e l Pubblico Ministero.  La sentenza veniva sottolineata dal pubblico (che era stipatissimo nello stretto spazio a lui riservato) con prolungati mormorii. Maccagnoni aveva un improvviso slancio di entusiasmo e, con le lacrime agii occhi, si precipitava, prima c h e il dott. Acotto avesse terminata la lettura dei documenti, ad abbracciare l'avv. Tirindelli cercando di baciargli le mani.

L'emozione aveva invece preso Dordoni che si metteva a piangere e veniva colto da improvviso malore. Il Presidente concedeva dieci minuti di riposo ma quando l'udienza stava per essere ripresa, l'imputato Dordoni,  pallido e sconvolto, non aveva la forza di rimanere in aula. Il Presidente Acotto concedeva quindi che l'udienza venisse sospesa per essere ripresa nel pomeriggio alle 15.30.

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