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A noi i ticket, ai dirigenti della Sanità i super premi

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14 Aprile 2013 - 15:17

A noi i ticket, ai dirigenti della Sanità i super premi

Simona Mariani

A fine marzo si è discusso dell’opportunità di congelare il premio di produttività dei direttori generali delle Aziende ospedaliere e sanitarie regionali, accusati dalla magistratura di illeciti connessi ad appalti e forniture. È il caso del dg dell’ospedale maggiore di Cremona, Simona Mariani, indagata per corruzione e turbativa d’asta, nell’inchiesta della Direzione investigativa antimafia di Milano per l’acquisto dell’acceleratore lineare Vero, uno strumento utilizzato nella diagnostica oncologica. Valutati gli obiettivi aziendali raggiunti, allaMariani è stato assegnato un incentivo di quasi 29mila euro. Il dibattito giornalistico su questa vicenda si è tradotto nella richiesta formale del Pd al governatore lombardo di sospendere i premi ai dirigenti indagati. Viene istintivo avallare iniziative politiche come questa che trovano terreno fertile e incontrano il consenso popolare. Vent’anni dopo Tangentopoli, la deriva forcaiola torna a prevalere nei sentimenti della gente sulla presunzione di innocenza. È tale la sfiducia nel ceto politico che un atto d’accusa equivale a una sentenza di condanna.

È comprensibile che ciò accada: sono tali le colpe delle quali si sono macchiati molti rappresentanti della seconda Repubblica, per incapacità o disonestà, da avere generato un senso di sfiducia generale. Se si vuole evitare di ridurre in macerie un Paese già vicino al collasso economico, è da evitare la tentazione giustizialista nell’affrontare questioni come questa e altre che vedono coinvolta la classe politica. È irresponsabile fomentare anche indirettamente la ribellione popolare quando le analogie tra questa fase storica e gli anni Settanta sono tali da far temere il ritorno del terrorismo. Occorre valutare la questione dei premi ai dirigenti pubblici sganciandola dagli aspetti giudiziari che coinvolgono solo alcuni di loro. Un approccio etico e pragmatico, non moralistico, aiuta a individuare la strada da percorrere. B uon senso e convenienza politica suggeriscono che in questo momento di grave difficoltà economica i premi non siano elargiti agli indagati in quanto tali, ma a nessun dirigente pubblico. E’ una prassi che andrebbe estesa dalla sanità a ogni ente. Parliamo di Stato, Regioni, Province, Comuni e aziende controllate. C’è chi si scandalizza se Sergio Marchionne ha compensi per 7,4 milioni di euro ed è terzo nella classifica degli amministratori delegati più pagati dalle società quotate in Borsa. E’ un’indignazione legittima se questi stipendi astronomici escono dalle casse di società in crisi che chiudono stabilimenti e non esitano a mettersi al riparo dell’ombrello statale, come la Fiat. O se il top management del settore bancario, segnato da migliaia di esuberi, continua a ricevere emolumenti milionari. La crisi impone tagli più incisivi, come quello stabilito per il vertice di Unicredit e di Mps.

L’opportunità di ridurre i compensi più elevati nel settore privato diventa un imperativo in seno alla Pubblica amministrazione. Il debito statale è uno dei maggiori ostacoli alla ripresa economica. Se per ridurre i costi si pensa alla cancellazione delle Province, alla soppressione del Senato e alla riduzione delle indennità dei parlamentari, perché si assegnano premi da trentamila euro all’anno a dirigenti di ospedali e aziende sanitarie che già ne prendono 150mila? Tutti gli incentivi del pubblico impiego dovrebbero essere sospesi finché perdura la crisi. Il blocco servirebbe anche a prevenire tensioni sociali che minacciano di esplodere con l’aumento vertiginoso della cassa integrazione, cresciuta in marzo del 22,4% su febbraio. In un Paese corporativo come il nostro la Pubblica amministrazione amministra i suoi privilegi senza preoccuparsi dei 520mila lavoratori cassintegrati che nel 2012 hanno subito un taglio del reddito per un miliardo di euro, pari a 1.900 euro netti in meno per ognuno di loro. Chi assegna i premi ai dirigenti pubblici non riflette sull’impopolarità di questi meccanismi retributivi? La demagogia produce mostri e l’idea di Davide Serra di compensare senatori e deputati con uno stipendio mensile di mille euro in attesa della ripresa economica vale solo come provocazione. Il rampante finanziere, amico di Matteo Renzi, esaspera i toni, ma mette il dito nella piaga, come chi contesta giustamente le pensioni dei parlamentari e i vitalizi concessi al sottobosco politico. L’Italia non ha bisogno di moralisti che predicano bene e razzolano male, ma di persone che abbiano anche il coraggio di sanare l’immoralità dei premi concessi a dirigenti di strutture sanitarie che vivono di fondi pubblici, compresi i ticket per 4,4 miliardi di euro che abbiamo pagato nel 2012. Anche a beneficio loro.
Vittoriano Zanolli
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