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Tasse alle stelle, le colpe dei Comuni

Vittoriano Zanolli

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lromani@laprovinciadicremona.it

10 Agosto 2015 - 11:41

Tasse alle stelle, le colpe dei Comuni

C’era una volta il progetto di federalismo fiscale. Era uno dei cavalli di battaglia di una Lega Nord che sfruttava altri temi di larga presa, oltre a quello dell’immigrazione sul quale oggi è appiattita. Era ed è un problema vero. Interessa soprattutto il Settentrione che vede ridotte le sue potenzialità perché le risorse che produce vengono fagocitate dallo Stato e impiegate perlopiù a scopi improduttivi. La Corte dei conti ha riproposto il tema del federalismo fiscale a margine della relazione al parlamento sulla finanza locale. E’ una fotografia preoccupante — ma c’è qualcosa che non lo sia in Italia? — quella scattata dalla magistratura contabile. Negli ultimi tre anni è stato un massacro per gli enti locali e di riflesso per i contribuenti: la pressione fiscale è aumentata del 22 per cento, superando la ragguardevole somma di 618 euro a testa. Questo aumento trae origine dai tagli di 8 miliardi di euro dei trasferimenti dello Stato e dagli interventi convulsi, disorganici, talvolta contraddittori (vedi quelli sulla tassazione delle abitazioni) decisi a livello centrale sulle fonti di finanziamento. In previsione della sacrosanta abolizione della tassa sulla prima casa, annunciata dal Premier per il prossimo anno, i sindaci si preoccupano. Renzi li rassicura dicendo che i tagli della Tasi e dell’Imu saranno rimborsati integralmente, ma il precedente berlusconiano li rende giustamente diffidenti. Nell’ultimo lustro i Comuni hanno tamponato le falle cercando di garantire i servizi essenziali. Hanno fatto quel che potevano per mantenere i bilanci in equilibrio. La Corte dei conti invita a recuperare il progetto federalista che lega la responsabilità di presa alla responsabilità di spesa: gli enti locali restituiscono investendo ciò che tolgono tassando. Perché il progetto abbia ricadute positive occorre superare il criterio della spesa storica e determinare fabbisogni standard e costi, una buona prassi che oggi non trova applicazione nella gestione dei Comuni. Il federalismo fiscale nella sua versione originaria lega la raccolta delle risorse al loro reimpiego in sede locale. Si è visto infatti che senza adeguati stimoli degli investimenti pubblici, l’autonomia finanziaria non incrementa lo sviluppo e l’occupazione. Lo Stato fagocita e divora. Ma anche la gestione delle risorse da parte dei Comuni e degli enti locali è perlopiù improduttiva. I sindaci subiscono le decisioni prese a livello centrale, questo è vero. Sono vittime non incolpevoli. Subiscono vessazioni che li spingono a declinare le loro responsabilità. Solo oggi, ad esempio, il Comune di Crema interviene sui ‘furbetti’ delle case popolari. Minaccia di sfrattare una quindicina di grandi morosi che hanno accumulato affitti arretrati per 400mila euro. Da anni non pagano pur potendolo fare. Approfittano del lassismo di chi è pronto a lamentarsi di uno Stato sanguisuga ma non altrettanto solerte a tutelare gli interessi della collettività. E’ uno tra i molti esempi di cattiva gestione locale. Anche i cittadini approfittano della mancanza di rigore della Pubblica amministrazione dove si assecondano richieste talvolta assurde. I sindaci devono avere il coraggio di dire qualche ‘no’, a costo di perdere voti. E’ il prezzo per guadagnare credibilità. Devono farlo senza guardare a uno Stato che invece continua imperterrito a fornire pessimi esempi nella gestione del denaro pubblico. Uno tra i tanti? Lo stipendio di 136mila euro all’anno ai barbieri del- la Camera.

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