L'ANALISI
22 Marzo 2015 - 09:35
Le Università cremonesi sono a rischio. A renderne incerta la permanenza sul territorio è la riforma, approvata lo scorso aprile, che ha trasformato le Province in enti di secondo livello, non elettivi, ma composti dagli amministratori (sindaci e consiglieri comunali) dei municipi compresi nei confini territoriali provinciali, che restano immutati. Per dare il senso di una rivoluzione compiuta, ne è stato cambiato il nome. Ora si chiamano Aree vaste, una denominazione infelice perché vaga e imprecisa: così facendo il legislatore ha involontariamente sancito il pasticcio compiuto. Sì, perché le Province non esistono più, ma ci sono i loro dipendenti che non sanno che casacca indosseranno e soprattutto fino a quando percepiranno lo stipendio. Le preoccupazioni sono fortissime a Cremona per duecento lavoratori che ancora non conoscono il loro destino. In altre zone la situazione è addirittura disperata perché già mancano i soldi per le paghe dei prossimi mesi. Un dramma umano così grave e diffuso richiama quello degli esodati, causato da un altro genio della politica, l’ineffabile economista Elsa Fornero, ministro dell’Economia nel go- verno Monti tra il 2011 e il 2013. La sua riforma delle pensioni ha messo in strada quasi 170mila lavoratori. Nonostante sei provvedimenti di salvaguardia, la situazione è lontana dall'essere risolta definitivamente. Sono ancora numerosi i lavoratori senza tutele, benché il commissario dell’Inps Tiziano Treu abbia ripetuto che il problema degli esodati era tecnicamente risolto, se non per pochi casi isolati. Questo precedente non fa presagire un rapido reintegro dei dipendenti provinciali. Si sa che l’Italia è un Paese refrattario ai cambiamenti. Lo attesta la storia e ne sono la prova gli sforzi immani di chi imbocca la strada del rinnovamento. Che tocchino la Costituzione, la giustizia, il lavoro, la Pubblica amministrazione o il sistema elettorale, le riforme generano automaticamente resistenze tese a bloccarle e a mantenere lo status quo.
Ma se i risultati sono quelli prodotti dalle riforme Fornero e Delrio, le resi stenze sono giustificate. Ed è comprensibile la lentezza con la quale il Paese risponde agli appelli e ai moniti ricorrenti delle istituzioni europee che ci spronano a modernizzarci. Fare le riforme è uno scioglilingua utile a ingannare la realtà, che è quella di un Paese più incline a distruggere che a costruire. Un esempio per tutti lo fornisce il Porcellum. E’ legittimo dubitare di avere toccato il fondo con la legge elettorale di Calderoli perché non c’è limite al peggio. Si cancellano tutele pensionistiche creando enormi problemi sociali e con la stessa leggerezza si cancellano enti nei quali lavorano decine di migliaia di persone senza averne stabilita prima la destinazione. Al dramma umano di tanta gente si aggiungono le pesanti conseguenze, anche occupazionali, in settori come la cultura e l’istruzione universitaria dove le Aree vaste non hanno più competenza. Ai responsabili delle sedi cremonesi della Cattolica, del Politecnico e della facoltà di Musicologia dell’Università di Pavia è già stata comunicata la sospensione dei finanziamenti. Stessa sorte tocca alle fondazioni e agli enti culturali che l’ex Provincia oggi non può più sostenere perché il suo intervento è limitato alle funzioni fondamentali: strade, edilizia scolastica, viabilità, ambiente. I tre atenei perdono fondi per circa 300mila euro all’anno, un taglio che rende incerta la prosecuzione dell’attività per scuole prestigiose come la Smea e per la specialistica in economia agroalimentare. Le sedi universitarie cremonesi non esistono solo per gentile concessione degli atenei lombardi. Le abbiamo conquistate strappandole alle agguerrite città vicine, come Piacenza e Brescia, che a noi hanno lasciato le briciole. Oggi sono ben radicate e interagiscono proficuamente con il sistema economico e con le istituzioni culturali locali. La Provincia le ha aiutate a integrarsi con il territorio e a crescere. Lo stesso ha fatto con i teatri Ponchielli e San Domenico di Crema. Perdere l’alta formazione universitaria a Cremona e subire altri tagli alla cultura per colpa della legge di Stabilità e di una riforma incompiuta sarebbe un torto imperdonabile.
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