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L'INTERVISTA

Amleto², Filippo Timi porta al Ponchielli un classico tra ironia, energia e femminilità

Lo spettacolo torna a Cremona: un percorso teatrale dove il giovane principe del ‘600 incontra l’energia contemporanea e un omaggio al femminile, trasformando ogni serata in un’esperienza unica e sorprendente

Nicola Arrigoni

Email:

narrigoni@laprovinciacr.it

08 Dicembre 2025 - 10:24

Amleto², Filippo Timi porta al Ponchielli un classico tra ironia, energia e femminilità

Filippo Timi

CREMONA - ‘Amleto²’, elevato non solo alla seconda, come nel titolo, ma all’ennesima potenza, perché Filippo Timi è animale da palcoscenico sempre al massimo, è scrittura del corpo e parola che scotta, è sregolatezza animata da genio e istinto. Si dice questo perché l’appuntamento con Amleto² domani e mercoledì (ore 20,30) al Ponchielli è da vedere; dello spettacolo chi scrive serba un ricordo molto vivido e divertito, malgrado siano passati oltre 15 anni: lo si vide a Mantova nell’ambito dell’Arlecchino d’Oro. Sulla scorta di quell’esperienza e della necessità, per Timi, di riprendere il suo Amleto circense, la domanda più banale è che cosa sia cambiato.

«Che cosa è cambiato? La prima cosa è che siamo davvero 15 anni più bravi, nel senso che certe insicurezze, secondo me, davvero non ci sono più. Poi non vuol dire che non ci siano, è un altro tipo di insicurezza. La prima volta scelsi di mettere in scena Amleto perché in fondo mi chiedevo: ‘Sarò o non sarò io il nuovo Shakespeare?’. Alla fine uno spera sempre un poco di diventare qualcuno che lasci un segno».

A distanza di quindici anni ha trovato una risposta a quella domanda?
«No, ma mi rendo conto che mi faccio quella domanda ogni volta che vado in scena. Sarà anche perché ho compiuto 50 anni e si comincia a fare un bilancio, a chiedersi dove le scelte ci hanno portato. Alla fine è colpa di Iva Zanicchi che ha detto che a 50 anni siamo nel mezzo del cammin di nostra vita e allora speri sempre di essere il nuovo Shakespeare».

Sembra di capire che siete cambiati voi e non l’impianto dello spettacolo?
«Siamo sempre in una sorta di circo; con me ci sono le mie attrici, a Cremona non ci sarà Lucia Mascino, ma così potrò fare io la scena di Gertrude: è tutta una vita che voglio farla e, quando Lucia non c’è, mi prendo questa soddisfazione. E poi l’ho scritta io quella parte. Questo per dire che il mio Amleto si rinnova sempre, sera dopo sera. C’è una frase di Deleuze che mi piace citare, soprattutto parlando di Shakespeare: per essere storici bisogna essere contemporanei».

L’attualità dei classici, per riferirsi al tema del cartellone del Ponchielli?
«Amleto è vivo, sempre vivo: è la storia di uno vissuto nel ‘600, ma che ci appartiene. È un giovane che si interroga sul suo ruolo, su come il ruolo che ricopre possa condizionare la sua vita e la sua stessa persona, se è o non è Amleto. Credo che a 50 anni si possa essere Amleto, perché la sua domanda non ha età: sto vivendo o semplicemente interpretando un ruolo? E poi, a proposito di anagrafica, mi viene in mente Mariangela Melato che in ‘Quel che sapeva Maisie’ di Luca Ronconi, a settant’anni, interpretò una bambina di sette, ed era quella bambina. In lei c’erano un fuoco e un’energia unici. Sono quella stessa energia e quel fuoco che mi fanno dire che posso essere Amleto a cinquant’anni; è quell’energia che cerco di mantenere viva in mio papà, che ha 88 anni, a cui dico: ‘Papà, combatti, perché anche se fuori di te c’è un castello diroccato, all’interno c’è un giovane principe che non s’arrende, che ha costruito quel castello/corpo e vuole difenderlo’».

Un Amleto circondato dalle donne.
«Si tratta di un hommage al femminile. Il femminile è il contraltare di questo Amleto. In fondo Amleto fa tutto per evitare il destino tragico di Ofelia, anzi cerca di destarla dal suo ruolo, di scegliere di non assecondare il copione. C’è pure Marilyn Monroe in questo mio Amleto: un fantasma, un’immagine, e forse è Amleto stesso. Marilyn Monroe quanto era veramente lei e quanto invece interpretava il ruolo che altri volevano facesse? Marilyn Monroe, attorialmente, è Amleto: incarna proprio l’essere e il non essere, no? Ma c’è o ci fa? Ci prende per i fondelli, oppure è vittima del ruolo che si è inventata. È la grande domanda di sempre: sei o non sei? C’è Dio o non c’è? Anzi, se Dio esiste, è assolutamente femminile o magari metà e metà».

Cosa deve aspettarsi il pubblico dal suo Amleto?
«Non vi aspettate qualcosa di lineare. Mi piace ricordare quello che Carmelo Bene diceva del pubblico: gli piacevano quegli spettatori che stanno per addormentarsi, che sono in quel limbo tra la veglia e il sonno, tra il torpore della realtà e l’irrealtà, e il sogno. Io non mi preoccupo del pubblico. Ai miei attori dico di fregarsene del pubblico: noi siamo pezzi della Cappella Sistina, siamo come il tramonto che è bello comunque; devi tu essere capace di guardarlo e goderne. Al pubblico chiediamo questo ruolo attivo di guardare ed empatizzare con quanto accade sul palco, senza giudizi, vivendo la bellezza dell’istante».

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