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IL COMMENTO AL VANGELO

Giovanni il Battista e l’urgenza del tempo: un Avvento da vivere

Il profeta predica nel deserto, ammonendo sui pericoli dell’indifferenza e sull’importanza di trasformare la propria vita con azioni concrete e visibili

Don Paolo Arienti

07 Dicembre 2025 - 05:05

Giovanni il Battista e l’urgenza del tempo: un Avvento da vivere

In quei giorni, venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea dicendo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!». Egli infatti è colui del quale aveva parlato il profeta Isaìa quando disse: «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!».
E lui, Giovanni, portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano cavallette e miele selvatico. Allora Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui e si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.
Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? Fate dunque un frutto degno della conversione, e non crediate di poter dire dentro di voi: “Abbiamo Abramo per padre!”. Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo. Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. Io vi battezzo nell’acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più forte di me e io non sono degno di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».

Stiamo maneggiando una questione molto delicata, anzi esplosiva: il tempo. L'Avvento, soprattutto nei suoi primi passi, è tutto un concentrarsi sul significato dei giorni che trascorrono, la loro destinazione, il cuore di senso che portano con sé. Questione delicata, perché intercetta tante sensibilità: dal disfattismo di chi sopravvive e si chiude in se stesso, a forme di utopia che non si danno pace e non sanno riconciliarsi con la realtà. Ma anche questione esplosiva se si pensa a chi in questo tempo soffre, subisce ingiustizia, non percepisce per sé e per i propri cari altro che buio.

A chi appartiene il segreto della storia?

Proclamare che la storia è nelle mani di Dio non è uno scherzo. Anzi, è proprio controfattuale. Serve la convinzione un po’ matta di un profeta, servono gli occhi un po’ più penetranti di chi porta con sé fede, serve la potenza dell’amore di Dio, così misteriosa e così poco prevedibile. L'Avvento, anche nella sua seconda tappa, con l’aiuto del brano di Matteo che presenta l’attività predicatoria del Battista, fa anche questo: insiste con i toni apocalittici, mette in scena comportamenti paradossali (si pensi al modo di vivere e di vestire di Giovanni!), provoca alla costante verifica del proprio stile di vita. Proprio perché il tempo non è solo denaro, come volgarmente siamo abituati a dire e pensare, ma è anche e soprattutto occasione di vita, qualità dell’esistere, il luogo in cui giochiamo tutto noi stessi, ci coinvolgiamo in modo fecondo oppure ci sottraiamo dalla responsabilità di dare voce alla vita. Giovanni spaventa i suoi interlocutori parlando di un fuoco inestinguibile, di una scure posta alla radice della pianta che non porta frutto, di un battesimo che trasformerà i deboli in forti… apostrofa anche qualche suo interlocutore come “vipera”… insomma non risparmia nessuno: perché tutti siano consapevoli dell’urgenza. Il tempo non è infinito. Di più: il tempo è gravido di conseguenze e non passa inosservato. Il tempo non è innocuo, non è una semplice sequenza di istanti tutti uguali. Aveva ragione Agostino quando ricordava che il tempo è paragonabile al movimento dei polmoni, o al battito del cuore: il tempo è come l’estensione e la contrazione dell’animo, poiché noi il tempo lo interpretiamo, lo subiamo, lo temiamo… insomma noi siamo direttamente coinvolti nel fluire delle ore e dei giorni. Le nostre opere, o le nostre fughe, sono la sostanza del nostro tempo.

Giovanni e il tempo che si compie

Giovanni fa da banditore del tempo urgente, vero, profondo e giudicante. Sì, perché il tempo ci giudicherà (si dice “sarà galantuomo”): non per moralismo (devi fare… non devi fare…), ma per la verità stessa di chi siamo. E proprio Giovanni si incarica di ricordare ai suoi interlocutori che negli ultimi tempi, dentro l’urgenza di cambiare vita e aprire gli occhi, sorgerà un evento nuovo, ci sarà spazio per una potenza insospettata: lo Spirito di Dio non abbandona l’umanità che cerca di risollevarsi e lotta per il regno. Giungerà qualcuno che battezzerà nella forza del fuoco, per forgiare un’umanità differente, perché del tempo e del suo scorrere ha ritrovato finalmente il motore, il senso e la destinazione. Per le chiese che in questa domenica leggono Matteo, Giovanni parla dei cristiani, ma più in generale di chiunque voglia essere sensibile alla predicazione dell’urgenza. Non basta certo una appartenenza formale, non serve nessun timbro. Occorre piuttosto accogliere la forza di Dio, per certi versi “cedere” alla medesima: non restare nell’ombra, decidersi per la novità. E non far conto di quanto rischiamo di perdere, se affrontiamo la vita come uno spaventoso bilancio preoccupato solo di risparmiare, tagliare, non spendere. In agguato c’è sempre la tristissima possibilità che la paglia, lo scarto rinsecchito, venga bruciato definitivamente, perché non serve a nulla, non si dà cura di niente e magari si piange addosso perché non ha il bel color vedere del foraggio fresco.

La conversione che Giovanni propone ha solo una condizione essenziale: deve essere visibile, deve portare frutto. Occorre un frutto visibile e concreto, degno di un cuore rinnovato e di una intelligenza che ha colto dove sta il segreto di tutto. L’alternativa è il fuoco distruttivo dell’insignificanza.

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