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CASALBUTTANO. AL BELLINI

Veltroni racconta gli anni Sessanta in scena tra memorie familiari e grandi cambiamenti

Uno spettacolo che unisce ricordi intimi e fatti storici, con musica dal vivo e racconti personali, catturando il pubblico tra nostalgia e riflessione

Nicola Arrigoni

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narrigoni@laprovinciacr.it

16 Novembre 2025 - 11:29

Veltroni racconta gli anni Sessanta in scena tra memorie familiari e grandi cambiamenti

Gabriele Rossi e Walter Veltroni protagonisti del recital ‘Le emozioni che abbiamo vissuto’

CASALBUTTANO - Un salotto con il televisore e, sopra, l’immancabile centrino delle nonne con una piccola gondola; una poltrona per leggere e una grande lampada dalla luce calda e intima: è un ambiente domestico ‘antico’ che fa da cornice scenica a Le emozioni che abbiamo vissuto, di e con Walter Veltroni, accompagnato al pianoforte da Gabriele Rossi, pianista ventiquattrenne con oltre un milione di follower su Instagram.

Gli anni Sessanta di Walter Veltroni, in apertura della stagione 2025/2026 del Bellini, si nutrono dei racconti di famiglia e dei fatti di un decennio che prometteva il cambiamento e, in buona parte, l’ha realizzato, non senza cocenti disillusioni scandite dall’assassinio di John Fitzgerald Kennedy, di Martin Luther King e di Bob Kennedy, fino alla bomba di piazza Fontana a Milano, che chiude un periodo di trasformazioni.

Veltroni, abito blu e camicia azzurra, racconta del padre che non ha mai conosciuto, Vittorio Veltroni, radiocronista EIAR e poi dirigente RAI; del nonno materno Ciril Kotnik, ambasciatore dello Stato di Jugoslavia presso la Santa Sede, e della sua morte dopo la prigionia in via Tasso. Veltroni ricorda di quando prendeva gli abiti del padre, li stendeva per terra e vi si sdraiava in cerca di un abbraccio.

«Non mi piaceva che mi dicessero orfano. Mia mamma è riuscita a lavorare, curare casa e allevare due figli in un’Italia della rinascita – ha raccontato –. Ho cercato di conoscere mio padre quando io sono diventato padre, recuperando un dialogo mai accaduto. Quando è morto avevo un anno».

Le memorie di casa fanno da contrappunto ai fatti e ai personaggi di quel decennio in cui l’Italia iniziava una nuova vita: la ricostruzione delle scuole, l’Autostrada del Sole, la tv del maestro Manzi, i teleromanzi, la rivoluzione della musica rock che cambiarono il volto del Paese e degli italiani.

Tutto questo è accompagnato dai brani che resero celebre quel periodo: da Il cielo in una stanza ai Beatles e ai Rolling Stones, da Tintarella di luna al suicidio di Tenco, il tutto suonato e arrangiato dal talento fluido del pianista che gli anni Sessanta li ha studiati sui libri di scuola.

Il pubblico segue, canticchia, si ritrova a commentare: «Sì, mi ricordo», quando Veltroni parla del duplex, quando mostra i suoi giochi, l’Allegro chirurgo o il mangiadischi.

Un pizzico di nostalgia senza eccedere; la strategia di avvicinare la storia alle vicende personali per rendere meno lontano il racconto; e una chiarezza espositiva non solo giornalistica, ma di uomo che regala e dona la sua vita straordinaria, intensa, dagli anni Settanta in poi, nel cuore dell’Italia con tutte le sue contraddizioni.

Ed è da giornalista di pensiero che Veltroni non resiste, nel suo narrare, a fare considerazioni sui tempi che viviamo: sulla solitudine a cui siamo costretti, sui telefonini che sono una risorsa magnifica ma che rischiano di dominarci.

Tutto questo passa con estrema eleganza, sempre col tono giusto, con un equilibrio che fa in modo che Le emozioni che abbiamo vissuto non scada né nella nostalgia fine a sé stessa, né nella fredda ricostruzione dei fatti, né tanto meno nella retorica del «si viveva meglio quando si viveva peggio».

Tutto è funzionale ne Le emozioni che abbiamo vissuto: nel rievocare ciò che è stato, ma anche nel rendere la storia di quel decennio interessante per chi non era ancora nato.

E che cosa ci si porta via? L’eleganza discreta e garbata di un personaggio che ha attraversato la storia dell’Italia del secondo dopoguerra, il suo confidarsi con grande naturalezza e pacatezza e la convinzione che dopo il tunnel c’è sempre la luce. Che possa essere un augurio per questi nostri anni.

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