L'ANALISI
07 Agosto 2025 - 11:43
CREMONA - Sembra passato un secolo (e quasi ci siamo) da quando si incontravano per strada persone che sono diventate personaggi. Ogni quartiere che si rispetti aveva le sue brave macchiette, i personaggi un po’ strani e strambi, quelli che tutti appellavano per soprannome e quel soprannome gli restava attaccato per tutta la vita. Passavano per strada offrendo a gran voce i propri servizi e anche loro hanno fatto da legante tra un quartiere e l’altro, tra una famiglia e l’altra, e hanno costituito quel tessuto che oggi guardiamo con nostalgia. L’elenco è lunghissimo: lo straccivendolo, l’arrotino, il gelataio Cirillo, l’ombrellaio, Cireneo il venditore di ceci dentro il cono di carta gialla e di pattona, il dispensatore di immaginette sotto la galleria XXV Aprile, il ‘giasèer’ che vendeva il ghiaccio casa per casa. Perché fino agli anni Quaranta del Novecento non c’era ancora il frigorifero domestico (e neppure quello comunale) e lo si portava di casa in casa in grandi stecche sopra la bicicletta o un carretto.
I macellai, per conservare le loro carni, avevano necessità di ambienti freddi anche nei mesi estivi. Ciascuno si era fatto costruire una ghiacciaia, in prossimità del proprio negozio dove potesse accumulare neve in abbondanza senza spendere troppo per i trasporti. Il macellaio Brianzi, fra i più noti in città per il suo negozio fornito di ogni ben di Dio, l’aveva fatta costruire nell’allora corso Stradivari, all’altezza dell’ingresso dell’Upim di un tempo. Dimenticata da tutti, venne ritrovata durante lo sventramento del centro e gli scavi fatti a partire dagli anni Trenta per la costruzione di quel palazzo. Le cronache di allora scrissero che «data la compattezza della sua struttura, dette un lavoro notevolissimo ai muratori che dovevano demolirla».
Alcuni macellai si erano poi associati per costruire una ghiacciaia, ampia e comoda e la fecero scavare in via Breda, nel sottosuolo del giardino di pertinenza della chiesa di Sant’Agostino. Quando cadevano le prime nevicate, mandavano i loro garzoni con i caratteristici carretti dipinti in rosso dalle sponde altissime coperte con due ante ribaltabili a raccogliere la neve in piazza Sant’ Omobono per rovesciarla poi nella ghiacciaia, manufatto costituito da una grande volta, a un metro circa dal piano stradale, e da una vasta stanza di cui la volta era appunto il soffitto, alta almeno due metri. In questo ambiente sotterraneo e protetto dalle correnti calde, la neve pressata si conservava per molti mesi e anche la carne così che anche in piena estate non correva il rischio di avariarsi.
I macellai mandavano i loro uomini anche in campagna per raccogliere il ghiaccio che si era formato nei fossati o nei campi, a sua volta ammassato in quegli ambienti sotterranei. In caso di inverni particolarmente miti e poco nevosi, cosa rara a quei tempi o al contrario di nevicate eccezionali, le porte delle ghiacciaie si aprivano, pronte ad accogliere la neve che gli spalatori vi rovesciavano. In questo caso a costo zero. Bisogna ricordare, infatti, che tutte le merci pagavano la tassa di pedaggio, anche i carichi di ghiaccio che affluivano in città dalla sponda piacentina o dalla campagna: due centesimi per i pedoni, cinque per i carri vuoti, dieci per quelli carichi. Lo scrive Mario Levi nel suo libro Vecchia Cremona dove rilegge la storia della città attraverso le sue trasformazioni.
Le grosse ghiacciaie in città erano cinque, alcune private: una in palazzo Mina Bolzesi con ingresso su via Palio dell’Oca, di via Breda si è già detto, la terza in piazza del Comune quasi di fronte al battistero, la quarta in corso Stradivari di proprietà del macellaio Brianzi e la quinta sotto palazzo Vescovile (se ne può vedere l’accesso sul percorso espositivo del Museo Diocesano). Erano locali sotterranei con il pavimento in terra battuta, e i soffitti a volta. Vi si accedeva attraverso una porticina aperta nel muro o da una botola aperta nel selciato. Si cominciava ad ammassare il ghiaccio agli inizia di dicembre e per tutto l’inverno sino a quando la ghiacciaia era quasi piena.
Il ghiaccio arrivava in grosse lastre, gli operai lo sminuzzavano e lo comprimevano a colpi di mazza di legno. Formavano così uno strato compatto alto due o tre metri: sopra vi si posizionava la carne, la conservazione era assicurata fino allo scioglimento progressivo del ghiaccio. Anche i bar e le caffetterie più in voga della città avevano la loro piccola ghiacciaia costruita e alimentata come quelle dei macellai, ma di proporzioni più ridotte. Usavano, in piena estate, il ghiaccio e la neve raccolti d’inverno per fare gelati e ‘grattate’, le granite. Non era infrequente trovarsi nel bicchiere qualche filo d’erba o qualche fogliolina secca.
Prima dei moderni frigoriferi, le ghiacciaie domestiche erano le vere protagoniste della conservazione casalinga. Si trattava di mobili in legno con un comparto superiore dove veniva collocato il blocco di ghiaccio e uno inferiore isolato, dove si riponevano gli alimenti. Il passaggio dalla ghiacciaia al frigorifero è iniziato nei primi anni Cinquanta, dapprima oggetto riservato ai ricchi e poi alla portata di tutti. Il primo frigorifero cosiddetto ‘automatico’ visto a Cremona era stato acquistato agli inizi del Novecento in Germania dal macellaio Attilio Varani che aveva bottega sotto i portici di via Platina. Aveva il motore a gas.
Suscitò subito le invidie dei colleghi che non fecero in tempo ad imitarlo perché in via Pedone fu costruito in tempi record un capannone-frigorifero con numerose celle. Era di proprietà della ditta Eminente che non solo conservava, ma anche fabbricava ghiaccio artificiale in stecche. Ebbe vita breve, chiuse tre anni dopo. Una fabbrica di ghiaccio artificiale sorse anche a Vicomoscano nel 1925 e fino al 1958. L’imprenditore Pietro Maia aveva avuto l’intuizione visitando a Milano una fiera campionaria in cui era esposta la tecnologia tedesca per la produzione artificiale del ghiaccio e se ne era invaghito, tanto da impiantarne una e con successo.
Il resto è storia cremonese recente: un frigorifero comunale sorse nell’area del vecchio macello e successivamente (nel 1958) nella cosiddetta area Cariplo, dietro lo stadio. Acquistati da AEM lo scorso anno, i magazzini sono destinati all’abbattimento dopo un lungo periodo di oblio e polemiche. Dovrebbero lasciare il posto a servizi commerciali, posteggi e all’ampliamento del Polo tecnologico.
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