L'ANALISI
05 Agosto 2025 - 09:49
A sinistra Hiroshima pochi minuti dopo la caduta della bomba atomica. A destra preparativi per la processione delle lanterne
CREMONA - Ricorrono ottanta anni dalla data in cui su una città giapponese, Hiroshima, fu lanciata una bomba atomica: questo fatto evidenziò un radicale e irreversibile cambiamento nei modi di svilupparsi delle vicende umane. Ma per rendersi conto di come i risultati della ricerca scientifica siano progressivamente finiti sotto controllo del potere politico e portato alla bomba su Hiroshima bisogna ricostruire il cammino degli avvenimenti.
Nella seconda metà del XIX secolo il genere umano cominciò a capire che esistono sostanze che manifestano una loro attività intrinseca. Nel 1896 lo scienziato francese Antoine Henri Becquerel, studiando la fosforescenza dei sali di uranio, si rese conto che l’uranio emette raggi elettromagnetici per sua connaturata caratteristica fisica.
Nel 1898 Marie e Pierre Curie riescono ad isolare piccole quantità di due elementi radioattivi, a uno dei quali fu dato, per la sua luminescenza naturale, il nome radio, derivato dal latino ‘radium’: raggio di luce. La radioattività entra così nell’universo di studio dei fisici sconvolgendone le leggi e catturando le immaginazioni per le possibilità che lasciava intravvedere. Nel 1905 Albert Einstein formula la teoria della relatività ristretta in cui definisce il legame tra massa ed energia tramite l’equazione E=mc². Da questa equazione, strutturata come l’energia cinetica di un corpo in movimento, si deduce che da una massa molto piccola è possibile ottenere enormi quantitativi di energia. Nel 1919 il fisico Ernest Rutherford esegue un esperimento di ‘disintegrazione dell’atomo’ che conferma questa possibilità.
La ricerca dei fisici mondiali, largamente autonoma ma interconnessa per la costante circolazione delle idee tra di essi, proseguì negli anni Venti con gli studi del danese Niels Bohr e del tedesco Werner Karl Heisenberg (entrambi Nobel per la fisica) che previdero il comportamento delle particelle subatomiche. Nel 1932 il britannico James Chadwick dimostrò l’esistenza del neutrone, terza particella che compone l’atomo, e nel 1933 il fisico ebreo ungherese Leó Szilárd, fuoriuscito negli Usa, formula la teoria di una possibile reazione a catena di fissioni nucleari in grado di autosostenersi.
Nel 1934 Enrico Fermi scoprì che nell’acqua il moto dei neutroni viene rallentato e proprio con neutroni rallentati (o lenti) realizza un bombardamento dell’elemento con numero atomico 92 (uranio), osservando la formazione di numerosi radionuclidi. Aveva definitivamente scoperto la fissione dell’uranio, rendendosi contemporaneamente conto che l’acqua, nel rallentare il moto dei neutroni, ne catturava una parte producendo acqua pesante e rendendo poco efficiente l’esperimento. Si sarebbe dovuto usare l’acqua pesante. Bombardando con neutroni un campione di uranio, il tedesco Otto Hahn (1938) realizzò definitivamente la fissione nucleare dell’uranio. A questo punto risultava chiaro che dalla fissione nucleare si potevano ottenere grandi quantità di energia: se sviluppata lentamente avrebbe generato calore utile per produrre lavoro, se sviluppata in tempi brevissimi avrebbe provocato una esplosione di violenza mai vista. In entrambi i casi doveva essere usato l’isotopo radioattivo (U235) contenuto nell’uranio in quantità di poco inferiore al 1%. In quel momento appariva certo che il livello di conoscenza tedesco nel campo della fisica nucleare fosse avanzatissimo. E la Germania aveva anche a disposizione importanti miniere di uranio nei monti Sudeti, da poco annessi al Reich. Dal 1939 Heisenberg fu messo alla guida del programma nucleare militare tedesco e mantenne tale incarico per tutta la durata della guerra.
Ma l’attività tedesca finalizzata alla realizzazione della bomba atomica aveva in sé due incagli che ne pregiudicarono fin dall’inizio l’ottenimento del risultato. Il primo consisteva nel fuoriuscitismo di molti scienziati tedeschi per sfuggire al nazismo con conseguente grave impoverimento delle capacità operative. Il secondo era connesso alla impostazione perfezionistica degli scienziati tedeschi. Questa impostazione li portò a commettere una serie di errori, il primo dei quali consistette nel scegliere l’acqua pesante per realizzare una reazione nucleare controllata. L’acqua pesante consisteva, e consiste, nel moderatore più efficiente per rallentare il moto dei neutroni, ma deve essere prodotta. Impresa tutt’altro che facile: alla fine della guerra, per vari motivi, i tedeschi non erano ancora riusciti a produrla in modo utilizzabile. Fermi, emigrato nel 1938 negli Usa, cominciò a studiare subito le modalità per realizzare una reazione nucleare controllata. Come moderatore decise di utilizzare la grafite, meno efficiente dell’acqua pesante, ma di facile reperibilità. Il suo lavoro si sviluppò rapidamente e portò alla creazione della prima reazione nucleare controllata della storia, che fu innescata il 2 dicembre 1942 in una ‘pila’ atomica moderata, appunto, con grafite. La reazione nucleare controllata inoltre generava un elemento derivato in grado di assumere una importanza decisiva: il plutonio. Nel frattempo, agosto 1939, Szilárd e Einstein avevano inviato al presidente statunitense Franklin Delano Roosevelt una lettera in cui veniva spiegata la possibilità di sviluppare un’arma nucleare a fissione incoraggiando la creazione di un programma per lo sviluppo di tale arma. Tutto questo perché la Germania appariva molto avanti nella realizzazione di un’arma nucleare, grazie agli scienziati che erano rimasti in Germania sotto la guida di Heisenberg.
Roosevelt comprese la gravità della situazione e decise di costituire un Comitato consultivo per l’Uranio, che tenne molte riunioni fino alla primavera del 1940, quando ci fu la dimostrazione, da parte del fisico tedesco Rudolf Peierls, che per una deflagrazione atomica la massa critica minima di U235 era compresa tra 500 e 1000 grammi massa: una quantità facilmente ottenibile. E Peierls calcolò anche che la reazione a catena si sarebbe sviluppata in tempi rapidissimi provocando effetti esplosivi straordinari. Il progredire delle conoscenze portò alla capacità di aumentare la percentuale di U235 presente nell’uranio di base (oggi chiamato uranio arricchito), fattore che aveva permesso a Fermi di realizzare la pila atomica ed ottenere per derivazione plutonio, elemento che si comporta come se fosse U235 allo stato puro. Nel 1942 il governo americano decise di riunire in un unico ente tutte le attività finalizzate al conseguimento di un ordigno nucleare istituendo il Progetto Manhattan. Il comando fu affidato al generale Leslie Groves, che nominò Robert Oppenheimer direttore scientifico e diede al progetto un’impostazione fortemente imprenditoriale. La progettazione e realizzazione di questa nuova arma venne condotta in un laboratorio di ricerca e sviluppo costruito appositamente in una zona desertica del Nuovo Messico. L’intera faccenda era incentrata sulla produzione di quantità sufficienti di materiale fissile di adeguata purezza. Per arrivare a questo risultato furono seguite due strade parallele, che portarono alla produzione di due diversi tipi di bomba: un tipo avrebbe avuto come materiale esplodente U235, l’altro tipo il plutonio.
Sostenuto in modo enorme dal governo americano il Progetto Manhattan arrivò ad impiegare più di centomila persone, ma nonostante questo eccezionale sforzo gli scienziati americani non riuscirono a dotarsi degli strumenti di calcolo necessari per ottenere il valore preciso della massa critica. Però, proprio per l’impostazione data al Progetto Manhattan, decisero di procedere ugualmente. Heisenberg e il suo gruppo invece si arenarono su questo problema e sul fatto che, non avendo realizzato un reattore atomico, non disponevano nemmeno del plutonio. Dai controlli effettuati dagli americani dopo la resa della Germania (8 maggio 1945) nei luoghi di preparazione dell’ordigno nucleare risultò che i tedeschi erano lontani dal conseguimento dell’obiettivo. Cadeva così il motivo per cui era stato dato avvio al Progetto Manhattan, che però non subì rallentamento alcuno e nella primavera del 1945 fu iniziato l’allestimento finale delle bombe atomiche previste.
Se l’ordigno in fase di ultimazione era così potente, poteva essere utilizzato per porre fine alla guerra con il Giappone. Il 16 luglio 1945 fu fatta esplodere una bomba atomica di prova in una zona isolatissima del deserto del Nuovo Messico: era un ordigno al plutonio, la cui deflagrazione dimostrò, senza dubbi possibili, le enormi capacità distruttive. Il governo americano aveva ricevuto, per via diplomatica, proposte di resa dal Giappone, con l’unica clausola di conservare l’imperatore a capo dello Stato. Ma, in realtà, non sarebbe stata una vittoria totale, come quella ottenuta dall’Unione Sovietica sulla Germania con la vittoria nella battaglia di Berlino. Sarebbe stata necessaria una trattativa, prima di tutto perché gran parte delle forze armate nipponiche non aveva nessuna intenzione di arrendersi e poi perché i giapponesi occupavano ancora enormi territori in Asia, tra cui la Manciuria, tutta la Corea, l’isola di Taiwan, grandi estensioni della costa cinese, grandi estensioni della penisola indocinese e molte isole del Pacifico.
L’Unione Sovietica, per ottenere la vittoria a Berlino, aveva impegnato due milioni e mezzo di soldati ed una enormità di armamenti, con la perdita di più di ottantamila uomini ed il ferimento di altri trecentomila. Tutto questo in condizioni tattiche più agevoli rispetto a quelle che avrebbero incontrato gli americani, i quali avrebbero dovuto organizzare uno sbarco. E informazioni di intelligence evidenziavano che il Giappone si stava preparando ad una difesa ad oltranza. Si può discutere sull’obbiettivo scelto per il lancio della prima bomba atomica: invece di una città poteva essere, per esempio, una base militare, come sembra avesse proposto il generale Douglas MacArthur, comandante delle forze alleate nel Pacifico. Ma sulla necessità di dare al Giappone un inequivocabile avvertimento che non era possibile continuare a combattere è difficile dare torto al governo americano ed al nuovo presidente Harry S. Truman che decisero di usare ‘Little Boy’, nome dato all’ordigno lanciato su Hiroshima il 6 agosto 1945.
Little Boy era armato con 64 chilogrammi di U235, ma determinarono l’enorme esplosione solo 800 grammi del materiale fissile, poco più dell’1%. Un quantitativo avente il volume di una pallina da tennis: questo fa ben capire quanto enorme è il potere distruttivo intrinseco ad un ordigno nucleare. Risulta molto più difficile giustificare il successivo lancio sulla città di Nagasaki effettuato il 9 agosto. La dimostrazione della inequivocabile superiorità militare degli Usa era stata data e si poteva almeno verificare se il governo giapponese e l’imperatore Hirohito erano pronti per la resa incondizionata. Certo è che nei giorni successivi al lancio su Nagasaki, quando l’imperatore capo dello Stato rilasciò una dichiarazione di resa incondizionata del Giappone, un numero considerevole di generali ed alti ufficiali giapponesi tentarono un colpo di Stato per annullare la resa appena dichiarata. Il colpo di Stato fallì e fu seguito dal suicidio di tutti coloro che vi avevano partecipato.
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