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GIOVANI STUDIOSI ALLA RIBALTA

«I miei amatissimi pittori lombardi»

Ceretti è il curatore delle mostre su Bellotti a Venezia e Boccaccino al Diocesano

Nicola Arrigoni

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narrigoni@laprovinciacr.it

18 Giugno 2025 - 05:05

«I miei amatissimi pittori lombardi»

CREMONA - È uno dei giovani talenti cremonesi, Francesco Ceretti ha stoffa da vendere, un sorriso aperto e accogliente, uno sguardo vivace e pungente, ma mai altezzoso, ogni tanto gli scappa un’espressione in dialetto, quasi a stemperare l’ufficialità dell’impegno di storico dell’arte e di curatore di mostre. Le origini di Sospiro emergono a mascherare, a volte, un certo imbarazzo o a stemperare una serietà che vale la pena attutire per non parere troppo serio e investito del ruolo. Ex arbitro di calcio e istruttore di nuoto, Ceretti alla ricerca accademica presso il Dipartimento di Musicologa e Beni Culturali di Cremona, dell’Università di Pavia, affianca l’attività di curatore e lo aspetta un autunno intenso di attività.

«Al di là delle mostre, a breve uscirà per Officina Libraria il catalogo ragionato delle opere di Altobello Melone, un lavoro a cui ho dedicato cinque anni, che riprende e amplia la mia ricerca di dottorato – spiega –. Si tratta della prima monografia sul pittore cremonese, una ricerca condotta su opere e fonti archivistiche vecchie e nuove, che ad esempio ha consentito di recuperare le Ante d’organo da decenni disperse - e depositate presso il Museo Diocesano di Cremona recentemente, dopo essere state acquistate dallo Stato -, e che indaga, fra i diversi aspetti, il rapporto del pittore con Girolamo Romanino».

Ad esempio?
«I legami con Romanino e con la realtà bresciana trovano ora un ulteriore propellente nell’attività di notaio del fratello Galeazzo Melone a Brescia, dove esercitò anche la professione di pittore. Tali carte permettono così di disporre di una panoramica più ampia dei rapporti con Romanino, fornendo nuovi indizi sul perché i due si sarebbero ritrovati a lavorare agli affreschi della cattedrale di Cremona. Questa monografia su Altobello credo possa essere uno strumento utile per valorizzare e conoscere un pittore importante per la storia dell’arte lombarda e non solo. Il volume andrà in stampa a breve e sarà presentato prima dell’autunno».

Un autunno che si preannuncia ricco di appuntamenti e che la vedrà protagonista prima a Venezia, poi a Cremona.
«Sarà una stagione impegnativa, ma che mi galvanizza. Si parte il 19 settembre alle Gallerie dell’Accademia di Venezia dove insieme a Filippo Piazza e Michele Nicolaci inaugureremo la mostra Stupore, realtà, enigma dedicata a Pietro Bellotti (1625-1700) per valorizzare un pittore sinora pressoché sconosciuto e, al contempo, due importanti acquisizioni delle Gallerie dell’Accademia: l’Autoritratto in veste di Stupore e la grande tela dei Popolani all’aperto, quest’ultima acquistata in via di prelazione dal ministero della Cultura nell’ambito dell’asta Millon che si tenne due anni fa al Continental. La vera chicca sono proprio i Popolani: uno degli ultimi capolavori della scena di genere al punto da poter essere considerato un vero e proprio prototipo della ‘pittura di realtà’, gettando un ponte con la celebre produzione di Giacomo Ceruti di inizio Settecento. Mantenendo il focus su Bellotti, la mostra offre la possibilità di compiere un inedito percorso attraverso la pittura veneziana di metà Seicento, grazie a prestiti eccezionali concessi da musei internazionali e italiani, quali il Museo Nacional del Prado di Madrid, il Kunsthistorisches Museum di Vienna, la Staatsgalerie di Stoccarda, la National Gallery di Londra, il Dallas Museum of Art, le Gallerie degli Uffizi di Firenze, il Castello Sforzesco di Milano, e molti altri».

Ma per quanto la riguarda è un tassello che unisce alla sua attenzione i pittori della realtà, di longhiana memoria, sulla scia del suo impegno dedicato al Pitocchetto.
«Senz’altro da un lato c’è questo aspetto, che rientra nei miei campi di ricerca sulla pittura lombarda. L’attenzione ai cosiddetti ‘pittori della realtà’ prende le mosse proprio da questi studi, che negli ultimi anni mi hanno portato ad approfondire l’attività di Giacomo Ceruti, dei suoi precedenti e contemporanei, in alcune esposizioni, come Immaginario Ceruti. Le stampe nel laboratorio del pittore (2023) allestita a Brescia presso il Museo di Santa Giulia e co-curata insieme a Roberta D’Adda, o come la mostra dossier dedicata a un ristretto nucleo di opere cerutiane conservate nelle collezioni del Museo d’Arte Sorlini di Calvagese della Riviera (2023). È a partire da queste rassegne che ho iniziato a lavorare di sponda anche su Bellotti, trovando pieno sostegno negli amici e colleghi Piazza e Nicolaci, con i quali ho intrapreso questa avventura veneziana».

Su questa scia si pone anche la mostra su Boccaccio Boccaccino al Museo Diocesano.
«Sì, sia la mostra di Venezia che quella su Boccaccio Boccaccino (1462/1466-1525), che inaugura al Museo Diocesano di Cremona il 10 ottobre e che curo insieme a Piazza, permettono di offrire al pubblico per la prima volta un percorso espositivo monografico degli autori affrontati, raccogliendo molte opere mai riunite insieme sinora. La mostra su Il Rinascimento di Boccaccio Boccaccino trova spunto nella ricorrenza dei 500 anni della morte del Maestro, ma, anche in questa circostanza, dall’importante acquisizione da parte del Museo Diocesano di una tavola dell’artista: il frammento della pala d’altare un tempo nella chiesa di San Pietro al Po a Cremona, che rappresenta l’ultima sua opera, eseguita poco prima della morte. Con questa significativa aggiunta alla sua collezione, il Museo Diocesano può vantare oggi il più cospicuo nucleo di dipinti del pittore, che comprende il citato frammento (restaurato), la stupenda Annunciazione Ludovisi (deposito permanente da parte della Fondazione Arvedi Buschini), la tempera con la Crocifissione e la Sacra famiglia con Maria Maddalena».

Ed anche in questo caso la rilevanza dei prestiti racconta l’unicità di questa esposizione?
«Esattamente, attraverso prestiti di grande rilevanza concessi da importanti musei nazionali, tra cui le Gallerie degli Uffizi di Firenze, la Galleria Estense di Modena, il Museo di Capodimonte, le Gallerie dell’Accademia di Venezia, la mostra ripercorre la vicenda artistica di Boccaccino dalle origini sino agli ultimi anni, dando conto della sua attività attestata a Ferrara, Genova, Milano, Venezia, Roma e Cremona, nella cui Cattedrale si può ammirare lo straordinario ciclo affrescato nella navata centrale. Si potrà così comprendere il rilievo del pittore nel più ampio contesto del Rinascimento italiano, tra la fine del XV e i primi tre decenni del XVI secolo».

Tutto ciò coesiste con la sua attività di assegnista di ricerca?
«Certamente, la mia ricerca sul Cinquecento cremonese prosegue, ora, nell’indagine del primo Manierismo a Cremona, concentrandomi sia sugli esponenti della generazione anticlassica, Gianfrancesco Bembo e Altobello Melone, sia, in particolare, su Giulio Campi, Camillo Boccaccino e Bernardino Gatti detto il Sojaro, coloro cioè che dopo l’avvento in città del Pordenone si guadagnarono il titolo di protagonisti assoluti della Maniera cremonese».

E così studio, ricerca e didattica si coniugano.
«Si, naturalmente. Nella passione per la costruzione di appuntamenti che possano dare rilievo e forma espositiva ai miei amatissimi pittori lombardi, dagli anticlassici a quelli della realtà, che altrimenti, se restassero confinati nelle pagine dei libri di storia dell’arte, correrebbero il grosso rischio di prendere solo della gran polvere. E quale modo migliore per dar loro una spolverata se non restituire il loro operato al grande pubblico per ricordargli che accanto ai famigerati Leonardo, Tiziano e Caravaggio sono ancora molti gli artisti da scoprire e riscoprire?».

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