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IL COMMENTO AL VANGELO

Ascensione del Signore: un’assenza che apre nuovi inizi

Il racconto diventa invito a una fede che si radica nella storia concreta. Gesù non abbandona, ma affida

Don Paolo Arienti

01 Giugno 2025 - 05:20

Ascensione del Signore: un’assenza che apre nuovi inizi

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto».
Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio.
(Lc 24,46-53)

Torniamo oggi a fare visita al vangelo secondo Luca. A lui il compito di guidarci in uno dei misteri più straordinari e paradossali della fede cristiana: l’Ascensione del Signore. Avevamo già avuto modo di allenarci nelle scorse domeniche: gli stessi Vangeli ricorrono ad alcune strategie linguistiche per rendere comunicabile quanto accaduto nella Pasqua. Se il crocifisso morto il Venerdì Santo è ancora vivo, in qualche modo occorrerà sbrogliare la matassa delle contraddizioni empiriche che questo annuncio comporta: come può essere accaduto? Ora Gesù dov’è? Com’è? Non dimentichiamolo mai: la comunicazione della fede ha bisogno di metafore, immagini e parole perché sia condiviso in termini ragionevolmente umani un mistero che trascende la nostra comprensione… anzi, che è così lontano dalle evidenze fattuali che occorre proprio scomodare il divino, entrare nel campo della trascendenza, della fede appunto, perché non si resti solo con un pugno di mosche.

Tutto il 'sapere' cristiano sull’aldilà, sulla fine del mondo e il suo fine, sul giudizio invocabile dai poveri e dagli ultimi su questa storia ha il sapore della potente metafora: ci comunica una promessa irrevocabile, affidabile e fedele, dentro un orizzonte incredibile, indeducibile dal pensiero e dalle aspettative fatalmente terrene dell’umano. Altro, se accade, può accadere solo per grazia, solo se interviene qualcosa d’altro che si frappone tra la concretezza del vivere umano e i suoi limiti, le sue contraddizioni insanabili e il suo peso. Qualcosa che sappia liberare, aprire nuove strade. Diremmo con termine sintetico: qualcosa che possa salvare.

Nella celebrazione odierna Gesù 'sale al cielo': un cielo non fisico, non sovrapponibile a quello che la scienza studia. Semmai si tratta del cielo di Dio, della sua “dimensione” (qualsiasi essa sia!) alle cui porte restiamo in silenzio, con una mano sulla bocca perché l’altro ci ammutolisce e, appunto, siamo immessi nel mistero. Restiamo 'solo' con la descrizione metaforica di uno che sale, costituito per noi in una potenza affidabile, e i suoi che restano sulla terra: si apre uno spazio ed un tempo impastati di assenza e presenza, nostalgia e sospiri, profezie e attese. È il tempo dello Spirito, lasciato nelle mani di quanti saranno di Cristo; è il tempo dei discepoli che sono come costretti – spesso loro malgrado, perché la carne resta debole e la sfida a volte appare impari – a 'prendere il posto di Gesù', come suo corpo storico, visibile e giudicabile dalla storia. È accaduto sempre: ogni volta che un santo (e non solo del calendario, per fortuna!) si è chinato su di un povero, e ogni volta che un ecclesiastico o un popolo cattolico ha distrutto e sfruttato gli ultimi. Il Cristo è stato compromesso e di nuovo lo sarà: nelle cose della vita, nelle sue urgenze, nelle sue speranze: compromesso nella profezia dei figli di Dio, bloccato e paralizzato dalla stoltezza prepotente di quegli stessi figli pervertiti in donne e uomini di potere.

Gesù se ne è andato per consentire proprio questo formidabile rischio: perché chiunque entri in contatto con il suo Vangelo non sia imbrigliato in soli gesti religiosi, perché non debba recuperare la mummia del Signore in un improbabile pellegrinaggio, ma si faccia lui stesso pellegrino nelle cose della vita, dove serve moltiplicare i gesti di liberazione – di Giubileo! - dello stesso Gesù. Allora, secondo la versione di Luca, era necessario restare in città ed attendere il dono dello Spirito.

Oggi, nelle comunità che mettono al centro la memoria del crocifisso risorto, occorre celebrare, ascoltare, proclamare… perché quello stesso Spirito innervi le motivazioni e i gesti, gli stili e le passioni. Perché la catena del Cristo liberatore non si inceppi, ma viva come lui è vivo. Oggi occore ritornare a Gerusalemme, quella fisica segnata dalla follia dei conflitti fratricidi e quella figurata di ogni città che sperimenta la desolazione della prepotenza e della disperazione, perché la partenza di Gesù non è solo una perdita, solo un venir meno e un distacco doloroso. Tutto il contrario: vuole essere memoria feconda, consegna e nuovo inizio. Qui e dappertutto.

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