L'ANALISI
20 Aprile 2025 - 16:00
CREMONA - Dalle leggi razziali (o razziste) del 1938 all’arresto, internamento e deportazione degli ebrei decisi da un’ordinanza in vigore dal primo dicembre 1943, e quindi dopo il rastrellamento del ghetto di Roma, entro i confini della neonata Repubblica sociale italiana: con I campi di Salò. Internamento ebraico e Shoah in Italia (Einaudi) Carlo Spartaco Capogreco ricostruisce un’indispensabile mappatura territoriale dei campi di concentramento sul territorio italiano e il ruolo - attivo e non solo di passiva complicità - svolto dal regime e dalle polizie fasciste repubblichine.
Il saggio sarà presentato mercoledì 23 aprile 2025, alle 17, nel salone dei Quadri del Comune (ingresso da SpazioComune, piazza Stradivari) nell’ambito delle celebrazioni dell’ottantesimo anniversario della Liberazione dal nazifascismo. Capogreco (Università della Calabria) converserà con Gustavo Corni (Università di Trento); interverranno il presidente del Consiglio comunale Luciano Pizzetti e Ilde Bottoli, responsabile del Progetto Memoria della Rete scuole superiori. La Rete organizza l’appuntamento insieme all’Associazione nazionale Divisione Acqui in collaborazione con l’Ufficio scolastico territoriale.
Capogreco è già autore de I campi del Duce. L’internamento civile nell’Italia fascista (1940 - 1943), anch’esso pubblicato per i tipi Einaudi, di cui il volume che sarà presentato mercoledì è un’ideale e più specifica prosecuzione. In un intreccio di storia e geografia, Capogreco affronta anche, implicitamente, il processo di rimozione che almeno in parte ha accompagnato - e accompagna - le vicende legate al fascismo, nonché la trasmissione della memoria pubblica relativa soprattutto alla Shoah.
Il mito degli ‘italiani brava gente’ è stato infranto dagli storici ma non è ancora del tutto entrato nella percezione comune. Vale per i crimini commessi dall’Italia coloniale e dall’esercito fascista e per le complicità del governo repubblichino collaborazionista nel periodo dell’occupazione tedesca, dall’autunno del 1943 alla fine della guerra. «Solo a partire dagli anni 1988-89, quantunque non senza contraddizioni, il ‘modo di sentire’ sul rapporto fascismo-ebrei-Shoah e su altre opacità del Ventennio e di Salò avrebbe cominciato considerevolmente a cambiare, e la storiografia sarebbe riuscita a superare tante lacune e reticenze accumulatesi nel tempo», scrive Capogreco.
Determinanti furono la caduta del Muro e la fine (o presunta tale) delle ideologie. «Quella stagione - rimarca lo storico - pose al centro del discorso pubblico pure le responsabilità fasciste, e guardò alla Shoah anche come ‘filtro in merito al rapporto dell’Italia con la propria identità e la propria storia’». Per questa consapevolezza è determinante la pubblicazione de Il libro della memoria (Mursia) di Liliana Picciotto che, nel 1991, pubblicando i dati sulla deportazione dall’Italia e dando conto degli arresti compiuti direttamente dalle polizie fasciste, mette «nero su bianco il fatto che la Repubblica sociale contribuì attivamente, visto che più di un terzo degli ebrei deportati dall’Italia risultarono essere stati arrestati da italiani, e che ciò era avvenuto, non di rado, attraverso la delazione di un connazionale».
Negli ultimi mesi di guerra, l’Italia centro-settentrionale fu punteggiata di ‘campi provinciali per ebrei’, Lager/centri di raccolta tedeschi (il carcere di San Vittore a Milano, il campo di Borgo San Dalmazzo nel Cuneese e quelli nazisti di Bolzano e San Sabba - Trieste), cui va aggiunto il campo speciale di Fossoli - Carpi, non lontano da Modena. Questi luoghi sono stati per migliaia di ebrei italiani e stranieri l’anticamera della deportazione e del non ritorno «senza che lasciassero traccia di sé», come ha scritto Giacomo Debenedetti in 16 ottobre 1943, cronaca letteraria del rastrellamento nazi-fascista al ghetto romano scritta quasi in presa diretta.
Neppure la provincia di Cremona è esente dalla persecuzione anti-ebraica. Il censimento dell’agosto 1938 (di poco precedente le leggi razziali) ne conta una cinquantina. «Sotto la Repubblica di Salò, un elenco ufficiale stilato dal Comune di Cremona - ricorda Capogreco - dopo l’emanazione dell’ordinanza di polizia numero 5 dava conto della presenza in città (almeno sulla carta) di 42 ebrei. Il capo della provincia di Cremona, Attilio Romano (...) fece avviare immediatamente gli arresti e le requisizioni dei beni. Egli, tuttavia, non ritenne necessario istituire in loco un campo provinciale. Dei pochi che vi furono rastrellati in provincia di Cremona, i deportati furono 2».
Delle diciannove Pietre d’inciampo posizionate due anni fa in città solo due ricordano cittadini ebrei: Eugenia Hammerschimdt, vedova nata in Germania nel 1881, e suo figlio Alfred Lewin. Arrivano a Cremona nel 1936, abitano in via Zaccaria del Maino e aprono una panetteria. Arrestati entrambi, vengono internati a Forlì, dove in due diversi momenti vengono fucilati dalle SS poco prima dell’arrivo degli Alleati nella cittadina emiliana.
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