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#DIRITTODICRITICA: 'I Capuleti e i Montecchi', le recensioni degli studenti

Nuovo appuntamento con l'iniziativa organizzata dal giornale 'La Provincia' e da Fondazione Teatro Amilcare Ponchielli

La Provincia Redazione

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05 Febbraio 2025 - 10:53

#DIRITTODICRITICA: 'I Capuleti e i Montecchi', le recensioni degli studenti

CREMONA - Torna l'appuntamento con #DIRITTODICRITICA, l'iniziativa organizzata dal giornale La Provincia e da Fondazione Teatro Amilcare Ponchielli, che offre agli studenti delle scuole cremonesi la possibilità di esprimere il loro giudizio motivato e argomentato sugli spettacoli in cartellone al Ponchielli. Protagonista di questo appuntamento è 'I Capuleti e i Montecchi', opera del tutto sui generis nella produzione del compositore catanese Vincenzo Bellini.

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AGATA BECCHI - 3ª LICEO SCINTIFICO ASELLI
Lo spettacolo che il 31 dicembre ha concluso la stagione dell'opera è "I Capuleti e i Montecchi" di Vincenzo Bellini con la regia di Andrea De Rosa il quale ha optato per rappresentare l'opera in un contesto differente da quello originale: l'amore tra Romeo e Giulietta viene inserito in un'ambientazione contemporanea. E' infatti la scenografia, insieme ai costumi, a rendere l'opera innovativa visto che né la trama né la musica vengono modificate. Giulietta e Romeo proprio come nella storia di Shakespeare sono due innamorati che vedono la loro relazione osteggiata dai genitori che per interessi personali e per ottusità mentale non accettano il matrimonio tra due membri di famiglie rivali solo per poter continuare contrastarsi reciprocamente. L'odio immotivato, basato su pregiudizi, è riflesso nella rappresentazione con l'allegoria delle sciarpe di tifoserie sportive opposte, un segno efficace e moderno; il coro ne è il principale fruitore infatti il suo ruolo è quello di rappresentare i sostenitori dell'una e dell'altra fazione. A muoversi insieme al coro c'è anche anche la scenografia: un insieme di lastre di pietra e di corde che cambiano in ogni scena per ridefinire lo spazio assumendo nuovi significati e funzioni, ad esempio durante l'assolo dell'arpa Giulietta percorre la stanza facendo scorrere le mani sulle pareti di corde mentre in altri momenti le corde assomigliano a sbarre di prigione. Le lastre sono ordinate e simmetriche nel primo atto, ma via via che la drammaticità della storia aumenta esse vengono spostate finché nelle ultime scene esse sono appese in modo disordinato con affisse sopra entrambi i tipi di sciarpe. In contrasto con il grigio chiaro della scenografia c'è la stanza di Giulietta, di colori caldi e molto accesi, e la tomba finale, dorata e imponente.
Gli attori protagonisti sono entrambi donne poiché anche la parte di Romeo è scritta per soprano e De Rosa ha preferito non travestire pesantemente l'interprete, lasciandone così l'identità sessuale non definita in modo preciso; ciò, rispetto alla drammaticità della trama, fa passare in secondo piano chi fossero davvero i protagonisti trasmettendo quindi un messaggio che può essere meglio attualizzato: Capuleti o Montecchi, uomo o donna alla fine la storia riguarda semplicemente l'amore tormentato di due giovani che si vedono negata la libertà di amarsi per colpa di pregiudizi.

LUDOVICA CIVIDATI – 3ª LICEO CLASSICO MANIN
La stagione operistica del teatro Ponchielli si chiude con la messa in scena della tragedia romantica “I Capuleti e i Montecchi”, basata sulla celebre storia della faida tra le due famiglie veronesi.
L’opera venne composta da Bellini in meno di due mesi, adattando alla storia la musica dedicata ad un’altra opera, e debuttò al teatro veneziano La Fenice nel 1830. Simile processo avvenne per il libretto di Felice Romani, scritto per un’opera di Vaccaj ma in seguito rielaborato. Per questo alcune trame secondarie, non sono rappresentate, ma ciò permette di incentrare l’attenzione sul dramma dei due innamorati sventurati.
La regia di De Rosa ha scelto un approccio tradizionale, pur puntando su un’estetica essenziale che enfatizza il conflitto e tutto ciò che avviene sul palco; le scene di Daniele Spanò alludono sin da subito alla tomba d Giulietta, dove terminerà lo spettacolo: si tratta di lapidi marmoree agganciate a lunghe corde, all’occorrenza da queste sollevate, che permettono ad un cupo grigiore di dominare il palcoscenico. La rivalità tra le famiglie viene raccontata come se fosse una tifoseria sportiva, con tanto di sciarpe che riportano i cognomi di Capuleti e Montecchi e che, appese alle lapidi, danno l’idea di trovarsi in una sorta di stadio, in cui trova spazio il coro maschile. Unico aspetto che non convince del tutto sono i costumi di Ilaria Ariemme, forse fin troppo casual, ma comunque giustificati dal contesto più contemporaneo che De Rosa ha voluto inscenare.
Tuttavia Annalisa Stroppa (Romeo) e Benedetta Torre (Giulietta) sono riuscite ad incantare il pubblico, la prima con la sua intensità ed espressività vocale, la seconda invece grazie ai suoi acuti cristallini. Particolarmente apprezzato dal pubblico anche il tenore Matteo Falcier, un Tebaldo spavaldo e dalla vocalità potente. Matteo Guerzè (Lorenzo) e Baopeng Wang (Capellio) hanno completato il cast, proponendo delle interpretazioni pienamente convincenti.
Nota positiva anche l’esecuzione musicale: l’Orchestra dei Pomeriggi Musicali, sotto la guida del maestro Sebastiano Rolli, ha eseguito la partitura belliniana con precisione, riuscendo ad esprimere l’emotività della melodia “infinita”, anche con diversi suoni scuri, dettati dall’importante presenza dei timpani.
L’opera è così riuscita a conquistare il pubblico, regalando una lettura carica del giusto pathos.

JACOPO GANDAGLIA – 4ª LICEO SCIENTIFICO ASELLI
E anche un’altra stagione lirica del Teatro Ponchielli di Cremona è giunta al termine. A compiere i riti di saluto l’opera di Vincenzo Bellini I Capuleti e i Montecchi, adattamento lirico, ma anche di trama, del Romeo e Giulietta shakespeariano. La regia di Andrea De Rosa è volta alla ricerca di una bilanciata innovazione: ed ecco che Giulietta diventa un’adolescente di oggi e le due fazioni avverse due tifoserie con tanto di sciarpe da stadio, che non sempre pagano l’occhio. Anche Romeo, interpretato, come da spartito, da un mezzosoprano, ma teoricamente in abiti maschili, pare più alla ricerca del proprio stile di abbigliamento e così della propria identità sessuale, trovata registica che rimane tuttavia un abbozzo non ben sviluppato. Una piattaforma centrale, ora letto, ora tomba di Giulietta, ma sempre fulcro dell’azione, è uno dei pochi elementi delle scene di Daniele Spanò, che predilige una gradevole semplicità, se si fa eccezione per le lapidi decorate con gli striscioni di famiglia e l’abito, o meglio il telo di plastica, nuziale di Giulietta. Lunghi e meritati gli applausi per il cast vocale: Annalisa Stroppa è un Romeo che unisce alla perfezione l’animo ardente di Montecchi e quello di fervido amante. Vocalmente sicura e partecipe, è talora un po’ opaca nei registri acuto e grave: ma peccati veniali. Inappuntabile la Giulietta di Benedetta Torre (soprano), capace di modulare dinamiche e colore della voce nelle scene da giovane innamorata, così come in quelle più drammatiche, dimostrando sicurezza in tutti i registri. Anche Matteo Falcier (tenore) riesce a caratterizzare bene le sofferenze di Tebaldo, nonostante il poco spazio concessogli da Bellini, non rinunciando a sicure salite in acuto. Buona la prova di Matteo Guerzè (Lorenzo), meno incisiva quella di Baopeng Wang (Capellio). Anche il coro non è esente da qualche lieve imperfezione: complice il ridotto numero di cantanti e l’infausta scelta di porlo su delle pseudo-tribune nella zona retrostante del palcoscenico, stenta ad emergere in diversi momenti della rappresentazione. Altrettanto arduo il compito del direttore Sebastiano Rolli che deve dar vita ad un’opera priva di veri e propri slanci. L’impresa non sarà forse compiuta appieno, ma la sua direzione (a memoria!) e l’Orchestra i Pomeriggi Musicali si dimostrano più che corrette.

CHIARA MORETTI – 5ª LICEO SCIENTIFICO ASELLI
Chi ha osato arrogarsi il diritto di rendere l’amore tragedia? Chi ha permesso che un sentimento tanto nobile fosse trafitto dall’insensatezza di un conflitto tra magnati? La denuncia di tale disarmante realtà ha assunto le sembianze dell’opera “I Capuleti e i Montecchi” che ha siglato una fine memorabile alla stagione di opera del Teatro Ponchielli.
Ideata nel segno dell’attualizzazione dell’intramontabile Bardo, all’apoteosi dell’intensità dell’overture, il sipario si schiude rivelando una scena dal grande potere comunicativo. Mentre le famiglie sono immerse in una scambievole danza d’ingiurie, i giovani sono confinati in una metaforica gabbia dorata dove alberga la naturale tenerezza di un amore agli albori, immune dalla furia che fuori imperversa.
Le vicende, inquadrate in due atti dal libretto di Felice Romani, si dispiegano allo spettatore scardinando la prevedibilità di una storia già nota. La colpa del drammatico finale addossata alla famiglia, i corpi inanimati celati da una barriera aurea e la vittoria di legami indissolubili apparentemente succubi alla realtà contingente concorrono alla designazione dello spettacolo con regia di Andrea De Rosa e direzione di Sebastiano Rolli quale parafrasi dell’amore nella sua accezione di comunione d’intenti, oltre che di sentimenti.
Romeo e Giulietta, interpretati rispettivamente da Annalisa Stroppa e Benedetta Torre, attrici/cantanti legate da un’innegabile intesa sul palco, hanno creato una costellazione di doti canore e talento di recitazione. L’aspettativa suggerita dalle note magistralmente eseguite di Vincenzo Bellini, accompagnate dal coro, accresce la drammaticità con travolgenti crescendo. Il tentativo di ridurre la distanza tra le epoche di narrazione e di fruizione tramite la scelta di costumi alternativi quali tute sportive e sciarpe con scritte a caratteri cubitali scalfisce l’atmosfera eterea che la lirica genera. In un intricato gioco di fili, quasi il concretizzarsi delle tensioni della trama, la scenografia si rivela congeniale per rendere fluido il susseguirsi delle scene e per visualizzare i malintesi ed i cuori infranti.
Anche se essere cultore di lirica non costituisce un’etichetta universale, ognuno è amante, in una squisitamente personale sfumatura del termine. Lo spettacolo detiene un’incisività notevole agli occhi dei devoti ad una passione totalizzante, qualunque ne sia la causa.

MATTEO RONCHI – 3ª LICEO CLASSICO MANIN
L’amore è il protagonista indiscusso della serata di venerdì 1 febbraio, quando al Teatro Ponchielli di Cremona si è tenuta la prima rappresentazione dell’opera, composta da Vincenzo Bellini, “I Capuleti e i Montecchi”, con la direzione del maestro Sebastiano Rolli e la regia di Andrea De Rosa, i quali, grazie alla loro illustre esperienza, ci hanno guidato sapientemente in questo viaggio nella storia d’amore più famosa del mondo.
La tragedia, ispirata agli scritti di Shakespeare, non ha bisogno di grandi presentazioni, data la fama colossale: Verona è teatro di una costante lotta civile tra la famiglia guelfa dei Capuleti e quella ghibellina dei Montecchi; Giulietta, figlia di Capellio, capo della fazione guelfa, è stata promessa sposa al guerriero Tebaldo, ma è segretamente innamorata di Romeo, capo ghibellino e acerrimo nemico di Capellio.
All’indomani delle nozze, Romeo guida un attacco a sorpresa contro i Capuleti, al fine di portare via Giulietta dall’infelice matrimonio, ma viene ricacciato prima di ricongiungersi con l’amata. Dopo aver affrontato Tebaldo ed aver appreso la morte dell’amata, in realtà simulata da un filtro che induce uno stato di sonno simile alla morte, Romeo si precipita alla sua tomba e decide di suicidarsi ingerendo del veleno. D’un tratto Giulietta si risveglia e vedendo l’amato morente si uccide a sua volta.
La più grande ovazione va al duo protagonista: il soprano Benedetta Torre (Giulietta) ed il mezzosoprano Annalisa Stroppa (Romeo, ruolo en travesti secondo la partitura originale, interpretato da un attore del sesso opposto), le quali ci hanno regalato un'interpretazione ammirevole e sublime.
Bene anche per Baopeng Wang, interprete di Capellio, e per il Tebaldo di Matteo Falcier, incantevole è stata la sua cabaletta “L’amo tanto e m’è sì cara”.
Degni di nota sono i potenti cori delle famiglie, cinti di un’originale larga sciarpa, come fossero tifosi allo stadio, con cucito il nome della famiglia per cui parteggiano, tolta però da ciascuno sul finire dello spettacolo, a simboleggiare la riconciliazione finale.
Motivo di biasimo invece sono state le scene di Daniela Spanò, inguardabili e antiestetici i numerosi cavi a sostegno dello sfondo, e i costumi di Ilaria Ariemme, anonimi e poco memorabili. Ad ogni modo, nonostante alcuni posti vuoti, lo spettacolo ha soddisfatto le aspettative.

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