L'ANALISI
L'INIZIATIVA
18 Novembre 2024 - 11:10
Stefano Bartezzaghi e Lina Bolzoni
CREMONA - Ci sono luoghi in cui i savi devono fingersi folli perché sono i folli a essere maggioranza. E ci sono mappe che declinano l’amore in tutte le sue sfaccettature, quelle felici e le altre, che fanno struggere. Ci sono città ideali, isole inesistenti, paradisi terrestri, castelli in cui i destini si incrociano e labirinti in cui perdersi. Capita se geografia, filosofia e letteratura tessono trame, intrecciano fili, danno vita a mondi. Non erano sufficienti le sedie, ieri mattina nella sala Manfredini del Museo Civico, per accogliere tutti coloro che hanno ascoltato il dialogo tra Lina Bolzoni - soresinese dal curriculum infinito: basti che è normalista e accademica dei Lincei - e Stefano Bartezzaghi, scrittore e giornalista, semiologo, allievo di Umberto Eco ed erede, come ‘giocologo’, di Giampaolo Dossena. Inserito nel ciclo M’appare il mondo all’interno del programma di BookCity, l’incontro ha inseguito - e sognato - le Mappe di Utopia.
«Il termine utopia nasce come titolo del romanzo di Thomas More pubblicato nel 1516 - spiega Bolzoni -. È un’epoca di grande crisi, a cavallo tra Quattro e Cinquecento il mondo fino a quel momento conosciuto supera i propri confini. Vengono scoperte nuove terre con Colombo e più avanti, con Copernico e Galileo, nuovi cieli. Cambiano i confini e questo spinge a immaginare oltre i limiti del possibile».
L’Utopia nasce da questo: da un lato c’è il mondo reale, il mondo che c’è, e dall’altro c’è il mondo che non c’è, ma che potrebbe essere. Fino a scivolare nella distopia o nella reazione, come nel caso della Città felice di Francesco Patrizi da Cherso, neoplatonico veneziano che con Bernardo Tasso (padre di Torquato) ha dato vita all’Accademia della fama. Proprio la stessa accademia cui la Repubblica di Venezia affidò l’incarico di organizzare una biblioteca. In quegli stessi decenni convulsi che hanno visto il passaggio all’Età moderna, il libro a stampa tipografica segna un’altra rivoluzione. Si allarga la platea dei lettori, nasce una nuova forma di complicità tra chi scrive e chi legge.
«Con la letteratura si può giocare», ricorda Bolzoni. Il rimando va a Ludovico Ariosto e non solo alla struttura labirintica dell’Orlando furioso, ma al labirinto creato intorno alla metà del Seicento: tra il gioco dell’oca e un gioco di ruolo ante litteram, i concorrenti impersonavano i personaggi ariosteschi e si sfidavano tirando i dadi, fermandosi o avanzando a seconda della casella in cui la sorte li faceva arrivare. «Era un gioco - spiega Bolzoni - che presupponeva una grande conoscenza del poema». «Guido Crepax, il papà di Valentina - interviene Bartezzaghi - all’inizio degli anni Ottanta ha ridisegnato a suo modo il labirinto Ariosto. Ariosto e il suo Orlando si prestano all’interpretazione ludica, ci sono scene di battaglia che sembrano anticipare i cartoni animati per quanto sono esageratamente violenti, stemperando così la drammaticità della battaglia. Ariosto torna anche nei tarocchi usati da Italo Calvino nel Castello dei destini incrociati».
Le mappe dell’Utopia sanno parlare il linguaggio dell’amore - è il caso della seicentesca Carte du tendre, che lega i luoghi alle emozioni -, ma pure l’ossessione del controllo. Il carcere borbonico di Santo Stefano, isola non lontana da Ventotene, è costruito secondo i principi del Panopticon di Jeremy Bentham: un unico carceriere può osservare tutti i detenuti, che non hanno mai la possibilità di sfuggire al suo sguardo. Tra i prigionieri illustri di questo incubo architettonico, Luigi Settembrini e Sandro Pertini. Ed è da un carcere che, agli inizi del XVII secolo, Tommaso Campanella, torturato e costretto a fingersi folle per evitare la condanna a morte, scrive la sua Città del Sole, minuziosamente descritta nelle sue cerchia di mura concentriche.
È invece un incubo W o il ricordo d’infanzia di Georges Perec, che alterna la fantasia infantile di un bambino che vive in un mondo idilliaco alla tragica realtà di un ragazzino che cresce in tempo di guerra. È possibile l’utopia oggi? «Basta mantenere il senso del limite - osserva Lina Bolzoni -, che poi è il senso di ciò che non si sa».
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