L'ANALISI
29 Gennaio 2024 - 05:20
Nicolò Govoni (a sinistra) e due collaboratori davanti alla scuola di Bogotà
CREMONA - Su Instagram annuncia: «Abbiamo aperto la nostra sesta scuola nel mondo: la Still I Rise International School di Bogotà». L’idea ha cominciato a germogliare nel 2021 fra mille difficoltà e all’inizio dell’anno quell’idea si è concretizzata, in un altrove impensabile, ma che diventa prossimo alla missione dell’attivista cremonese Nicolò Govoni. E sull’altrove Govoni ha costruito la sua attività di educatore con il sogno di cambiare il mondo fornendo un’istruzione di qualità, aiutando chi vive in situazioni di emergenza sociale ed economica a trovare gli strumenti per farsi strada nel mondo. È partito dall’Isola di Samos in Grecia con la prima scuola per bimbi profughi, per aprirne poi in Siria, in Congo e, appunto, in Colombia. Ora sta progettando una prossima scuola nello Yemen. A queste istituzioni educative si affiancano le scuole internazionali d’eccellenza come quella in Kenya, paese che Govoni considera ormai la sua casa.
Lei è sempre altrove, un altrove che è gravido di speranza e cambiamento. Il suo ultimo lavoro da romanziere s’intitola, appunto, Altrove, ma paradossalmente è ambientato a Cremona.
«Per me, a un certo punto, Cremona è stata un altrove, un luogo da cui fuggire, in cui non mi ritrovavo. Scrivere questo romanzo è stato fare i conti con il mio passato, con quegli anni, ma soprattutto con un luogo in cui tutti ci si conosce, si crede di saper tutto di tutti. Dopo dieci anni passati lontano, se non per qualche veloce puntata a salutare la mia famiglia, scrivere Altrove ha voluto dire fare i conti anche con la mia città».
Ha scelto la forma del romanzo giallo, c’è l’uccisione di tre bambine di cui due di origine straniera, l’altra cremonese. Da qui parte tutto.
«A restituire i corpi è il fiume Po. In città parte la caccia alle streghe e ovviamente il capro espiatorio è lo straniero. È il commissario Abbandonato a dover risolvere il caso, facendo i conti con l’ossessione che prova nei confronti di Donna, la madre della bambina inizialmente scomparsa, e con l’amicizia che per tutta una vita lo ha legato a Mamadou, il principale sospettato. Questa è in estrema sintesi la premessa che dà il via a tutta la vicenda».
Sembra di capire che, al di là dei protagonisti, fra i personaggi principali ci sia proprio Cremona.
«È così. C’è il fiume, c’è il torrone e ci sono i luoghi della mia adolescenza. Nei personaggi e nelle situazioni chi mi conosce e chi mi ha frequentato si ritrova per piccoli o grandi segni. Ciò che racconto è una città che si sente sotto assedio, minacciata. È una città che è la nostra, ma la cui sensazione è di tante, forse del mondo intero. L’aver deciso di ambientare il mio romanzo a Cremona non è stata una scelta facile».
Per quale motivo?
«Perché mi sono ritrovato a fare i conti con me stesso, con le relazioni intime che hanno caratterizzato la mia infanzia e adolescenza, con i luoghi che mi rimandano esperienze non sempre piacevoli. Ma ho sentito che era necessario e che ha avuto un suo effetto».
Quale?
«Beh, tornato in città a novembre, proprio per presentare Altrove ho avuto l’impressione di poter camminare per le vie del centro in maniera più leggera. In fondo ho scritto trecento pagine di riflessione sulla mia città».
Eppure il titolo è Altrove, quasi un ossimoro
«Perché volevo essere altrove e non nella città da cui mi sentivo rifiutato e offeso. E poi altrove è anche il luogo dove cerchiamo di buttare ciò che non ci piace. L’altro e il diverso sono i capri espiatori per colpe o responsabilità che sono nostre e che non ci vogliamo confessare. Alla fine i tre personaggi: il commissario, Donna, una ricca signora di una ricchezza decaduta, e Mamadou sono tre solitudini. Poi a un certo punto assume un suo ruolo di primo piano un altro personaggio, ma di più non voglio dire. Si tratta pur sempre di un giallo in cui la trama ha una sua rilevanza. Mai svelare chi è l’assassino e un assassino c’è».
Quindi non è Cremona?
Ride: «No, no ci mancherebbe. Ciò che mi interessava, scrivendo questo libro, era mettere in scena il meccanismo di difesa nei confronti dell’altro, indagare la psicologia dei personaggi in cui, ovviamente, ho messo molto di me, ma anche porre in evidenza come la soluzione dei problemi, nel caso specifico dei tre omicidi, arrivi laddove meno te l’aspetti. Altrove è un racconto, ma è anche una riflessione sull’altro, sulla mia città, sulla condizione di un mondo che si sente sempre più assediato».
Il suo ultimo lavoro inaugura anche la Still I Rise Edizioni. Perché questa scelta autarchica?
«Nessuna volontà di essere autarchici, ma piuttosto di offrire all’organizzazione uno strumento editoriale che possa essere utile alla vocazione pedagogica e accogliere contributi di altre persone. Rizzoli mi ha chiesto fino all’ultimo di pubblicare con loro, come prevede il contatto che mi lega alla casa editrice. Ho resistito, mi sono opposto al buon senso che mi diceva: ma pubblica con Rizzoli. Ma io sono fatto così, per natura cerco sempre la via più difficile. Mi auguro che Still I Rise Edizioni e la vendita di Altrove ci porti fondi da immettere nell’organizzazione. Per Rizzoli devo scrivere, per contratto, ancora due libri e lo farò. Ma Still I Rise Edizioni mi permette di immaginare di avere altri autori, di avere diversi contributi. E poi il mio compito è un altro, anche se la scrittura continua ad essere una parte importante di me».
L’impegno nella diffusione dell’istruzione nei luoghi più difficili del pianeta continua, dunque?
«Beh, ne è un esempio l’apertura di questi giorni della scuola a Bogotà, una scuola internazionale che offre il Baccalaureato, come in Kenya. Nei progetti c’è poi quello di aprirne una nello Yemen, proprio qualche settimana fa siamo andati a fare un primo sopralluogo. Ma l’emergenza educativa è meno lontana di quanto si creda».
Cosa intende dire?
«Con il progetto Insieme proponiamo nelle scuole riflessioni sull’immigrazione, la cittadinanza attiva, la lettura come modello di espressività e la fotografia. Abbiamo incontrato almeno 10mila studenti italiani. E lo spaccato che ne esce è drammatico. Si avverte da parte dei ragazzi una pesante sfiducia nei confronti della scuola, una grande disaffezione verso la possibilità di apprendere, ma soprattutto abbiamo registrato la consapevolezza di molti di non sentirsi adeguatamente valorizzati. Tutto ciò ci sta portando a un’idea che speriamo di concretizzare il prossimo anno: aprire una scuola Still I Rise in Italia per introdurre il nostro metodo educativo che punta sulla creatività dei ragazzi, su offrire loro gli strumenti per cambiare veramente il mondo, o almeno tentarci».
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