L'ANALISI
22 Agosto 2023 - 05:20
Fra calura e tempeste, l’estate 2023 potrebbe essere diversamente intesa se la macchina del tempo segnasse sul display un migliaio di anni fa: forse leggeremmo segni, che non sono né timori superstiziosi né retroscena complottisti. Solo segni, ma ultramondani. L’abbiamo perso, l’aldilà appena oltre eppure parte del mondo, della realtà: ma siamo per questo migliori?
Ecco, i pensieri liberi sono anche questi – invochi la deformazione professionale chi lo desidera, guardi più avanti chi si sente.
Così è l’estate, ora: ogni ateneo che apre le iscrizioni, da cliccare il più velocemente possibile (è una prova iniziatica contemporanea, e un allenamento ai prossimi acquisti), scegliendo come in gelateria fra tutti i gusti, corsi dai titoli avveniristici, rutilanti, che paiono coniati dai genitori di Hansel e Gretel con l’intento di farli perdere nel bosco – ma chi troveremo ad attenderci nella casetta nella radura, e cosa sfornerà?
Senza nostalgie di un passato da cui peraltro sempre poco impariamo, guardiamo ai nomi. Universitates studendi si chiamavamo, già dal XII secolo, quei gruppi che vennero poi affermandosi nei duecento anni successivi: collettività di studio. Maestri e discepoli – così si chiavano fra loro, con reciproco rispetto non di percorsi certificati ma entro un tragitto di sapientia – formavano una sorta di comunità in cammino. Il viaggio era duplice, polisemico: certo, di luogo in luogo, letteralmente, al seguito di lezioni e maestri, alla ricerca del nuovo che sempre poggiava sull’antico.
Insieme, però, era un itinerario che saliva al basso, proprio così, alle radici – in direzione dell’altus, dimensione delle cime e dell’affondare nella terra. Da qui, anche, l’umiltà, il partecipare consapevolmente (un aggettivo oggi violentato dagli slogan delle caserme dell’istruzione) dell’humus.
Tre passaggi in latino, pur brevi, potrebbero già farmi perdere i lettori delle prossime righe, ma era necessario ricordare le parole nella loro vera forma.
Proseguiamo, allora, se qualcuno ancora c’è a proseguire. Si percorrevano le strade dell’Europa, contribuendo a formarla culturalmente – davvero in senso lato, poiché lo scambio avveniva in tanti ambiti, compreso quello culinario e dei costumi, dagli abiti ai modi di dire, dai gesti alla religione.
Era una vita faticosa, a partire dal fatto che questi studentes erano ‘vaganti’, una condizione considerata con sospetto: lontani dal luogo natio, essi perdevano un volto riconoscibile e sicuro, pur trovandosi forti a comporre un gruppo che sicuramente dava maggior credibilità. Inoltre erano i maestri più duri ad essere cercati e seguiti, quelli che tenevano le lezioni più difficili, che proponevano una via stretta. Ma si avanzava, insieme, accanto, discutendo e glossando, come allora si diceva, i testi della tradizione, ossia appoggiandosi ad essa per porre nuovi mattoni.
Maestri e studenti, entrambi accomunati nello studium delle discipline, parlavano, leggevano, mangiavano, viaggiavano: insieme.
Ora, pensiamoci, anche se fa caldo e sarà subito sera davanti allo spritz. Perché qualcosa è cambiato e vale la pena pensarci. Tra le notizie che il motore di ricerca ieri mi proponeva c’era la classifica dei titoli accademici più facili da ottenere, i percorsi più piani, possibilmente senza frequentare di persona, meglio ancora se si può riascoltare una registrazione sempre uguale e non si incontra mai nessuno. Meglio se non ci si mette in viaggio con i cinque sensi (non parliamo degli altri, ultramondani: oggi ciarpame), meglio se non si annusa l’aria di un’aula abitata, meglio se le voci sono disincarnate, come le immagini e le strette di mano – e si risparmia anche sul disinfettante, di cui non si può fare a meno.
Certo, i treni ritardano, non partono nemmeno, stravolgono le tempistiche e mettono zizzania anche in famiglia; gli affitti lievitano; in università magari non c’è il microonde (sanificabile, sia chiaro, se no come è possibile parlare di civiltà) per scaldare alla giusta temperatura, secondo indicazioni europee sulla tenuta organolettica dei cibi, l’insalata di farro bio con alga kombu. Spesso, poi, a due passi dalla sede universitaria c’è tutto un mondo da vedere e conoscere che non ha sempre le porte aperte: c’è da attendere orari di apertura, talvolta pagare ingressi, passare oltre. Facesse meno caldo, racconterei aneddoti intorno al fuoco. Verrà l’inverno: e l’università?
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