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L’INCHIESTA DEI NAS

Caso Provana archiviato: «Incubo lungo tre anni»

Niente processo per i veterinari e gli imprenditori coinvolti: «Ma abbiamo pagato un prezzo alto». I difensori: «Il decreto chiude la vicenda e ribadisce ciò che era chiaro già al primo interrogatorio»

Riccardo Maruti

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rmaruti@laprovinciacr.it

04 Ottobre 2025 - 15:59

Caso Provana archiviato: «Incubo lungo tre anni»

Guarnieri, Deiola e Rossoni

CREMA - Con un decreto di archiviazione, firmato dal gip Elisa Mombelli, cala definitivamente il sipario sull’inchiesta che per quasi tre anni ha visto coinvolti Leonardo Provana, dirigente cremasco del Distretto veterinario dell’Ats Val Padana e il figlio Luca, libero professionista, insieme ad alcuni imprenditori del Cremasco. Una pagina e poco più, per dire che non c’era materia per andare a processo: nessun accordo corruttivo, nessuna responsabilità penale.

L’inchiesta era partita con clamore: arresti domiciliari e cronache giornalistiche. Agli indagati veniva contestata la tessitura di una presunta rete di favoritismi e pressioni tra organi di controllo ed alcune aziende. Dopo un iniziale provvedimento restrittivo, il quadro accusatorio era stato progressivamente ridimensionato: prima la revoca dei domiciliari, poi la conferma del Tribunale del Riesame di Brescia, quindi ulteriori verifiche tecniche e informatiche che non avevano portato riscontri alle ipotesi della Procura. Alla fine, il pubblico ministero ha chiesto l’archiviazione per tutti: dai Provana alla famiglia Chiodo dell’azienda Madonna della Neve di Sergnano e per tutti gli altri imprenditori coinvolti.

Per i legali dei Provana, Diego Guarnieri e Martina Deiola dello studio GD di Lodi, il provvedimento del gip è la conferma di quanto sostenevano sin dal primo giorno: «Questo decreto di archiviazione chiude definitivamente la vicenda e ribadisce ciò che era chiaro già al primo interrogatorio – spiegano –. Fin dall’inizio i nostri assistiti si sono presentati spontaneamente davanti al giudice, senza nemmeno aver avuto il tempo di conoscere a fondo gli atti d’accusa. È stato un atto di trasparenza e di fiducia che si è rivelato decisivo: le loro dichiarazioni sono state considerate autentiche e credibili, e questo ha contribuito a smontare l’impianto accusatorio».

Gli avvocati ricordano come il percorso processuale abbia conosciuto tappe fondamentali: la revoca degli arresti domiciliari, la conferma della revoca con pronuncia del Tribunale del Riesame di Brescia che aveva definito ‘carente’ il quadro probatorio, le successive proroghe delle indagini che non avevano portato a risultati concreti. «Ogni volta – sottolineano – la linea difensiva è stata confermata. Abbiamo fornito una ricostruzione alternativa, soprattutto da un punto di vista tecnico-scientifico, che ha messo in discussione le presunte prove della Procura».

Non manca, da parte della difesa, una valutazione sul metodo investigativo: «Abbiamo avuto la netta sensazione che l’indagine fosse partita da un pregiudizio – osservano –. Tutto ciò che accadeva veniva letto in un’unica direzione, quella accusatoria, senza senso critico. In questo scenario, è stato determinante trovare la disposizione all’ascolto da parte del gip: il giudice Mombelli che dedicando tempo e attenzione alle difese ha saputo riconoscere l’inconsistenza delle ipotesi accusatorie revocando la misura cautelare degli arresti domiciliari. Quel primo atto di revoca dei domiciliari è stato la vera pietra miliare: ha aperto la strada a un processo di revisione che si è poi consolidato fino all’archiviazione definitiva».

In tal senso, un grande contributo è stato fornito da parte del collegio difensivo della famiglia Chiodo, rappresentato dagli avvocati Gianluca Rossoni di Crema e Francesco Centonze di Milano, che ha vagliato capillarmente, grazie anche all’ausilio dei propri consulenti tecnici, ogni elemento investigativo acquisito nel corso della lunga indagine. Rossoni spiega come la difesa, seppur entrata in gioco in un secondo momento (cioè successivamente alla prima fase cautelare dei Provana ) abbia assunto un ruolo decisamente funzionale anche per le altre difese nel perseguimento dell’obiettivo. Nulla lasciato al caso, insomma.

Per entrambi i collegi difensivi, Guarnieri Deiola e Rossoni-Centonze, la vicenda offre anche uno spunto più ampio: «Questa storia insegna che la giustizia funziona quando riesce a liberarsi dai pregiudizi e a leggere i fatti per quello che sono. Ci siamo trovati davanti a un caso che, a causa del clamore mediatico, rischiava di travolgere vite e carriere. Invece, grazie a un percorso giudiziario lineare si è potuto arrivare ad una conclusione limpida: non c’erano prove, non c’erano reati, non c’era alcuna ragione per celebrare un processo».

Dopo tre anni di indagini e sospetti, Leonardo Provana parla con amarezza ma anche con sollievo: «Sono stati tre anni da incubo – racconta –. Questa vicenda ha generato danni enormi, sul piano personale, familiare, professionale ed economico. Non siamo usciti indenni: il prezzo pagato è stato altissimo, anche solo per il clamore mediatico. Processi del genere, soprattutto quando la persona coinvolta è all’oscuro delle accuse, lasciano ferite profonde».

Concludono gli avvocati Guarnieri e Deiola: «Esprimiamo piena soddisfazione: con l’archiviazione del procedimento penale è stato definitivamente chiarito che non vi è mai stato alcun disegno occulto da parte di Leonardo Provana, dirigente stimato e di grande esperienza, e che il percorso del figlio Luca è il risultato esclusivo di capacità comprovate, professionalità e di un ruolo tecnico raro e prezioso per le aziende».
«Questa decisione - sostiene anche l’avvocato Rossoni — restituisce dignità e serenità, riabilitando pienamente tutti i protagonisti di una vicenda che troppo a lungo ha gravato sulle loro vite».

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