La fotografia anagrafica dei residenti non lascia dubbi. Su 34.029 abitanti complessivi, gli over 65 sono 9.336 (di cui 4.056 uomini e 5.280 donne) mentre gli under 14 si fermano a 3.485 (1.827 maschi e 1.658 femmine). Non è solo un gioco di cifre: è la spia di un cambio d’epoca, di un equilibrio tra generazioni che si va sempre più inclinando. E le proiezioni sono eloquenti: entro vent’anni, nel 2045, gli over 80 toccheranno quota 10% della popolazione cremasca. Una fascia oggi in costante crescita, per l’effetto combinato del calo delle nascite e dell’allungamento della vita media.

Il quadro cremasco si inscrive in una dinamica nazionale ancora più ampia. Nel 2005 gli over 80 in Italia erano 2,4 milioni, oggi sono già 4,1 milioni, senza che la popolazione complessiva sia aumentata. E nel frattempo i minori sono diminuiti: da 10 milioni vent’anni fa (il 17% della popolazione) a una proiezione di soli 6 milioni di under 14 nel 2045. Significa che a livello nazionale, fra vent’anni, vivranno in Italia circa 19 milioni di over 65, contro appena 6 milioni di bambini: un rapporto di 3 a 1.
Un fenomeno che non si distribuisce in modo uniforme: Liguria, Sardegna e Molise hanno già sfondato quota 240 anziani ogni 100 minori. Nelle aree interne e montane la forbice si allarga ancora di più. «Il rischio da scongiurare è che in un Paese con sempre meno minori, anche la loro condizione perda priorità nel dibattito pubblico e nelle politiche nazionali e locali» avverte Fondazione Openpolis.
Vent’anni fa, con la legge del 2005, lo Stato aveva istituito il 2 ottobre come Festa dei nonni, a riconoscimento del loro ruolo sociale e familiare. Una ricorrenza che oggi suona ancora più attuale. In molti casi, i nonni non sono solo figure affettive: sono ammortizzatori sociali viventi, sostegni indispensabili per figli e nipoti. «Il ruolo delle persone anziane è diventato cruciale in termini di contributo alla conciliazione della vita familiare» sottolineano i dati. Non è una scelta, ma la conseguenza di un welfare strutturalmente carente, che scarica sulla rete familiare ciò che lo Stato non riesce a garantire.
Il nodo non è solo sociale, ma anche economico e previdenziale. Più pensionati rispetto ai lavoratori attivi significa sistemi di welfare e bilanci pubblici sotto pressione. In una città come Crema – che pure vanta una rete di servizi e un tessuto associativo vivace – il problema rischia di diventare strutturale. Basti pensare che oggi, mentre cresce la longevità (un 65enne nel 2005 aveva davanti in media 19,3 anni di vita, oggi 21,2), si riduce al minimo la generazione di ricambio.
E questo si traduce in due effetti concatenati: meno giovani che entrano nel mondo del lavoro, più anziani che escono con diritto a prestazioni e assistenza. A peggiorare lo scenario, il dato sulla povertà minorile. Nel 2005 i più in difficoltà erano proprio gli anziani, oggi invece sono i bambini a pagare il prezzo delle crisi economiche. Nel 2023 quasi il 14% dei minori viveva in povertà assoluta. Una forbice sociale che si somma a quella demografica, e che rischia di marginalizzare ulteriormente il futuro delle nuove generazioni.
In questo quadro, Crema rappresenta un osservatorio significativo. La città si trova già a gestire uno squilibrio più accentuato della media nazionale. La domanda che si pone è semplice: come governare questa transizione? Politiche locali e nazionali dovranno interrogarsi su tre priorità: sostenibilità del sistema previdenziale, servizi per la non autosufficienza, politiche per l’infanzia e la natalità. Perché senza un rilancio dei minori non ci sarà equilibrio possibile.
Il rischio è di diventare un Paese – e una città – dove la maggioranza silenziosa degli anziani detta l’agenda, mentre i bambini e i giovani scompaiono dalle statistiche e, peggio ancora, dall’immaginario collettivo.