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LA STORIA

Campanaro dopo la fabbrica, custode di rintocchi

Stefano Denti Tarzia, 33enne operaio di Agnadello originario di Bagnolo, si prende cura anche dei ‘bronzi’ della cattedrale: «La voce della città»

Martina Carioni

11 Agosto 2025 - 05:10

Campanaro dopo la fabbrica, custode di rintocchi

CREMA - C’è un suono che non si limita a riempire l’aria: attraversa le strade, scivola lungo i tetti, si infila tra i vicoli e vibra nel petto di chi si trova a passaggio. È il suono delle campane della cattedrale e a Crema ha un custode di nome Stefano Denti Tarzia. Un incontro casuale, quello con le campane, incoraggiato da don Emanuele Barbieri. «Non erano le campane del duomo — ricorda sorridendo — ma quelle della piccola chiesa di Sant’Ippolito tra Trescore Cremasco e Quintano. ‘Guarda che le campane ti stanno aspettando per suonarle’, mi disse quando avevo circa dieci anni. Da lì, non sono più riuscito ad abbandonarle».

Ogni campanile ha il suo concerto, ogni campana la sua voce e il suo tempo. Ci sono quelle dell’infanzia — le campane di Bagnolo Cremasco, che per lui restano un pezzo di cuore — e quelle del presente, come il concerto del duomo, «il più caro, è la voce della mia città».

Non è solo un gesto tecnico: suonare le campane è una questione viscerale, «qualcosa che nasce dentro e non puoi controllare», racconta ricordando il primo incontro con quel concerto (così si chiama la composizione di campane pensata per una torre). «Era il 2010, avevo circa diciott’anni e vidi un video su YouTube che raccontava delle campane della cattedrale. Mi misi in contatto con il ragazzo che aveva girato quel video, che mi presentò Marcello Palmieri (attuale presidente del consiglio di amministrazione della cattedrale, ndr). Ed eccomi ancora qui».

Oggi Denti Tarzia, 33 anni e nella vita operaio in fabbrica, si prende cura di diversi campanili della zona: ad Agnadello dove vive, a Bagnolo di cui è originario e naturalmente il duomo. Ed è uno dei 15 cremaschi dell’Associazione campanari ambrosiani, custodi di una tradizione manuale che in Lombardia resiste tenacemente alla modernità.

«Il suono segue il rito ambrosiano: una scuola sul campo, senza manuali o corsi, si impara salendo sul campanile e mettendosi dietro la testiera o stringendo la corda tra le mani».

Certo, la tecnologia domina anche questo settore «ma nemmeno troppo. La tecnologia è presente per la programmazione dei rintocchi che scandiscono le ore e per la manutenzione, soprattutto per calibrare le note in fase di limatura dopo la fusione. Alcune chiese — prosegue — hanno i campanili senza campane perché sostituite da quello che chiamiamo ‘fungo’, un amplificatore di suono che funge da campana elettronica. La differenza di suono è impossibile da non notare».

Un mondo fatto di corde, bronzo e vibrazioni, fisiche e meccaniche che si fondono per far nascere il suono. E un richiamo antico, una tradizione secolare legata anche alla storia di Crema, impossibile da ignorare.

«Il concerto della cattedrale è stato fuso da Domenico Crespi nel 1753 — racconta Stefano — sei campane i cui rintocchi sono stati ascoltati anche da Napoleone durante il suo passaggio in città».

E così, ancora oggi, per le occasioni speciali si mette da parte la tecnologia e si rispolvera quell’antico e affascinante mestiere del campanaro. Un custode del cielo, che con ogni rintocco racconta una tradizione e una storia fatta di bronzo, passione, aria e un pizzico di magia.

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