L'ANALISI
08 Dicembre 2024 - 05:00
Chi era Giuseppe Mazzini? Per il 19 per cento degli italiani un politico della prima Repubblica. E ancora: a chi si deve la bellezza della Cappella Sistina? Uno su tre risponde che è stata affrescata da Giotto o Leonardo. Così va in quello che il Censis definisce il ‘Paese degli ignoranti’. A beneficio di costoro è bene ricordare che Mazzini (Genova, 22 giugno 1805–Pisa, 10 marzo 1872) è stato un patriota, politico, filosofo e giornalista italiano esponente di punta del Risorgimento nonché che la Cappella Sistina è stata dipinta da Michelangelo tra il 1508 e il 1512. Nell’Italia colpita da «sindrome da galleggiamento», tocca registrare i troppi cervelli che invece stanno già andando a fondo. È un ritratto a tinte fosche quello ‘dipinto’ dal Censis nel capitolo ‘La società italiana al 2024’ dedicato alla situazione sociale del Paese.
Si galleggia, in realtà, tra indici positivi e negativi: bene l’occupazione e il turismo estero, male a proposito di natalità, denatalità, debito pubblico e partecipazione democratica. Con il ceto medio «sfibrato» dai redditi reali calati del 7 per cento in 20 anni e la cui ricchezza pro-capite nell’ultimo decennio è diminuita del 5,5 per cento. Tutti dati ampiamente noti, distillati nel corso dell’anno da ricerche, sondaggi e classifiche stilati da enti diversi e che per collocazione politica puntano sugli aspetti più utilitaristici: se a ispirazione governativa l’enfasi va su quanto di buono emerge, se di opposizione su paure incertezze. Scevrati dalle logiche politiche, alla fine tutti però convergono sulla triste conclusione dell’esistenza di quella che il Censis definisce senza giri di parole la ‘sindrome italiana’: la continuità nella medietà, in cui restiamo intrappolati, né capitomboli rovinosi nelle fasi recessive, né scalate eroiche nei cicli positivi.
Mentre è in atto una mutazione morfologica della Nazione — parrà strano, ma l’Italia è prima in Europa per acquisizioni di cittadinanza: +112 per cento in dieci anni — si pone una questione decisiva per il futuro: siamo preparati culturalmente ad affrontare tale scenario? Non è una questione retorica. Dalla risposta, si capirà se esiste o no una reale prospettiva. Una domanda emersa, seppure partendo da spunti differenti, anche dal confronto di venerdì sera tra due dei pensatori cremonesi più acuti: don Bruno Bignami, direttore dell’Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro della Cei, e il filosofo Mauro Ceruti. L’occasione è stata la presentazione del saggio del sacerdote ‘Dare un’anima alla politica’ nella splendida sala monastica della Fondazione Santa Chiara di Casalmaggiore (nelle pagine della cultura di oggi ne diamo ampio risalto).
Lo scenario dal quale partire è stato quello ben evidenziato nel Rapporto Censis: tra gli italiani serpeggia un crescente antioccidentalismo e si incrina la fede nelle democrazie liberali, nell’europeismo e nell’atlantismo, sei cittadini su dieci incolpano l’Occidente dei conflitti in corso e solo una netta minoranza si dice d’accordo con il richiamo della Nato all’aumento delle spese militari. E sullo sfondo si infiammano le guerra delle identità sessuali, etnico-culturali, religiose, in lotta per il riconoscimento. Con il risultato che nelle diverse anime del Paese la capacità di confronto, decisiva a partire della nascita della Repubblica italiana nel dare vita a una Costituzione considerata tra le più moderne e attuali del mondo, ha dovuto cedere spazio a quella dello scontro.
La violenza verbale, gli insulti e l’asprezza dei ragionamenti prevalgono in quasi ogni dibattito mentre la disponibilità all’ascolto delle tesi altrui va lentamente ma inesorabilmente scemando. Una degenerazione e un disorientamento non nuovi se, come scriveva il sociologo polacco Zygmunt Bauman, padre del concetto di modernità liquida, «i nuovi rapporti vivono di un monologo e non di dialogo, si creano e si cancellano con un clic del mouse, accolti come un momento di libertà rispetto a tutte le occasioni che offre la vita e il mondo. In realtà, tanta mancanza di impegno e la selezione delle persone come merci in un negozio è solo la ricetta per l’infelicità reciproca».
Ora questa infelicità sembra quasi del tutto raggiunta. Come hanno sottolineato sia don Bignami che Ceruti, questo grazie a un netto impoverimento dei cervelli. Il Paese del bello, dell’arte, del Rinascimento e culla del pensiero critico, in questa sua fase di galleggiamento sta registrando anche una sorta di progressivo affogamento delle intelligenze. In due parole: impoverimento culturale. Lo certifica con estrema chiarezza anche il Censis in uno degli scorci in prospettiva più drammatici del Rapporto, ma passato in secondo piano in quanto surclassato dalle considerazioni su guerra, crisi economica, occupazione, welfare.
Tutti aspetti fondamentali, certo, ma legati al presente. Mentre per svoltare è bene pensare in prospettiva, costruire il futuro. Ebbene, la sconsolata base di partenza riassunta nel rapporto è che il ‘Paese degli ignoranti’ si sta penosamente allargando. Mazzini e Sistina sono concetti lontani, scrollerà le spalle qualcuno. Ma non è che venendo all’oggi si stia molto meglio. Sempre dal rapporto Censis: per quanto riguarda il sistema scolastico, non raggiungono i traguardi di apprendimento in italiano il 24,5 per cento degli alunni al termine delle primarie, il 39,9 alla fine delle medie inferiori, il 43,5 in età di esame di maturità; negli istituti professionali il dato sale vertiginosamente all’80.
Non meglio in un altro settore fondamentale, quello della matematica, dove non raggiunge quel traguardo di comprensione il 31,8 per cento alle primarie, il 44 alle medie inferiori e il 47,5 alle superiori (il picco si registra ancora negli istituti professionali, con l’81). Di fronte a questa situazione, c’è poco da essere ottimisti sul domani. In conseguenza di questo affondare dei cervelli, è chiaro come a pagare il prezzo più alto sia una delle categorie più sul crinale dell’impotenza, quella dei giovani.
Il 58,1 per cento tra chi ha tra i 18 e i 34 anni, si sente fragile e il 56,5 solo, più di uno su due dichiara di soffrire di stati d’ansia o depressione, uno su tre di attacchi di panico, il 18,3 per cento accusa disturbi del comportamento alimentare, come anoressia e bulimia. La cura? Affidiamo la risposta al grande scrittore franco-marocchino Tahar Ben Jelloun: «Con la cultura si impara a vivere insieme; si impara soprattutto che non siamo soli al mondo, che esistono altri popoli e altre tradizioni, altri modi di vivere che sono altrettanto validi dei nostri». Cioè ad evitare che in un Paese che sta galleggiando i cervelli vadano definitivamente a fondo. Diamoci tutti da fare, il Titanic del pensiero può essere evitato.
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