L'ANALISI
25 Settembre 2024 - 05:20
PIEVE D'OLMI - Ad un anno dal referendum che ha decretato la bocciatura della fusione tra Pieve d’Olmi e San Daniele Po l’ex sindaco olmese Attilio Zabert torna sul tema ribadendo la bontà del progetto che, assieme all’allora sindaco rivierasco Davide Persico, aveva sostenuto sin dall’inizio.
Ex sindaco Zabert, sosterrebbe ancora il sì?
«Certo, rifarei esattamente lo stesso percorso perché resto convinto che a livello politico e amministrativo questa sia la strada da percorrere. Cercherei, però, di comunicare in modo più efficace le mie ragioni».
È questo il motivo per cui il referendum è andato male?
«Penso che ci siano state difficoltà nel far recepire quelle che erano le nostre ragioni, basate sulla volontà di avere un ente più forte e con più servizi. Se il messaggio non è stato recepito, qualcosa è andato storto, è evidente. Purtroppo, però, hanno prevalso demagogia e populismo cavalcate dal comitato per il no e alla fine, come avevo detto anche un anno fa, si è persa un’occasione».
Quale?
«Quella di avere una prospettiva più lungimirante per il nostro paese, un comune con più risorse e quindi con più servizi e possibilità, nonché una maggiore efficienza per i cittadini stessi».
La mancata fusione porterà a conseguenze negative per Pieve d’Olmi?
«Il nostro è un comune con un bilancio sano e i conti in regola al momento, ma il futuro non è così roseo perché le spese continuano ad aumentare e le risorse a poco a poco saranno sempre più esigue».
Dunque?
«Si deve pensare in modo più previdente perché un paese è forte e appetibile se ha dei servizi, ma se non si possono garantire, per svariate ragioni, allora inneschi inevitabilmente il processo di spopolamento».
Ma spesso non vanno a buon fine. Come mai?
«Perché si tende a non voler guardare in faccia alla realtà, che oggi è quella di una sempre più crescente difficoltà nell’amministrare i paesi. Non si può vivere solo di ricordi e identità storica».
Il fatto che il comune di San Daniele Po oggi sia commissariato avvalora l’esito del referendum?
«Ci sono parecchi studi ed esempi concreti di fusioni con un ente in dissesto che ha portato ad una soluzione rapida del problema. Il punto amaro di tutta la vicenda, oltre al fatto di non avere economie di scala e uffici meglio strutturati, è che i due comuni non hanno a disposizione il contributo di fusione che la legge di bilancio di quest’anno non ha diminuito. Quei fondi avrebbero fatto comodo e avrebbero permesso qualche servizio in più».
Nessun cambio di opinione nemmeno per l’attuale primo cittadino Stefano Guastalla che, un anno fa, sosteneva, assieme al comitato di cui faceva parte, il no alla fusione tra il paese che oggi amministra e San Daniele Po, ad oggi commissariato.
Sindaco Guastalla, a distanza di un anno la convinzione di aver fatto la scelta giusta persiste?
«Assolutamente sì e, se possibile, si è anche rafforzata».
Cioè?
«Come comitato per il no eravamo contrari a quella particolare fusione. Il fatto che oggi San Daniele Po sia un comune commissariato, penso che in qualche modo possa avvalorare la nostra tesi. Non si poteva pensare di iniziare un processo di fusione con un paese con una situazione economica così complicata. Non era un nostro capriccio, ci siamo documentati e siamo ancora convinti non si potesse fare altrimenti».
Che cosa vi aveva spinto ad opporvi?
«Premetto che a noi dispiace quello che oggi sta effettivamente succedendo a San Daniele Po. È un comune molto vicino a noi a livello geografico e con il quale condividiamo e abbiamo condiviso molto».
Il problema dunque era l’ente di riferimento.
«Il dissesto economico era conclamato e la questione del debito è stata predominante. Anche perché i fondi governativi, si parlava di 404 mila euro dal primo anno, sarebbero stati usati quasi esclusivamente per pagare il debito di San Daniele Po. Come si poteva pensare di introdurre nuovi servizi e benefit?».
I cittadini di Pieve d’Olmi hanno espresso in modo inequivocabile la bocciatura del progetto. Ha inciso anche un po’ di campanilismo?
«Nel nostro paese su 584 votanti totali in 422 hanno scelto il no, segno che era stato perfettamente recepito il nostro punto di vista. Che, ripeto, non è contro la fusione in generale, ma contro quella particolare fusione. È poi evidente che il tema della perdita della propria identità culturale e storica gioca un ruolo importante, ma fondamentalmente i cittadini hanno compreso che San Daniele Po non era un comune con cui fare la fusione».
Intende dire che altri enti sarebbero stati più appetibili?
«Intendo dire che se devo perdere la mia identità, come paese, almeno lo si deve fare per migliorare. La fusione è un percorso delicato e complesso, che non sempre viene accettato e compreso».
Cosa serve?
«Ci vogliono trasparenza e chiarezza da parte delle amministrazioni per far comprendere ai cittadini ciò che guida scelte del genere. Ma se non ci riesci fino in fondo, è giusto che il paese si opponga, la verità è questa, c’è poco da aggiungere».
Franco Albertoni, ex amministratore, ora professionista, revisore degli enti locali (e liquidatore di diverse Unioni in Lombardia) inquadra così la situazione generale.
Albertoni, da dove nascono così tante difficoltà per le fusioni?
«Ogni situazione ha le sue peculiarità ed è condizionata da diversi fattori. Ricordo che, considerando solo gli esiti referendari, oltre alla mancata fusione Pieve d’Olmi – San Daniele c’è stata anche quella mancata tra Gussola e Torricella del Pizzo e prima ancora quella dei quattro Comuni dell’Oglio-Ciria e Castelleone e Fiesco ed in ognuna di queste situazioni le condizioni che hanno generato i risultati è stata diversa. Ricordo anche però i progetti di fusione che si sono conclusi positivamente e cioè quello di Torre Picenardi e Piadena Drizzona, il primo fusione per incorporazione ed il secondo fusione normale».
A livello nazionale come vanno le cose?
«In Italia nel 2023 si sono concretizzate solo 3 fusioni e dal 2009 si sono realizzate 144 fusioni che hanno interessato 333 Comuni. La tendenza è in calo anche perché il quadro normativo, pur confermando una incentivazione di tipo finanziario, ha attenuato gli indirizzi tendenti alla riorganizzazione delle modalità di esercizio delle funzioni da parte degli Enti locali».
E nel Cremonese?
«Io non ho notizia di processi di fusione in corso in provincia di Cremona ma questo non vuol dire che non ve ne possano essere».
Anche le Unioni sono spesso in crisi. Come mai?
«Le criticità che si stanno manifestando sono spesso dovute al cambio degli amministratori ed alla mancata evoluzione di una normativa delle unioni che, nata con l’obiettivo di semplificare e razionalizzazione il sistema territoriale locale e con la previsione di tendere alle fusioni, è stata ‘piegata’ all’aspettativa di avere benefici finanziari ed al soddisfacimento dell’obbligo previsto per legge della gestione associata delle funzioni fondamentali da parte dei piccoli comuni. Tale obbligo dal 2010 in poi è stato oggetto di molteplici interventi legislativi e di continue proroghe fino ad essere superato e a vanificare l’obiettivo originario».
Cosa accade quando un comune esce dall'unione? Chi paga?
«Inizialmente erano previste delle penalità di tipo finanziario per il comune recedente che per legge sono state eliminate. Di norma gli statuti delle unioni contengono le indicazioni per la gestione dei recessi da parte di un comune ed in genere contengono una clausola che prevede come il recesso non debba creare danno all’unione e quindi considerando questo principio vengono definiti i rapporti patrimoniali».
Le unioni vengono considerate un punto di forza, quanto incidono i rapporti personali?
«Moltissimo, spesso il cambio degli amministratori, anche con le stesse sensibilità politiche, provoca tensioni ed incomprensioni anche solo per la mancanza di conoscenza dei percorsi e delle esperienze comuni precedentemente condivise e per le normali aspettative di autonomia gestionale dei nuovi amministratori che invece sono ‘costretti’ alla condivisione mediante modelli e persone non individuati da loro. Il livello di intensità dell’integrazione organizzativa e l’effettivo accrescimento della qualità delle risposte ai bisogni delle comunità sono sicuramente un antidoto per la soluzione di tensioni e conflitti».
Che cosa riserva il futuro?
«È indispensabile ricercare l’adeguatezza degli enti per l’assolvimento dei propri compiti istituzionali. Penso sia opportuno approcciarsi alla materia astraendosi dal dibattito che sia meglio l’unione o indispensabile la fusione o piuttosto sia irrinunciabile la difesa dell’indipendenza assoluta di ogni singolo comune. Penso sia indispensabile intensificare gli sforzi per un approfondimento serio sulle zone omogenee quali ambiti territoriali ottimali per lo svolgimento in forma associata da parte degli enti locali territoriali».
Ovvero?
«Le forme possibili possono essere diverse, andrebbero individuate quelle meno ridondanti in termini di adempimenti burocratici. La mia visione presuppone di anteporre il confronto sulla qualità della risposta al bisogno rispetto allo strumento per garantirla, senza rassegnarsi allo status quo ma anche senza vincolarsi a modelli preordinati privi di un adeguato approfondimento dei costi e dei benefici».
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