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IL PUNTO

Francobolli ‘sputati’ dalla parte sbagliata

Il commento di Ignazio La Russa sull'aggressione a un giornalista da parte di militanti di Casapound a Torino soffre del vecchio vizio della politica di infilare un «però» o un «ma» che rendono le posizioni meno cristalline

Paolo Gualandris

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pgualandris@laprovinciacr.it

28 Luglio 2024 - 05:00

Francobolli ‘sputati’ dalla parte sbagliata

Un frame tratto dal video dell’aggressione al giornalista Andrea Joly da parte dei militanti di Casapound a Torino

Si racconta che, una volta, il direttore delle poste del Terzo Reich fosse stato preso dall’angoscia nel momento in cui aveva dovuto annunciare al ministro della Propaganda (il tristemente noto Joseph Goebbels, terrificante numero 2 del nazismo ndr) che tutta la nuova serie di francobolli con l’effige del Führer doveva essere ritirata dalla circolazione. Si racconta anche che Goebbels avesse replicato chiedendo di individuare il problema con maggiore precisione. Alla spiegazione fornita dal direttore delle poste, secondo il quale i francobolli non si incollavano, Goebbels avrebbe ipotizzato, sempre secondo quanto si riferisce, un difetto nella colla utilizzata, ordinando imperiosamente di cambiarla.  Inutile, avrebbe infine replicato, dopo un penoso silenzio, il direttore delle poste, aggiungendo il vero motivo del malfunzionamento: la gente insisteva a sputare dal lato sbagliato.

Questa è una vecchia barzelletta yiddish ricordata sul sito ‘glistatigenerali’ da Andrea Gilardoni, docente di filosofia, etica e scienze umane alla Statale di Milano e in passato alla Scuola Europea di Francoforte, che ha come linea guida per i propri studenti un concetto semplice: ragionare correttamente per tentativi ed errori, e argomentare in modo leale e senza preconcetti. Concetto semplice e chiaro, che non sempre appartiene alla politica. Le barzellette yiddish che ridicolizzano il potere, nel caso in questione i nazisti, dimostrano come l’umorismo possa essere uno specifico strumento di resistenza. Nella riflessione di oggi sono lo spunto per considerare che, nei giorni scorsi, il presidente del Senato, Ignazio La Russa, ha guardato il francobollo dalla parte sbagliata.

Alla cerimonia del Ventaglio, la tradizionale conferenza stampa che precede la pausa estiva dei lavori del Senato, alla richiesta di un commento sull’aggressione a un giornalista da parte di militanti neofascisti di Casapound a Torino, La Russa ha risposto così: «Sulla vicenda ho una posizione di assoluta e totale condanna». E fin qui, tutto bene. Ma poi ha argomentato: «Servirebbe un modo più attento di fare le incursioni legittime da parte dei giornalisti. La persona aggredita, a cui va la mia solidarietà, non si è mai dichiarata giornalista. Non sto giustificando niente. Non credo però che il giornalista passasse lì per caso, trovo più giusto se l’avesse detto. Ma questo non può giustificare minimamente l’azione violenta».

Il solito vecchio vizio della politica (errore-orrore bipartisan, non va dimenticato), quello di infilarci sempre un «però» o un «ma» che rendono le posizioni meno cristalline. Contro il presidente del Senato si è levato un coro di critiche e in difesa della libertà di stampa. La più ‘alta’, anche se come da traduzione indiretta, quella del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, pure intervenuto alla ‘sua’ cerimonia del Ventaglio con l’Associazione stampa parlamentare: «Ogni atto contro la libera informazione, ogni sua riduzione a fake news, è un atto eversivo contro la Repubblica». Parole seguite dall’invito ai giornalisti a «contrastare le adulterazioni della realtà» perché «l’informazione è documentare ciò che avviene senza sconti».

Il diretto interessato, La Russa, si è detto dispiaciuto nel «rilevare che le mie parole testuali e il mio pensiero sono totalmente travisate da questo virgolettato», sottolineando di avere «condannato ripetutamente senza se e senza ma, la violenza esercitata sul giornalista» e precisando che «mai ho detto o pensato che Joly (Andrea Joly è il nome del cronista de La Stampa aggredito) dovesse qualificarsi, semplicemente non avendolo fatto e presumendo che gli aggressori non lo conoscessero, si può e si deve parlare di una inaccettabile aggressione, anch’essa senza sconti o giustificazioni, verso un cittadino, ma non si può presentare l’accaduto come un attentato alla libertà di informazione. In sostanza, bisogna condannare fortemente l’odiosa aggressione, come ho sinceramente fatto senza però sostenere che vi era stata l’inaccettabile volontà di impedire l’esercizio del diritto di cronaca, che non può mai essere impedita».

Con ogni probabilità, La Russa non ha avuto alcuna intenzione di mettere bavagli alla libertà di stampa. Semmai, a lasciare perplessi è proprio quell’insopprimibile desiderio di infilare sempre nel ragionamento quell’avversativo - infilato anche nella replica - che rischia di fare perdere di vista la finalità principale, rendendola meno urgente, meno definitiva. Una dissimulazione - come ricorda il filosofo Leo Strauss (1899-1973) - fra le righe che può ingenerare il sospetto che si voglia far passare qualcosa che non si può dire se non disseminando indizi, ironie, soluzioni antifrastiche. Di queste tecniche dell’inganno la storia politica è ricca, il Rinascimento fino al Seicento fu maestro fra cabale, misteriosofie, simboli ermetici e così via.

Una rilettura del Principe di Niccolò Machiavelli per averne conferma può essere utile, come ricorda Carlo Ginzburg nel suo saggio ‘Nondimanco. Machiavelli’. Per non correre il rischio di essere fraintesi guardando il francobollo dalla parte sbagliata, i politici di livello nazionale, così come quelli di casa nostra, dovrebbero seguire la massima ‘un bel tacer non fu mai scritto’, un sobrio invito alla prudenza nel parlare se non si vuole venire equivocati. Evitare di farlo significa che questo rischio lo si vuole correre scientemente. Anche perché, tornando a bomba sul caso dell’aggressione di Torino, non va dimenticato lo stato dell’arte, e cioè che attualmente in Italia sono oltre 250 i giornalisti sotto vigilanza, 22 dei quali sotto scorta, e che dall’inizio dell’anno sono state decine gli atti intimidatori perpetrati ai danni di professionisti dell’informazione.

Per essere ancora più precisi e rendere l’idea del fenomeno: sono 7.172 gli operatori dei media minacciati in Italia dal 2006, 133 quelli minacciati nei primi tre mesi dell’anno. Più di uno al giorno. I dati sono dell’Osservatorio di Ossigeno, presentati a Roma lo scorso 3 maggio, Giornata mondiale della libertà di stampa. Stando all’Indice mondiale sulla libertà di stampa prodotto da Reporter Senza Frontiere, nel 2024 l’Italia è scesa di cinque posizioni rispetto all’anno precedente e, attualmente, si trova al 46° posto su 180. Tenere questi numeri a mente significa anche non sputare sul lato sbagliato del francobollo.



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