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IL COMMENTO

I grandi ideali abitano la carne

È in questa vita che i Vangeli ci inchiodano, con tutta la sua serietà e la sua concretezza. Gesù mangia, sta in mezzo, parla qui ed ora

Don Paolo Arienti

14 Aprile 2024 - 05:25

Cose concretissime

In quel tempo, [i due discepoli che erano ritornati da Èmmaus] narravano [agli Undici e a quelli che erano con loro] ciò che era accaduto lungo la via e come avevano riconosciuto [Gesù] nello spezzare il pane. Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro. Poi disse: «Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni».

Lc,24-35-42

Sembra un tormento: i Vangeli insistono su alcuni tratti che potremmo definire anti-pasquali, assegnandoli alla psicologia dei discepoli. Oltre ad essere stati, in varie misure, a volte degli anti-discepoli (si pensi a Pietro, ma anche al fuggi fuggi da sotto la croce…), questi compagni di avventura di Gesù sono dipinti anche come degli anti-testimoni. Scambiano Gesù per un fantasma, provano paura nell’incontro con lui, sono frastornati da sentimenti e sensazioni contrastanti che vanno dalla gioia allo stupore, dalla paura all’incredulità. Ritorna così, anche sulla pelle e nel cuore di questi adulti, il tratto controfattuale dell’annuncio cristiano che così malamente si compone con i codici del sentire religioso ovvio e banale.

Al cuore dei Vangeli stanno un amore incredibile, una lontananza assurdamente colmata, gesti e parole “indegne” di Dio… e persino la narrazione di un crocifisso ancora vivo; anzi costituito il Vivente. I discepoli hanno così costantemente bisogno di una trasformazione: dei sensi, della mente, del cuore… nulla delle loro convinzioni empiriche o religiose resta estromesso da questa tempesta controfattuale che, a ben vedere, altro scopo non ha se non quello di dichiarare una libertà spiazzante ora al potere, ed un suo potere del tutto difforme da quello che gli uomini si aspetterebbero (da Dio poi!), forse proprio perché è l’unica forma di dominio che riescono ad esercitare con sicurezza ed efficacia gli uni sugli altri.

Il Vangelo è sempre un contrappunto; addirittura sconcertante laddove non si occupa più solo del cielo (le religioni non dovrebbero avere competenza sull’invisibile, sul desiderabile, su ciò che evade da una materialità bruta e sporca?); ma si impiccia delle cose della terra. Come richiama lo stesso Risorto, quando si ostina a mangiare, sedere, toccare e farsi toccare. È, il suo, un continuo riferimento a questa storia e alle sue dinamiche concretissime, a cominciare da quel dono della pace che tutti avvertiamo anche oggi come l’urgenza numero uno dei nostri giorni.

Il cristianesimo così predica non solo un corpo incarnato, quello che si celebra ben nascosto sotto panettoni e brindisi sciistici a Natale; non solo un corpo crocifisso, quello del silenzio imbarazzato del Venerdì Santo; ma anche quello di un “dopo” che coniuga sempre cielo e terra e non vende a basso prezzo un cielo di riserva… una specie di “uscita di emergenza” dal pantano della vita.

È in questa vita che i Vangeli ci inchiodano, con tutta la sua serietà e la sua concretezza. Gesù mangia, sta in mezzo, parla qui ed ora. La fede ecclesiale ovviamente custodisce una speranza grande di un regno che verrà, di un compimento più alto e più forte, per tutti esplicito; ma riconosce, a volte non senza difficoltà, che è a questa storia che l’amore di Dio è diretto e che è in questa storia che i credenti sono chiamati a fare la differenza.

Nella storia, remota o recente che sia, ogni volta che i discepoli di Cristo hanno inserito la retromarcia rispetto alla realtà che li circondava, ogni volta che si sono chiusi nelle sacrestie in attesa di un’estasi che li rapisse verso i cieli, hanno un poco tradito il mandato evangelico; hanno taciuto quell’imperativo che spesso Gesù utilizza nello specificare la differenza profetica di chi lo avrebbe seguito: essere testimone; segnalare l’affidamento ad un dono più grande che si nasconde nelle cose anche più minute dell’esistenza... insomma, una questione di visione e di sguardi, di mentalità e di metodo, prima ancora che di successi da trasformare in medaglie e diplomi.

Lo sa bene chi ama (i propri figli, la propria comunità, quanti gli vengono affidati per un lavoro educativo o sociale o politico…): i grandi ideali passano per la carne, per un mangiare insieme, per un toccarsi. E Dio non fa eccezione. Almeno nella proposta dei Vangeli.

Ancora una volta le pagine dei Vangeli, anche laddove narrano della vicenda assurda della Risurrezione, sembrano toccare sul vivo credenti e non credenti e, nel cuore dell’annuncio più stravagante ed incredibile agli occhi di chi non ha fede, abitano ciò che a nessuno è permesso di non abitare: la concretezza della testimonianza di un amore che non puzza di naftalina (come certi codici mai aperti o certi vestiti abbandonati nei cassetti di una volta), ma profuma di vita e costruisce speranze e relazioni vere. Come quelle del perdono, della dignità, della solidarietà concrete. Anzi concretissime.

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