L'ANALISI
10 Ottobre 2023 - 05:20
La Chiesa è in sinodo. Può sembrare una partita da giocare tutta in casa tra credenti, ma sappiamo che non è così. Molti sono interessati ai contenuti del dibattito. E si sono sentiti interpellati nella fase di preparazione. In Italia hanno partecipato al Cammino sinodale facendo arrivare la loro voce attraverso momenti di incontro nelle diocesi e nelle parrocchie. La fase dell’ascolto è stata quasi una novità. A dispetto di quello che si pensa, la nostra società ha perso la capacità di ascoltare. Preferiamo metterci in cattedra, presupponendo di avere in tasca soluzioni per tutto e muovendoci poi goffamente come elefanti in cristalleria quando c’è da operare. La riprova la vediamo nei circa sessanta milioni di commissari tecnici della nazionale di calcio che hanno sulla bocca la formazione giusta per vincere il mondiale. Alla resa dei conti, le stesse persone faticano a mettere in campo uno straccio di esperienza familiare, lavorativa e sociale decente. Ma la vita è prova più seria di un torneo. Il Sinodo ha sin qui detto che anche la Chiesa può convertirsi all’ascolto e al discernimento. Non mancano tifosi e detrattori. Ma soprattutto non mancano persone che pontificano da vari pulpiti. Nei giorni scorsi persino il giornalista Massimo Gramellini ha scritto che la religione «ha rinunciato a parlare di temi spirituali per concentrarsi su quelli sociali».
È proprio così? Perché papa Francesco si occupa di ecologia integrale e di fraternità tra i popoli mentre l’umanità soffre e la guerra non conosce crisi? Molti vorrebbero una Chiesa sotto silenzio sulla vita sociale, chiusa nei suoi dibattiti da sacrestia, a disquisire sulla lunghezza degli abiti liturgici o sulle concessioni giuridiche da accordare a donne o laici.
Eppure, fino all’altro ieri il commiato dalla religione sembrava dato per certo. Nessuno scommetteva un euro sulla vitalità delle chiese. Al contempo, la religione si è presentata sotto mentite spoglie nel mondo economico, con un capitalismo che ha più dogmi della tradizione cristiana; nell’ambientalismo più rigido, che parla di salvezza del pianeta; nel consumismo più perverso, ossessionato dalla crescita infinita e convinto dell’accesso a risorse illimitate; nel nazionalismo, accecato dai miti di un passato che non c’è più. Tali religioni hanno i loro riti, luoghi di culto, sacerdoti e fedeli. Non manca nulla.
Qualcuno pensa di disegnare un Cristianesimo alla stessa stregua, con un sacrale dominio sulle coscienze o con l’intento di occupare spazi di potere. Nella città secolare e agnostica lo spazio dello spirituale ha assunto la forma di prassi antistress. È diffusa la convinzione che quando si parla di spiritualità si debba pensare alla preghiera o alla liturgia come «cose da fare», da aggiungere alla vita che in realtà va per la sua strada, fatta di impegni, di affanni, di affari, di compromessi, di sogni. La spiritualità in salsa ipermoderna soffre di deriva estetica: coincide con il benessere psicofisico, con le meditazioni interiorizzanti, con l’adesione a un modello puramente culturale. Anche Nietzsche ammoniva che «la verità è brutta», per cui ci salva solo una bellezza esteriore. L’altro volto della spiritualità si rifugia nell’astratto, nella fuga dalla vita e dai problemi. Sposa uno spiritualismo disincarnato. Le visioni distorte e pagane della fede, proprio in quanto idolatre, trovano sempre il loro stuolo di proni.
Che significa spiritualità per il cristianesimo? Già nel mondo profetico biblico era ben viva la volontà di non appiattire la religione al culto esteriore. Tra i tanti, possiamo ascoltare il profeta Amos, che predica a metà dell’VIII secolo a.C.: «Io detesto, respingo le vostre feste solenni e non gradisco le vostre riunioni sacre; anche se voi mi offrite olocausti, io non gradisco le vostre offerte, e le vittime grasse come pacificazione io non le guardo. Lontano da me il frastuono dei vostri canti: il suono delle vostre arpe non posso sentirlo! Piuttosto come le acque scorra il diritto e la giustizia come un torrente perenne» (Am 5,21-24). La spiritualità ha a che fare con la vita, la giustizia, la pace, l’amore del povero. È la scelta di Gesù di Nazareth, per il quale la dignità personale di un paralitico, di un lebbroso, di una donna con perdite di sangue, di un cieco, di una madre che piange la morte della figlia, di un esattore delle tasse o di una peccatrice pubblica additati da tutti. È il luogo in cui si rivela la forza dell’amore. L’esistenza concreta di qualcuno è lo spazio del divino.
La sintesi di una spiritualità incarnata è nella celebre conclusione del discorso della montagna: «Non chiunque mi dice ‘Signore, Signore’, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli» (Mt 7,21). Questa premessa per dire ciò che è emerso anche nei gruppi sinodali promossi a livello nazionale dalla pastorale sociale. Il Cammino sinodale ha fatto emergere la necessità di passare dal ‘fare’ alla ‘cura’ delle relazioni. Si sa quanto sia sterile la serie ripetitiva di attività che non disegna un senso e che non valorizza le persone. Perciò, si avverte l’urgenza di creare reti comunitarie. Ogni volta che si avviano processi sociali e si condivide una visione, la vita di ciascuno ne esce convertita. È più decentrata. Al centro tornano le persone e non i sogni di grandezza di qualcuno.
Altra esigenza molto sentita è il creare comunità territoriali con tutti i soggetti che hanno a cuore il bene comune. Le diocesi si aprono al dialogo ecumenico e interreligioso, e si mettono in relazione con tutti gli ambienti di vita che animano il tessuto sociale di un territorio. Quando si creano momenti di incontro con le amministrazioni, con le imprese e con gli enti del terzo settore, ne guadagna la qualità della vita sociale. Interessanti sono stati ad esempio i contributi del mondo dei marittimi, dei preti operai, dei cappellani ferroviari… Quanta sete di ascolto nei luoghi di vita! E quanta attenzione verso una Chiesa che sa condividere e pianta la sua tenda dove scorre il fiume della vita delle persone. Ecco il valore della centratura sulla spiritualità. Non deve sorprendere se chi si occupa di problemi sociali, lavoro, economia, politica, giustizia, pace e cura del creato senta la necessità di dare un’anima al vissuto.
La formazione spirituale è il proprium della pastorale sociale. Non possiamo dimenticare che la spiritualità cristiana o è incarnata o non lo è. San Paolo parla di «incorporazione» a Cristo, mettendo insieme il legame di fede con il corpo. Geniale intuizione. Nella spiritualità cristiana, perciò, la cura della giustizia scommette sul compimento dei legami umani. Il compito ecclesiale di formare le coscienze ha una vasta gamma di possibilità. Si esprime spezzando la Parola di Dio, condividendo occasioni di confronto sull’insegnamento sociale della Chiesa, entrando nei luoghi di lavoro e offrendo ai giovani il dono di un accompagnamento vocazionale. Il lavoro è molto di più della professione. La politica è molto di più dei risultati elettorali. L’economia è molto di più della produzione di beni. La persona fa la differenza. La stessa centralità del povero nella spiritualità cristiana ha valore teologico. Lo aveva compreso molto bene la tradizione cristiana, dai Padri della Chiesa fino a Madre Teresa di Calcutta. I crocifissi della storia sono luoghi di presenza di Cristo. Condividere la loro vita è il cuore del cristianesimo. Dietro l’angolo si affaccia sempre la tentazione di abbassare il livello. Si sa, transitare dall’amore per i poveri crocifissi alla difesa del crocifisso il passo è breve. Mentre il primo lo si può testimoniare solo nei solchi della storia, sui nuovi Golgota, la seconda è fattibile da casa, tastiera in mano. Comodi sul divano.
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