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LA RIPARTENZA DEL LAVORO

Credito, inflazione, Pil: le ombre sull’industria

Tutte le incognite dell’autunno nell’analisi di Allegri, presidente dell’Associazione provinciale: «Segnali preoccupanti, ma qui soffriamo meno: la varietà delle imprese garantisce stabilità»

Stefano Sagrestano

Email:

stefano.sagrestano@gmail.com

04 Settembre 2023 - 05:00

Credito, inflazione, Pil: le ombre sull’industria

CREMONA - Il ritorno in azienda coincide con una serie di segnali negativi che preoccupano Confidustria e gli imprenditori cremonesi e lasciano presagire un ultimo trimestre 2023 con il segno meno. La ripresa dopo le ferie non si apre certo nel migliore dei modi, come sottolinea il presidente provinciale dell’Associazione di categoria, Stefano Allegri. Forse nel Cremonese si soffrirà un po’ meno che altrove, merito della presenza di una grande varietà di imprese. «A livello di ordinativi – esordisce il presidente – c’è chi è anti ciclico, chi risente subito di momenti di economia in decrescita e chi sta nel mezzo. La Lombardia è la prima regione come livelli di crescita in Europa e nel territorio provinciale abbiamo ben rappresentati tutti i settori economici: chimica, farmaceutica, cosmesi, meccanica. Ciò ci rende molto più stabili rispetto ad altre realtà che hanno vocazioni più marcate su una particolare area».


A livello nazionale, però, i segnali sono preoccupanti. «Proprio in questi giorni – prosegue Allegri – è arrivata la conferma che a luglio l’occupazione ha fatto registrare un dato negativo, pari a meno 73mila posti, meno 0,3%: non si tratta di una cifra enorme, ma è un dato che non va preso alla leggera, soprattutto se sommato ad altri segnali negativi».

Stefano Allegri, presidente dell'Associazione Industriali della provincia di Cremona


Il secondo esempio che porta Allegri è quello dei prestiti alle imprese. «In Italia siamo a un meno 3,7%. E questo sì è un dato di grande impatto. Consideriamo che in Francia c’è stato un incremento del 4,6% e in Germania un più 5%. Significa che è seria la difficoltà di accesso al credito». La terza notizia negativa riguarda la frenata del Prodotto interno lordo. «Completa il Pantheon dei segnali negativi – prosegue il presidente degli industriali –: nel terzo trimestre si è perso lo 0,1% di Pil. Se sino a qualche mese fa ci aspettavamo una crescita annuale pari all’1,5%, adesso gli analisti ritengono che già arrivare all’1% sia un risultato fortunato. Eravamo messi bene ad inizio anno, ma in realtà adesso siamo in una fase decrescente. Il calo dell’industria è dell’1,4%. Si pensava di riuscire a recuperarlo attraverso i servizi, ma anche questi oggi cominciano a ridurre la loro performance. La frenata dell’economia c’è e ad essa si somma una serie di difficoltà».


Prima fra tutte l’inflazione. «Entro fine anno la stima è che cali sino a due punti e mezzo, ma il nodo della questione sta proprio qui. Per raffreddare l’inflazione si continua ad incidere sui tassi di interesse, che oggi sono altissimi. Di conseguenza, il valore dell’indebitamento per le imprese è cresciuto in maniera esponenziale e blocca gli investimenti». Una peculiarità dell’economia europea, e italiana in particolare, che non aiuta. «In un’economia sana, l’inflazione si ferma con l’incremento dei tassi, ma nel nostro continente la situazione è diversa per una serie di politiche inflazionistiche che tendono a far salire i prezzi. Penso al ‘green deal’ studiato per combattere il cambiamento climatico. Il costo stimato di queste scelte è di oltre 6mila miliardi di euro entro il 2030. Cifre astronomiche, a carico di imprese e cittadini».


Allegri sposta poi l’attenzione verso i salari. «L’ultimo aspetto che secondo noi è veramente preoccupante sono gli stipendi, oggi bassi rispetto al costo della vita. Questo determina una minor capacità di spesa delle famiglie e quindi un irrigidimento dei consumi. Il salario minimo è un tema fondamentale. Reputo importante che ci sia un livello omogeneo. Oggi tutti i contratti di Confindustria prevedono una retribuzione molto al di sopra dei 9 euro l’ora. Bisogna adeguare le cifre di altri contratti, che non garantiscono questi compensi, per permettere a tutti di lavorare per vivere e non per sopravvivere. Serve una maggiore uniformità: eviterebbe anche una dinamica di concorrenza sleale tra imprese dello stesso settore che hanno però contratti diversi».


Il problema è trovare i fondi e quello che c’è va speso nelle forniture, ad esempio per coprire i costi energetici aumentati a dismisura rispetto al 2020. Un aumento vertiginoso che era cominciato a fine 2021. «A fronte di questo quadro – conclude il presidente – chiediamo come principale politica economica del governo, a sostegno delle imprese e dei lavoratori, di mettere tutto quel poco che c’è sul cuneo fiscale, ridurre le tasse sul lavoro e aumentare eventualmente quelle sulle cose. Vanno eliminate anche le politiche passive che hanno risucchiato risorse negli ultimi anni. La coperta è oggettivamente corta. Bisogna agire anche sull’abbattimento dei costi energetici. Non dimentichiamo quanto è indietro l’Italia per quanto riguarda gli aiuti di Stato alle imprese: 250 miliardi di euro in Germania, 140 in Francia e forse 40 nel nostro paese. In Germania l’energia costa molto poco in quanto la differenza la mette lo Stato, idem in Francia. Da noi invece è a carico delle aziende».

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