L'ANALISI
27 Settembre 2022 - 05:00
Nel nuovo Parlamento smagrito di un terzo rispetto al passato anche la provincia di Cremona avrà una pattuglia «slim», più snella e leggera. Se i parlamentari uscenti erano cinque (il dem Pizzetti, il cinquestelle Toninelli e i leghisti Bossi, Comaroli e Gobbato), i neoeletti cremonesi sono soltanto tre, su 25 che sognavano Roma. Al Senato due novità: Renato Ancorotti, imprenditore cremasco della cosmesi, eletto con Fratelli d’Italia, e Carlo Cottarelli, economista schierato dal Pd, che è stato battuto dalla Santanché nella sfida impossibile di Cremona (la città in cui è nato e ha casa), ma ha vinto a Milano (la città in cui lavora e risiede). Alla Camera tornerà la leghista Silvana Comaroli, unica parlamentare uscente ad essere rieletta. Ma se fra un mese il senatore bresciano Alfredo Bazoli andrà al Csm, al suo posto entrerà in Parlamento anche l’ex sindaca di Crema Stefania Bonaldi, ora prima degli esclusi Pd.
In prospettiva locale questo è l’esito delle Elezioni Politiche 2022, che a livello nazionale hanno decretato una vincitrice assoluta (Giorgia Meloni), due vincitori «relativi» (Silvio Berlusconi e Giuseppe Conte, entrambi capaci di sovvertire le previsioni che li condannavano all’estinzione, o quasi), un vincitore mancato (Carlo Calenda, bravo a conquistare l’8% dei consensi con un partito che non esisteva, ma incapace di raggiungere l’obiettivo del 10% che gli avrebbe permesso di alzare la voce e diventare determinante) e due grandi sconfitti (Matteo Salvini, il leader della Lega precipitata all’8% dal 17 che aveva ottenuto alle Politiche del 2018 e addirittura dal 33% delle Europee 2019, ed Enrico Letta, il segretario di un Pd sceso oltre la soglia psicologica del 20% e abbandonato da oltre 800 mila elettori rispetto a quattro anni e mezzo fa, quando si parlò di sconfitta storica, tanto da indurre alle dimissioni immediate l’allora segretario nazionale Matteo Renzi).
Vero, in termini assoluti pesa il fattore astensione: domenica hanno votato solo 64 italiani su cento, contro i 73 del 2018. Significa che quattro anni e mezzo di inciuci, cambi di casacca, maggioranze decise a tavolino e governi d’emergenza nazionale hanno allontanato dalle urne quasi 6 milioni di cittadini, portando il totale dei non votanti a oltre 16 milioni e mezzo. Di fatto, si tratta della maggioranza assoluta, ben più dei 12,3 milioni di voti che garantiranno al centrodestra il pieno controllo del Parlamento. Paradossalmente, il ritornello «siete maggioranza alla Camera e al Senato ma non nel Paese» che il centrodestra ha ripetuto con forza negli ultimi vent’anni ora potrebbe essere rovesciato, dato che tutte le forze della «nuova» opposizione (Pd, M5S, Azione, +Europa, Verdi, Sinistra Italiana, Unione popolare, e cespuglietti vari) messe assieme hanno raccolto ben 16 milioni di voti!
Ricapitolando: 16,5 milioni di italiani non sono andati a votare, altri 16 milioni hanno votato i partiti «perdenti» e «solo» 12,3 milioni hanno dato fiducia al centrodestra, che però - grazie alla nuova legge elettorale fortemente maggioritaria (voluta dal Pd!) - potrà governare con numeri mai così netti in Parlamento: 235 seggi su 400 alla Camera (un’ampia maggioranza, senza bisogno di stampelle) e 115 su 200 al Senato. Ecco la grande responsabilità che grava sulle spalle di Giorgia Meloni, prima donna a conquistare il diritto a diventare Presidente del Consiglio, che non a caso è stata molto moderata e inclusiva nelle sue prime dichiarazioni ufficiali da vincitrice delle elezioni.
Ora toccherà a lei, la «coerente» senza macchia e senza paura, raccogliere l’eredità di Mario Draghi (altro grande bocciato dalla giuria popolare) e gestire al meglio tutte le partite aperte in uno dei momenti più difficili nella vita del Paese: dai rapporti internazionali (con una guerra in corso) alle fibrillazioni dei mercati finanziari, dalla gestione del Pnrr all’emergenza bollette, dalla necessità di riformare il fisco, la pubblica amministrazione e la giustizia all’urgenza di rimettere in moto l’economia, di garantire ai giovani posti di lavoro e stipendi adeguati e agli anziani una pensione dignitosa, dalla gestione dell’immigrazione e di quel che resta della pandemia alla messa in sicurezza del territorio nazionale dal punto di vista ambientale e idrogeologico, dal ritorno della legalità nelle metropoli e nelle periferie alla spinta verso una transizione ecologica in grado di coniugare sviluppo e sostenibilità, dal rispetto dei diritti civili al contrasto alla denatalità nel secondo paese evoluto più vecchio del mondo.
Buon lavoro, Giorgia! Per il bene e nell’interesse di tutti. L’Agenda Italia è piena di cose da fare presto e bene. Magari in questi primi giorni non potrà contare più di tanto sull’aiuto del suo alleato Matteo Salvini, preso come sarà a risolvere i problemi interni al suo partito, che perdendo l’identità originaria ha finito per disperdere un’incredibile riserva di consensi. In compenso, la tenuta di Forza Italia le permetterà di ancorarsi al centro, mettendola al riparo dall’accusa di pendere troppo a destra.
E da sinistra non avrà gran che da temere, con un Letta in declino («Non mi ricandiderò alla segreteria», ha annunciato il segretario Dem, anticipando la possibile richiesta di dimissioni della base, dopo aver sbagliato tutto ciò che si poteva sbagliare in campagna elettorale, al pari di Salvini) e un Conte ringalluzzito dalla riconquista del Sud, letteralmente a nostre spese. A proposito: abolire il Reddito di Cittadinanza (quantomeno le regole relative a chi rifiuta un’offerta di lavoro) sarebbe il modo migliore per dimostrare che, con Lei a Palazzo Chigi, davvero cambierà qualcosa. Già il fatto di onorare una promessa fatta in campagna elettorale sarebbe una svolta epocale.
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