L'ANALISI
16 Settembre 2022 - 05:00
Di fronte all’immagine del ministro degli Esteri che volteggia in aria come «Baby» - la protagonista della celebre scena di «Dirty Dancing» - viene spontaneo chiedersi se Luigi Di Maio ci è o ci fa. Perché, al netto della goliardia e della voglia di stupire a tutti i costi, magari per strappare un click in più sui social, non è possibile che il titolare di un ministero tanto importante non capisca i danni che una simile trovata possa provocare alla sua immagine e – soprattutto – alla credibilità internazionale dell’Italia.
In confronto, il ballo sfrenato della premier finlandese Sanna Marin durante una festa con le amiche era un manuale di bon ton per educande! Eppure è subito diventato un caso internazionale e Di Maio, da ministro degli Esteri, lo sa benissimo. Ciò nonostante, non ha resistito alla tentazione di farsi sollevare in aria dai camerieri di una nota trattoria napoletana: pare che il «volo d’angelo» a fine serata sia un’usanza del locale. Ma quando si ricopre una carica pubblica di tale livello non si è un cliente qualsiasi. E non ci si può permettere simili scivoloni.
Lo sa bene Matteo Salvini, il leader della Lega che nell’estate 2019, da ministro degli Interni, si divertì a fare il disc-jockey al Papeete, a torso nudo, con un mojito in mano e le cubiste scatenate sulle note dell’Inno di Mameli. Quell’imprudenza costò cara a Salvini, che ieri ha ripagato Di Maio con un post al veleno: «Ecco come il ministro degli Esteri lavora per fermare la guerra… Vola vola vola l’Ape-Maio. Vola… a casa!»
Anche il vicepresidente del Senato Roberto Calderoli - ospite ieri nella redazione de La Provincia - ha commentato il caso: «Di goliardate in passato ne ho fatte tante anch’io, ma fino a quel punto non sono mai arrivato.... Di bello c’è che almeno per una volta Di Maio ha volato senza usare l’aereo di Stato!», ha aggiunto con sarcasmo il senatore leghista, a sottolineare la strana traiettoria di chi si è affacciato alla politica contestando l’uso delle auto blu, ma ha finito per concedersi proprio i vizi e i privilegi che prometteva di cancellare.
Al netto della polemica elettorale, è difficile comprendere perché un leader politico venuto dal nulla - capace di diventare a soli 27 anni il più giovane vicepresidente della Camera nella storia repubblicana, a 32 anni essere eletto vicepresidente del Consiglio (governo Conte I) e in seguito due volte ministro (Conte II e Draghi) – anziché porsi come modello positivo - sia caduto in un simile peccato di vanità.
L’unica spiegazione è che Di Maio sia sintonizzato sulla stessa lunghezza d’onda degli italiani che a milioni si dicono «schifati dalla politica» e, per questo, annunciano che il prossimo 25 settembre non andranno a votare. Il problema è che oggi uno dei volti più noti della politica italiana è proprio lui, l’ex capo politico del M5S che ha voltato le spalle ai vecchi compagni di squadra e ora si ripresenta alle elezioni con partito tutto suo. Il corto circuito è evidente. E riporta tutto al dubbio di partenza: ma «Giggino» Di Maio ci è o ci fa?
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