L'ANALISI
14 Marzo 2023 - 05:25
Il fondo è sempre più in basso. Dopo le elezioni regionali in Lombardia i dati raccontano il deserto di partecipazione: solo il 40% degli aventi diritto si è recato alle urne. Nella storia repubblicana non era mai successo. Qualsiasi analisi dei risultati è, perciò, alterata da questo esito. Piaccia o no, i partiti devono ricordarsi che la loro percentuale non coinvolge il 60% dei cittadini. Cambia tutto. Le domande che nascono sono due: perché così in basso? Come rimediare?
Alla prima si potrebbe dare una risposta superficiale, da ‘bar sport’: la gente è indifferente. In realtà c’è dell’altro: la politica si è allontanata dalla vita. In questi anni ne abbiamo viste di tutti i colori. Personalismi e leaderismi si sono rivelati un bluff all’atto pratico delle decisioni che contano. I partiti si configurano, già nei simboli, non come uno spazio aperto, ma come una proprietà chiusa. I politici promettono la luna e non mantengono neppure un dibattito pubblico sui bisogni del quartiere in cui risiedono. Il valore della parola data è sistematicamente calpestato.
Nei talk show televisivi si spendono tempo ed energie per costruire il nemico, ma si è incapaci di tessere dialogo e confronto al pianoterra della vita. Allo studio dei problemi viene dedicato meno tempo che ai selfie e al controllo dei sondaggi. Non aiuta la politica neppure il fatto che ci troviamo in perenne campagna elettorale. Invece di frequentare i poveri o chi non ha voce, si preferiscono i salotti con i potenti di turno. I poveri vengono strumentalizzati per raccattare qualche voto in più: i migranti sono il caso più eclatante. I partiti mostrano deficit colossali di democrazia interna, con persone asservite o cooptate. Alcuni sono pieni di generali senza esercito, che rappresentano solo se stessi. Infine, da anni l’economia controlla la politica e la usa per i propri interessi.
Certo, non tutti i politici sono così. Per fortuna ci sono anche amministratori che si spendono con disinteresse per il bene comune. Rimane la loro testimonianza, ma l’impatto sulle istituzioni è limitato. Anche nel calcio i fuoriclasse non vincono se sono circondati da mediocri. Una rondine non fa primavera. Il rifiuto a partecipare ha molto a che fare con la perdita di credibilità della politica. Nulla è più scontato.
Si può risalire la china partendo da tre parole: profezia, comunità e poveri.
La profezia si alimenta di un sogno condiviso e di uno stile di tenerezza. Ci si aspetterebbe dalla politica determinazione e decisionismo, ma ciò porta all’isolamento. Ogni volta che mostra i muscoli dimentica i fondamentali del vivere civile. Serve un disegno: quale Italia vogliamo tra 30-50 anni? La cittadinanza attiva e una visione sono l’antivirus al ‘fare tanto per fare’. Ogni azione deve avere un sogno per il quale chiamare a raccolta tutti i cittadini. È qualcosa di così bello per il quale vale la pena impegnarsi. ‘I care’, mi interessa, era scritto nella scuola di don Milani a Barbiana.
In secondo luogo, occorre un rinnovamento in senso comunitario. Il quartiere, il paese, la città… sono luoghi dove si verifica la vicinanza o l’abbandono. Prima di ogni riforma istituzionale bisognerebbe mettere mano alla qualità relazionale di un territorio. Papa Francesco lo spiega così: «Ai problemi sociali si risponde con reti comunitarie» (LS 219). I leader in solitaria non aiutano. Difficile fidarsi di gente che non si è mai vista all’opera in una amministrazione: la «gavetta» allena all’ascolto e alla concretezza.
La terza attenzione è dedicata ai poveri. Don Primo Mazzolari scriveva ai politici eletti al Parlamento nel 1948: «Siate grandi come la povertà che rappresentate». Le disuguaglianze sociali in cui vivono molte persone meriterebbero la migliore politica: disoccupati, sottoccupati e precari; giovani che studiano, Neet o in cerca di chance; immigrati sfruttati; lavoratori in nero senza tutele; famiglie che rinunciano a cibo, spese mediche e cultura; abitanti di quartieri degradati e inquinati; territori abbandonati… in chi possono trovare seria rappresentanza? Chi dà la parola al disagio sociale e alle sofferenze degli ultimi? La partecipazione dal basso avrebbe il pregio di riscrivere la democrazia. Organizzare i poveri intorno ai temi del lavoro, della casa, della terra potrebbe non avere ritorni immediati in termini elettorali, ma riuscirebbe a cambiare il volto delle città. La speranza è pane benedetto per tutti. Se l’annuncio della politica è che nessuno si salva da solo, partecipare è vincere.
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