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VIAGGIO DELLA MEMORIA

«So che la guerra è brutta»

Gli studenti della scuola di Levata di Grontardo nei luoghi dell’eccidio nazista di San Terenzo Monti e Bardine

Barbara Caffi

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bcaffi@laprovinciacr.it

20 Maggio 2025 - 12:16

GRONTARDO - «E poi abbiamo sentito le urla»: Franco Valtriani aveva dieci anni in quei giorni d’agosto del 1944 in cui il 16° Battaglione Panzergranadieren SS guidato da Walter Reder portò l’orrore sul crinale tosco-emiliano dell’Appennino, tra i boschi di faggi e castagni e nei villaggi in cui donne, bambini, anziani e i pochi uomini che non erano al fronte tiravano a campare. Al ponte di Bardine e alla cascina di Valla - località che fanno capo a San Terenzo Monti di Fivizzano, in provincia di Massa-Carrara - sono state trucidate, tra il 17 e il 19 agosto, 159 persone. Ed è stata questa la meta del Viaggio della Memoria organizzato, con l’indispensabile contributo di Federica Ruggeri, dall’associazione Idea Resistente guidata da Michele Gerevini per le terze classi della scuola secondaria di primo grado di Levata di Grontardo.

Andare a toccare la storia con mano, incontrare le persone che la guerra l’hanno fatta e che - anche se sono trascorsi 80 e passa anni - non l’hanno dimenticata: anche questo è un modo per far capire che ‘pace’ non è una parola vuota. Al viaggio hanno partecipato anche i sindaci di Grontardo (Santo Sparacino), Persico Dosimo (Giuseppe Bignardi) e Scandolara Ripa d’Oglio (Mattia Federici), gli insegnanti Paola Bruschi, Claudio Fiorani, Barbara Lauriano, Nicola Morzillo e Maria Grazia Signori, e Ilde Bottoli, responsabile del progetto Viaggi della Memoria della Rete scuole.

A portare i ragazzi dentro quello che lui stesso definisce «un film horror» è Roberto Oligeri: nessuno fiata mentre racconta dei 53 uomini uccisi giù al ponte, dove c’è stato un primo momento commemorativo. Il 17 agosto del ’44, in un’azione di guerra, un gruppo di partigiani uccide sedici militari tedeschi e ne ferisce altri due. Nell’atroce logica della rappresaglia - applicata per la prima volta nell’eccidio delle Fosse Ardeatine, meno di sei mesi prima -, i tedeschi decidono di uccidere centosessanta italiani, incuranti del fatto che siano tutti civili e che tra loro molti siano donne e bambini. Le prime 53 vittime sono prigionieri che le SS si portano dietro dalla zona di Sant’Anna di Stazzema, dove Reder e i suoi il 12 agosto hanno massacrato 560 persone. I 53 sventurati vengono impiccati alle viti con del filo spinato e solo dopo una lunghissima e inimmaginabile agonia vengono finiti a colpi di pistola. Fivizzano è un paese fatto di 87 frazioni, casolari sparsi, gruppi di case tra vigneti, boschi e campi coltivati. Terrorizzati, gli abitanti scappano dove possono. In tanti si rifugiano alla cascina di Valla, alta sulla collina. Oggi c’è una stretta strada asfaltata che arriva fino al memoriale, ottant’anni fa era poco più di un viottolo. Eppure i tedeschi arrivano anche lì, la cascina diventa una trappola.

«In paese - racconta Oligeri - l’oste è stato costretto a cucinare dei polli arrosto per Reder e altri ufficiali. Possiamo solo immaginare con quanta fatica ha trovato il cibo perché dopo le infinite requisizioni, nessuno aveva più niente. Ogni tanto, arriva un soldato e mostra a Reder un foglietto con delle cifre. Sono i numeri delle persone che vengono man mano rastrellate, i nazisti vogliono arrivare a 107 ostaggi. Quell’oste era mio padre, sua moglie e i suoi figli sono stati sterminati. Io sono figlio della sua seconda moglie».

A Villa avrebbe potuto esserci anche Franco Valtriani. «Stavo andando verso la cascina con due o tre amici - ricorda -, quando sulla strada abbiamo incontrato una donna. Aveva una bambina per mano, un altro figlio in braccio. Ci ha detto di scappare, di non andare su perché c’erano i tedeschi. Noi siamo rimasti, lei invece è andata alla cascina perché c’erano gli altri suoi figli. Siamo stati nel bosco, e poi abbiamo sentito le urla». Non li hanno solo fucilati nel pergolato, i prigionieri della cascina. Li hanno fatti marciare, cantare e addirittura ballare per stancarli e tenerli buoni. Le donne, le più giovani almeno, sono state stuprate. E per far conoscere il ‘disonore’ a chi ne avrebbe raccolto i corpi, la loro biancheria intima è stata esposta nel terrazzamento. Nell’eccidio, si salva solo Clara Cecchini, 7 anni: viene colpita, forse sviene, si risveglia e a proteggerla c’è il corpo della mamma. Il 20 agosto qualcuno del paese va a recuperare i morti, i poveri resti di corpi fatti a pezzi. «Li hanno caricati su dei carri, delle trage come le chiamiamo qui. Il sangue colava, la scia è arrivata fino al paese e poi al cimitero. Non lo dimenticherò mai». «C’è un modo per far finire le guerre?», chiede una ragazzina. «Non lo conosco proprio - risponde Franco -, so solo che la guerra è brutta».

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